rotate-mobile
Le intercettazioni / Zisa

Blitz alla Zisa, ecco la mappa delle piazze di spaccio e come si imponeva il pizzo: "O paghi o levi mano"

I retroscena dell'inchiesta in cui era coinvolto anche Giuseppe Incontrera, ucciso la settimana scorsa. Sarebbe stato al vertice del clan di Porta Nuova con il consuocero Giuseppe Di Giovanni e Tommaso Lo Presti "il lungo". Gli indagati temevano da mesi gli arresti e alcuni si erano allontanati da casa: "Stasera è meglio che mi corico lì..."

Droga, tanta droga e di tutti i tipi, dal "fumo" all'eroina, passando dal sempre più diffuso crack. Ma anche estorsioni, compiute senza troppi complimenti e con minacce molto chiare: "Lo sai come funziona, per lavorare devi portare 2 mila euro, altrimenti saliti materiale, chiudi tutto e te ne vai". Il clan di Porta Nuova, che dopo la recente scarcerazione, sarebbe ritornato pienamente nelle mani di Tommaso Lo Presti "il lungo", che al suo fianco, al vertice, avrebbe avuto Giuseppe Di Giovanni (fratello dei boss Gregorio e Tommaso Di Giovanni) e il suo consuocero, Giuseppe Incontrera, ovvero l'uomo ucciso con tre colpi di calibro 22 in via Imperatrice Costanza il 30 giugno. Proprio quest'ultimo si sarebbe occupato dello spaccio, assieme al figlio Salvatore Incontrera (fermato stamattina), e anche della cassa, oltre ad imporre il pizzo, secondo la Procura.

I nomi dei fermati

La richiesta di arresto depositata 8 giorni prima dell'omicidio

Dal provvedimento "Vento", che ha portato 18 persone in carcere, emesso dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Giovanni Antoci, Gaspare Spedale e Luisa Bettiol, eseguito dai carabinieri, oltre all'organigramma del clan e ai suoi affari, emerge anche che in teoria a breve Incontrera e gli altri avrebbero dovuto essere arrestati: i pm, infatti, avevano depositato una richiesta di custodia cautelare per lui e gli altri indagati lo scorso 22 giugno, ovvero otto giorni prima del delitto. E boss e gregari avrebbero avvertito fortemente il timore di finire in carcere, sentivano cioè che prima o poi sarebbe toccato a loro.

I timori degli indagati e i tentativi di fuga

Il 13 aprile scorso, per esempio, come scrivono gli inquirenti, in occasione di alcuni arresti, Salvatore e Giuseppe Incontrera erano stati intercettati mentre cercavano il modo di sottrarsi ad ipotetiche ricerche e si sarebbero allontanati da casa. Il 19 maggio, invece, un altro personaggio al centro delle indagini, è stato intercettato mentre parlava preoccupato con la moglie e diceva: "Ti stavo dicendo una cosa, che eventualmente da stasera ci dobbiamo coricare là o mi ci devo coricare solo io perché è già partita una segnalazione" e aggiungeva: "Statti tranquilla e non fare così... pure a me dispiace, però purtroppo che ci possiamo fare". Qualche giorno prima, il 14 maggio, è stata invece la squadra mobile a domcumentare che la vittima dell'omicidio e Leonardo Marino avrebbero avuto intenzione di allontanarsi temendo di essere catturato. Un po' più in là nel tempo, il 16 settembre dell'anno scorso, sarebbe stato Giuseppe Auteri a sparire completamente dalla circolazione e tutti sarebbero stati preoccupati, come emergerebbe da altre conversazioni captate dai carabinieri.

Gli omissis

Sono proprio questi gli elementi che, secondo l'accusa, integrano pienamente il pericolo di fuga, presupposto necessario per emettere un provvedimento di fermo. Nelle prossime ore sarà fissata l'udienza gip a decidere se convalidarlo o meno. Nel documento ci sono diversi omissis, sia in relazione ai nomi degli indagati che ad alcuni capi di imputazione.

