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Mafia rurale e politici "da mungere", i piani dei nuovi boss corleonesi

Riorganizzazione del mandamento, estorsioni e attentati: di questo parlavano i capi del mandamento, guidato da Rosario Lo Bue, legato a Binnu Provenzano. I retroscena dell'operazione che ha dato un duro colpo alla cosca di Corleone. Agueci: "Contatti con amministratori locali che sapevano chi fossero i loro interlocutori"

Regole di mafia vecchie e realtà nuove in un contesto fatto di estorsioni, contatti con la politica per fare soldi e attentati illustri. "Questo Alfano - diceva Pietro Masaracchia intercettato - è un porco con le persone, chi minchia glielo ha portato allora qua con i voti di tutti... degli amici... Gli facciamo fare la fine di Kennedy, che prima è salito coi voti di Cosa nostra e poi gli ha voltato le spalle".

Questi sono solo alcuni dei retroscena emersi dall’operazione "Grande passo 3" che ha portato all’alba di oggi all’arresto di sei soggetti tra boss e gregari (LEGGI I NOMI) del mandamento corleonese retto da Rosario Lo Bue, legato a Bernardo Provenzano. Un intervento reso necessario dal timore, come emerso dalle intercettazioni (VIDEO), che qualcuno stesse per rimetterci la vita. Magari con una delle armi sequestrate durante le perquisizioni. "Abbiamo trovato - ha spiegato il procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi - un fucile calibro 12 e una pistola calibro 7,65, entrambi con matricola abrasa". E la stessa fine l’avrebbe potuta fare, sebbene non si possa parlare di un progetto concreto, il ministro dell’Interno Angelino Alfano, ritenuto responsabile dai mafiosi dell’inasprimento del "carcere duro" al quale sono sottoposti "grandi" uomini d’onore.

DIATRIBE INTERNE - Al centro delle preoccupazioni dei boss l’organizzazione delle famiglie vicine ai corleonesi, guidati da Lo Bue, che comprendeva i vertici di Chiusa Sclafani, Palazzo Adriano e Contessa Entellina. Un gruppo mafioso che viveva al suo interno numerosi dissidi, originati dalle due fazioni ispirate a Bernardo Provenzano e Totò Riina. Al primo era legato proprio Lo Bue, che ne aveva assimilato i segreti per gestire gli affari dell’organizzazione. E di questo se ne era lamentato Antonino Di Marco, arrestato nel settembre del 2014 e ritenuto vicino a zu’ Totò. Una situazione che il boss di Corleone aveva pensato di risolvere estromettendo Di Marco, cui seguì la reazione di Pietro Paolo Masaracchia e Vincenzo Pellitteri, rispettivamente reggente e boss di Chiusa Sclafani in sostituzione dell’ormai anziano Gaspare Geraci: avevano intenzione di staccarsi e creare un mandamento che comprendesse alcune famiglie dell’Agrigentino. Per molti di loro Lo Bue era troppo pacifico e posato nella gestione dei problemi intestini. L’unico ritenuto capace di sovvertire il sistema era ed è Giovanni Grizzafi, il nipote di Riina custodito in carcere ma che tornerà libero il prossimo anno.

"FALLI PIANGERE" - "Se non si fanno piangere non si arriverà mai. Non te lo voglio dire più. Falli piangere tutti e tre". Questo il contenuto di una delle intercettazioni lette in conferenza stampa dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci che commenta: "Frasi che dimostrano come certe regole esistono e sono ancora in vigore". Non è dato sapersi, almeno per il momento, chi fossero i destinatari dell’intimidazione. Potrebbe trattarsi di una potenziale vittima di omicidio, forse quella che ha costretto le forze dell’ordine a intervenire, per evitare spargimenti di sangue. Un’assassinio che, hanno ricostruito gli inquirenti, sarebbe stato commissionato per 3 mila euro da due commercianti di Chiusa Scalfani, comandata da Pellittieri, dal figlio Salvatore (28 anni) e dai nipoti Roberto e Salvatore (41 anni). "L’associazione mafiosa - spiegano i carabinieri - ha continuato a mantenere saldamente in mano il controllo del territorio esercitando una costante pressione sul tessuto sociale, attraverso i classici metodi intimidatori del danneggiamento di mezzi d’opera e degli incendi".

