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Venerdì, 29 Marzo 2024
Mafia

Lo Piccolo chiese aiuto a Provenzano: "I pentiti ci hanno consumato, fate tornare gli 'scappati'"

Uno dei retroscena dell'operazione "New Connection" che ha portato all'arresto di 19 persone. Una serie di pizzini inviati dal boss di San Lorenzo all'allora capo di Cosa Nostra: "Non sappiamo come nasconderci"

I pentiti da un lato e le operazioni delle forze di polizia dall'altro "fiaccavano" Cosa nostra e i boss, in difficoltà, chiedevano aiuto a Bernardo Provenzano perchè autorizzasse il ritorno in città degli "scappati". E a chiedere il nulla osta per il ritorno era Salvatore Lo Piccolo in persona attraverso una serie di "pizzini". E' uno dei retroscena dell'operazione "New Connection" condotta tra Palermo e New York da polizia e Fbi, Gli inquirenti hanno accertato che, una volta tornati in Italia, i boss avevano ripreso il controllo del mandamento di Passo di Rigano e avevano stabilito un'alleanza con la storica famiglia dei Gambino.

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I nomi degli arrestati

Gli agenti dell'Fbi e gli investigatori italiani hanno perquisito anche le abitazioni degli indagati residenti in America, in New Jersey, Staten Island e Philadelphia.

Lo Piccolo a Provenzano: "I pentiti ci hanno consumato, fate tornare gli 'scappati'"

"I pentiti ci hanno consumato"

"Siamo arrivati al punto che siamo quasi tutti rovinati, e i pentiti che ci hanno consumato girano indisturbati. Purtroppo ci troviamo in una situazione triste e non sappiamo come nasconderci".  Il boss Salvatore Lo Piccolo scriveva così a Bernardo Provenzano. Era il 19 giugno del 2005 quando il pizzino veniva inviato al capomafia.

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"Veniva confermato - spiegano gli inquirenti - che Lo Piccolo aveva più volte chiesto a Provenzano di intervenire con favore sulla vicenda (mancanza di persone da arruolare), tanto da scusarsene nella stessa missiva, dove oltre a sottolineare il lungo tempo trascorso dalla decisione della Commissione ("si tratta di un impegno e di una decisione di almeno 25 anni fa, da allora ad oggi molte persone non ci sono più"), citava le gravi difficoltà di organico in cui versava l'organizzazione (per queste ragioni Lo Piccolo chiedeva a Provenzano di acconsentire all'arruolamento degli Inzerillo nelle loro fila mafiose, considerato che erano giovani "che non uscivano fuori dal seminato", erano sotto l'assoluto controllo della famiglia di appartenenza e soprattutto Lo Piccolo stesso se ne assumeva tutte le responsabilità".

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La guerra di mafia degli anni '80

Secondo gli inquirenti "le dinamiche del mandamento di Passo di Rigano risentono ancora, nonostante siano trascorsi quasi 40 anni, dei fatti accaduti nei primi anni ottanta del secolo scorso quando, con gli omicidi di Stefano Bontade e di Totuccio Inzerillo, la fazione guidata da Salvatore Riina stravolse gli equilibri di cosa nostra palermitana sancendo, di fatto, quella dicotomia tra i 'corleonesi' e gli 'altri' che, ancora oggi, traspare dalle indagini su alcuni ambiti territoriali". 

La famiglia Inzerillo, fino all'avvento dei corleonesi, "aveva regnato incontrastata nel mandamento di Passo di Rigano ed era anche riuscita a stringere cointeressenze con i capi della mafia statunitense, gestendo lungo l'asse Palermo-New York il commercio di ingenti quantitativi di droga", dicono i pm. "Nei primi anni '80, con la seconda guerra di mafia, la compagine mafiosa degli Inzerillo aveva pagato un tributo pesantissimo; l'omicidio più eclatante fu quello del capo-mandamento di Passo di Rigano Salvatore detto Totuccio Inzerillo, avvenuto a Palermo il 10 maggio 1981".

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Gli "scappati", la morte di Riina e il ruolo della commissione

Gli inquirenti hanno ricostruito i movimenti, tra Sicilia e Usa, dei boss. Dopo l'arresto del capomafia Totò Riina nel 1993, gli "scappati" - cioè gli appartenenti alle cosche mafiose costretti a lasciare Palermo dopo la guerra di mafia degli anni Ottanta - "forti di un primo avallo da parte di taluni importanti esponenti di Cosa nostra, andavano progressivamente rientrando a Palermo reinserendosi nelle fila criminali". Gli inquirenti spiegano che "Se era noto, infatti, che per gli appartenenti alla famiglia Inzerillo esisteva il divieto di permanenza sul territorio italiano, sancito negli anni '80 dalla Commissione provinciale di Cosa nostra, era altrettanto vero che il divieto di rientro in Italia non era da intendersi come assoluto, in quanto era stata via via tollerata la presenza in Italia di molti di tali soggetti". 
Era il caso, ad esempio, di Francesco Inzerillo detto "Franco ù truttaturi". La sua presenza era "tollerata" in quanto imposta da un provvedimento di espulsione dal suolo americano

Blitz "New connection" - le intercettazioni

"I vertici di Cosa nostra - dicono gli inquirenti - in deroga alla decisione della Commissione, avevano concesso a Inzerillo un tempo di permanenza sul territorio italiano pari a quello necessario per l'espiazione della misura di prevenzione. La sua presenza in realtà veniva poi tollerata anche in epoca successiva".

L'elenco dei beni sequestrati

La mafia come una multinazionale

Le indagini hanno permesso di accertare l'esistenza di una sorta "di joint venture del crimine organizzato" tra la famiglia mafiosa degli Inzerillo di Passo di Rigano e alcune famiglie volate negli Stati Uniti. Ne fanno parte per gli investigatori "non solo gli Inzerillo, ma anche altri soggetti comunque orbitanti nel mandamento di Passo di Rigano, come Simone Zito e il figlio Calogero Christian (nei cui confronti si è proceduto con un'autonoma richiesta cautelare ndr), i quali, a loro volta, hanno sfruttato ed implementato i loro rapporti, lavorativi e criminali, coltivati nel corso degli ultimi decenni con il territorio americano".

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