Droga ovunque e ad ogni ora

In base alla ricostruzione degli investigatori, Incontrera con Di Giovanni e Tommaso Lo Presti si sarebbero occupati della droga e avrebbero utilizzato i proventi anche per rimpinguare la cassa del clan, gestita anche da Auteri, per garantire il mantenimento dei detenuti. Avrebbero avuto una specie di monopolio (nessun altro, cioè, avrebbe potuto spacciare nel territorio del clan), avrebbero individuato i fornitori, i capi piazza autorizzati ad operare e pagato i pusher. Nicolò Di Michele, avrebbe rifornito di hashish e marijuana tutte le piazze di spaccio e, assieme a Salvatore e Giuseppe Incontrera, avrebbe curato in particolare lo smercio di droga nella zona di piazza Ingastone. Antonino Ventimiglia, secondo l'accusa, sarebbe stato uno dei fornitori autorizzati dal capomandamento. Giorgio e Antonino Stassi si sarebbero occupati della piazza di via Regina Bianca e abvrebbero gestito anche lo smercio di droga alla Vucciria, assieme a Leonardo Marino. Roberto Verdone si sarebbe occupato anche lui di via Regina Bianca, in particolare del servizio di smercio 24 ore su 24 e anche a domicilio. Giuseppe Giunta avrebbe invece curato lo spaccio a Ballarò e al Capo, dove avrebbe operato anche Andrea Damiano. Gioacchino Pispicia, invece, si sarebbero occupato dello smercio nella zona di via Cipressi.

L'imposizione del pizzo: "O pagare 2 mila euro o levate mano"

Gli investigatori hanno ricostruito anche diverse estorsioni messe a segno dal clan. Giunta, per esempio, avrebbe preso parte all'imposizione del pizzo ad una ditta edile di Villagrazia in relazione ad un cantiere avviato in via Antinori, alla Zisa. Il 17 giugno dell'anno scorso, con Giuseppe Incontrera e una terza persona, avrebbe preso contatti con due operai che avrebbero dovuto riferire al titolare dell'azienda di portare 2 mila euro "a piazza Ingastone". "O levate mano subito o fate avere 2 mila euro a piazza Ingastone", avrebbero detto. Uno di loro sarebbe ritornato alla carica il 24 giugno: "Mi ci hanno mandato, questa è la seconda volta che vengo" e aggiungeva "altre persone mi hanno detto che dovete andarvene", visto che l'imprenditore non sarebbe stato disposto a pagare.

L'uscita dei fermati | Video

"Per stare qui devi portare i soldi"

Sempre Giunta e nello stesso periodo avrebbe taglieggiato un'altra ditta edile che aveva avviato un cantiere in una palazzina della Zisa. Il 21 giugno 2021 un emissario dei boss avrebbe detto ad un operaio: "Ma tu non lo sai come funziona? Che ti devi andare ad informare per lavorare? Per stare qui devi portare 2 mila euro". Il 24 sarebbe tornato e avrebbe sollecitato: "Allora, com'è andata a finire?" e di fronte al fatto che nessuno avrebbe informato il titolare della richiesta di pizzo avrebbe chiuso l'argomento: "Allora saliti il materiale, chiudi tutto e te ne vai".

Il furto delle biciclette e la richiesta di 5 mila euro

Giuseppe Di Giovanni avrebbe chiesto la messa a posto ad un ristorante di via Guglielmo il Buono, mentre, assieme a Giunta, a Salvatore Incontrera, a Gioacchino Fardella e ad Antonino Bologna, il 9 settembre del 2019, avrebbe imposto il pagamento di 5 mila euro al titolare di un'attività di via Lascaris, in cui lo stesso giorno i cinque si sarebbero anche impossessati di 4 biciclette dal valore di 1.500 euro l'una.

La messa a posto del ristorante e la rapina al centro scommesse

Di Giovanni, con Marino e Calogero Lo Presti avrebbe costretto una persona ad abbandonare un fondo ai Danisinni per lasciarlo proprio a Lo Presti, il 21 aprile del 2020. Auteri avrebbe poi imposto ad una ricevitoria di piazza Ingastone di versare 150 euro alla settimana a titolo di pizzo, mentre il solo Di Giovanni avrebbe preteso il pagamento di mille euro, sempre a titolo di messa a posto, ad un ristorante del Capo. Infine, Salvatore Incontrera avrebbe rapinato un'agenzia di scommesse della Zisa, minacciando i titolari di una agenzia di scommesse della Zisa e facendosi consegnare l'incasso, 14.500 euro, il primo gennaio scorso.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Blitz alla Zisa, ecco la mappa delle piazze di spaccio e come si imponeva il pizzo: "O paghi o levi mano"

PalermoToday è in caricamento