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Mafia Brancaccio

Azzerato uno dei processi contro il clan di Brancaccio, gli imputati tornano liberi

Nullo per la Corte d'Appello il decreto di rinvio a giudizio per 15 persone coinvolte nel blitz "Maredolce": il gup era incompatibile perché aveva disposto alcune intercettazioni durante le indagini. Si riparte dall'udienza preliminare. Alla sbarra anche Giovanni Lucchese, nipote del killer "Lucchiseddu", e Claudio D'Amore, già condannati a 17 anni a testa

Il processo contro la mafia di Brancaccio, nato dall'inchiesta "Maredolce" del 2017, era approdato in appello ed aveva già determinato condanne pesanti in primo grado, oggi però la prima sezione della Corte d'Appello, presieduta da Mario Fontana, ha deciso che è tutto da rifare: il gup che rinviò a giudizio gli imputati - come ha sancito la Cassazione il 26 novembre del 2018 - era incompatibile, perché da gip aveva firmato alcuni decreti di intercettazione. Ed è proprio dall'udienza preliminare che il processo a carico di 15 imputati dovrà ripartire. Nel frattempo alcuni di loro tornano liberi.

I giudici, anche sulla scorta di una sentenza delle Sezioni unite della Cassazione emessa a luglio dell'anno scorso, hanno accolto le richieste degli avvocati Antonio Turrisi, Salvo Priola, Guido Galipò, Corrado Sinatra e Tommaso De Lisi.

La decisione giova soprattutto a coloro che avevano avuto pene pesanti in primo grado, con la sentenza emessa il 10 luglio dell'anno scorso dalla seconda sezione del tribunale, ovvero Vincenzo Vella (20 anni), Giuseppe Caserta (18 anni), Claudio D'Amore e Giovanni "Johnny" Lucchese (17 anni), nonché Cosimo Geloso (16 anni). Lucchese, nipote di uno dei killer più feroci di Cosa nostra, Giuseppe Lucchese, alias "Lucchiseddu", aveva a un certo punto deciso di collaborare con la giustizia, salvo poi tornare sui suoi passi.

Per gli altri le pene erano state molto più lievi 2 anni e 2 mesi a Bruno Mazzara (già scarcerato dopo la sentenza di primo grado), 2 anni ciascuno per Francesco Paolo Saladino e Pietro Clemente, un anno e 8 mesi per Marcello La Cara, un anno e mezzo a testa per Tiziana Li Causi, Maurizio Stassi e Francesco Tarantino, 8 mesi per Michele Rubino, 6 mesi ciascuno per Vincenzo Passantino e Salvatore Scafidi.

Il pasticcio che ha azzerato il processo parte da lontano. Già durante l'udienza preliminare, infatti, gli avvocati avevano ricusato il gup Guglielmo Nicastro che, tuttavia, rinviò a giudizio gli imputati prima ancora che la Corte d'Appello si pronunciasse sulla ricusazione. I giudici diedero poi torto agli avvocati che impugnarono la decisione in Cassazione. Qui, invece, a novembre 2018, venne sanicita l'incompatibilità del gup che aveva disposto alcune intercettazioni durante le indagini.

Nel frattempo, però, il dibattimento era già iniziato in tribunale e il collegio decise di andare avanti. Con il ricorso in appello, il problema della ricusazione è stato nuovamente sollevato e stavolta i giudici hanno deciso di azzerare tutto, sancendo la nullità del decreto di rinvio a giudizio.

Nello stesso processo erano stati scagionati in otto e per loro le assoluzioni sono ormai definitive. Si tratta di Paola Carini, Paiva Isabel Cristina De Oliveira, Giovanni Di Pasquale, Alfonso Domenico Imperiale, Antonio Ingo, Stefano Marino, Filippo Rotolo e Pietro Rovetto.

Con l'inchiesta "Maredolce" era tra l'altro emerso che i boss, oltre ai traffici più tradizionali, sarebbero riusciti a fare affari milionari in tutta Italia con lo smercio di pallet e imballaggi industriali, sfruttando prestanome e società cartiere, tanto che erano stati sequestrati beni per 60 milioni.

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