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Mafia Bagheria

"Pestato per avere osato sfidare il boss", dopo il blitz a Bagheria scattano altri tre fermi

A pochi giorni dall'operazione antimafia Persefone i carabinieri hanno eseguito un'ordinanza del gip che ha disposto il carcere per altri tre indagati. Sono accusati di avere preso parte, ad agosto scorso, alla violenta aggressione di un uomo che aveva messo in dubbio l'autorità del clan

Avrebbero preso parte al pestaggio di un uomo che aveva osato sfidare il boss di Bagheria e presto, se non fosse stato per il blitz dei carabinieri, sarebero torntati in azione per concludere il lavoro. A pochi giorni dall’operazione antimafia Persefone i militari dell’Arma hanno eseguito una nuova ordinanza del gip che ha disposto il fermo di altre tre persone indagate per lesioni personali aggravate dal metodo mafioso. Si tratta di Nicolò Cannata, 25 anni, Emanuele D’Apolito (28) e Ivan Salerno (30).

Nel corso delle indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia era emerso l’episodio, risalente ad agosto scorso, dell’aggressione di un uomo. Un personaggio considerato "apparentemente estraneo al sodalizio", spiegano dal Comando provinciale dell’Arma, che era stato "selvaggiamente picchiato, riportando un trauma cranico e delle ferite alla mano, da persone armate di cazzottiere quale avvertimento per alcuni comportamenti".

Tripoli infatti, stando a quanto ricostruito dagli investigatori, era una testa calda e aveva creato scompiglio dicendo pubblicamente che avrebbe dato fuoco a un locale da poco inaugurato da Massimiliano Ficano, considerato uomo d’onore della famiglia di Bagheria. L’atteggiamento sfrontato dell'uomo, fermato come Ficano nel blitz di lunedì, era stato punito con violenza dal clan che aveva anche deciso la sua eliminazione.

L’operazione Persefone

L’episodio del pestaggio e i tre fermi eseguiti questa mattina rientrano nell’ambito dell’inchiesta che lunedì scorso ha portato al fermo di otto persone indagate a vario titolo per associazione a delinquere di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione e lesioni personali aggravate.

Secondo la ricostruzione della Dda al vertice del clan c’era Ficano, che poteva contare anche su Onofrio ‘Gino’ Catalano (ritenuto ex reggente), Bartolomeo Scaduto, Giuseppe Cannata, Salvatore D’Acquisto, Giuseppe Sanzone e Carmelo Fricano. I due capi (Ficano e Catalano), nonostante il travagliato avvicendamento alla guida della famiglia, si sarebbero impegnati per mantenere il controllo del territorio con la "politica delle estorsioni".

Oltre a ciò avrebbero assunto la ferrea direzione delle piazze di spaccio - settore in cui operano solo le persone "autorizzate" da Cosa nostra - così da avere una fonte di profitto per le casse del clan e per il sostentamento dei carcerati e delle loro famiglie.

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