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POLITICA DA MUNGERE - Il legame con la pubblica amministrazione resta uno dei “baluardi” delle famiglie mafiose. Qualche imprenditore romano non ancora identificato aveva mostrato interesse per un progetto relativo alla produzione e distribuzione di latte, da realizzare in contrada Noce a Corleone, dove lo stesso Pellitteri andò a fare un sopralluogo. Per fare ciò i mafiosi arrestati si sono rivolti a un imprenditore agricolo del trapanese, Giovanni Impicciché, anello di congiunzione con Pietro Campo, al vertice della famiglia di Santa Margherita del Belice, che a sua volta si rivolse a Pellitteri. Fu lui nel settembre 2014 a incontrarsi il sindaco di Corleone Leoluchina Savona e il fratello Giovanni. Era presente anche Sebastiano Tosto, responsabile dell’area palermitana del comitato esecutivo del Distretto lattiero-caseario regionale e fratello di Salvatore, già condannato per associazione mafiosa in quanto ritenuto vicino a Totò Riina. "L’indagine - ha spiegato Agueci - ha documentato che alcuni politici locali avevano rapporti con certi soggetti, pur sapendo perfettamente chi fossero, con l'obiettivo di superare certi ostacoli”. Ma il progettò naufragò perché i costi stimati avrebbero superato le prospettive di guadagno.

ALFANO COME KENNEDY -  "Questo Alfano - diceva Pietro Masaracchia intercettato - è un porco con le persone, chi minchia glielo ha portato allora qua con i voti di tutti... degli amici.. […] Kennedy ce lo siamo masticato noialtri là in America. Ha fatto le stesse cose di Alfano, perché prima è salito coi voti di Cosa nostra americana e poi gli hanno voltato le spalle. Dobbiamo difenderci anche noi - diceva ancora - se c’è l’accordo di tutti ”. Per il procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi, parlare del progetto di un attentato è azzardato: "Sono le doglianze della famiglia mafiosa che vedeva in Alfano il responsabile dell’inasprimento della detenzione con il 41 bis cui sono sottoposti i vip della malavita organizzata. Ma lo ipotizzavano - continua - qualora fosse stata tolta ogni forma di protezione nei suo confronti. Potremmo definirlo più uno sfogo che altro". L’accostamento con l’ex presidente americano, ucciso nel ’63 da un tiratore scelto a Dallas, sembrerebbe essere dunque una forzatura. "Dubito - ha aggiunto il procuratore capo - che conoscessero motivazioni e dettagli della morte di Kennedy".

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LA MAFIA RURALE - Un elemento di difficoltà nelle indagini, come spiegato dal comandante dei carabinieri Giuseppe De Riggi, è stato costituito dalla conformazione del territorio nel quale risiedevano boss e gregari di Corleone. "Non è stato semplice intercettarli per capire meglio alcuni elementi centrali, relativi - spiega De Riggi - alle estorsioni e alle gestione del mandamento e delle loro diatribe interne. Ci siamo imbattuti in un ambiente socialmente chiuso e impenetrabile, trasformandoci in fantasmi nascosti per anticipare e studiare le loro mosse". Una situazione rimarcata anche dal colonnello Mauro Carrozzo, del Nucleo investigativo del gruppo di Monreale: "Lo Bue, per esempio, era uno che passeggiava centinaia di metri nelle sue campagne, accompagnatori con il suo bastone, per raggiungere i luoghi scelti per i loro summit mafiosi". Come per esempio ciò che accadde nell’ovile di Lo Bue, dove per Chiusa Sclafani il testimone venne passato dalle mani dell'89enne Geraci in quelle di Vincenzo Pellitteri, nominato capo ad agosto 2014.

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