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L'aspirante pentito Fontana: "Il pizzo? Una vergogna, non ne abbiamo mai avuto bisogno"

Il boss dell'Acquasanta spiega che gli unici soldi che avrebbe incassato sarebbero gli affitti di alcuni immobili "e non sempre perché c'è la crisi". Nega di aver mai fatto un'estorsione e sulle scommesse afferma: "Io so giocare solo a scopa". Parla di alcuni dei suoi 83 coimputati nel processo contro il clan: "Mai avuto nulla a che fare con loro"

"Mai fatta un'estorsione, lo garantisco al 100 per cento, noi non abbiamo bisogno delle 300, delle 700 euro per il lavoro che noi facciamo di andare a... cioè, mi creda, sono vergogne" e, anche se lui stesso ammette che i beni ricondubili alla sua famiglia individuati con l'inchiesta "Mani in pasta" non sarebbero neppure il 10 per cento del patrimonio reale, l'aspirante pentito Gaetano Fontana, interrogato dal gip Piergiorgio Morosini il 9 ottobre scorso, finisce per sostenere che assieme ai suoi parenti avrebbe incassato soltanto somme legate all'affitto di alcuni immobili in città. E neanche sempre "perché c'è la crisi, gente che non paga...".

Indica poi alcuni dei suoi 83 coimputati nell'udienza preliminare fissata per il 26, ma respingendo gli addebiti. Giura - sempre sui suoi figli - di non c'entrare nulla, per esempio, con Giovanni Ferrante, che secondo il procuratore aggiunto Salvatore De Luca ed i sostituti Amelia Luise e Dario Scaletta, sarebbe stato invece il braccio palermitano del clan dell'Acquasanta ormai in buona parte residente a Milano.

Il gip: "O c'è qualcosa di nuovo o ci fermiamo qui"

Finora le dichiarazioni del boss che dice di volersi "aprire a 360 gradi" non hanno affatto convinto i magistrati. E nel verbale è lo stesso giudice ad incalzarlo e a dirgli: "Se lei comincia a dire 'la mia è un'apertura a 360 gradi' dopo che finora ha negato praticamente tutti gli addebiti, è legittimo, però noi su queste cose la valutazione l'abbiamo fatta: o c'è qualcosa di nuovo o ci fermiamo qui".

L'udienza preliminare con 84 imputati

Durante l'interrogatorio, che Fontana aveva chiesto in autunno per poter ottenere gli arresti domiciliari (che il gip non aveva voluto concedergli), i pm gli chiedono di raccontare ciò che sa di diversi degli arrestati nel maxiblitz "Mani in pasta", messo a segno l'anno scorso dalla guardia di finanza. L'udienza preliminare si terrà la settimana prossima, ma le informazioni fornite da Gaetano Fontana - almeno nel verbale di ottobre - appaiono abbastanza generiche e rafforzano solo fino ad un certo punto le contestazioni della Procura.

"Conosco Passarello e Biondo, ma non ho mai avuto a che fare con loro"

"Conosco Domenico Passarello - dice Fontana - un portatore di guai, mai avuto a che fare, mai avuto un buon rapporto... Veniva a Milano solo per mio fratello Giovanni e per sua sorella, perché la sorella di Passarello è la moglie di mio fratello Giovanni... Nel 2015-2016 ho risentito il nome di Passarello perché era chiacchierato da qualche detenuto". Afferma di conoscere poi anche "Giulio Biondo, sono dell'Acquasanta, lo conosco da ragazzino e aveva una società che gestiva queste slot machine, non ho mai condiviso nulla con lui. Mio fratello Giovanni aveva qualcosa con Giulio Biondo".

"Giovanni Ferrante? Non mi è mai piaciuto"

Il boss nega legami e affari anche con Giovanni Ferrante: "Giovanni Ferrante ufficialmente è parente perché è cugino, ma l'ho conosciuto da grande, nel 2006-2007, quando suo padre chiese a mio padre se poteva far lavorare il figlio in una ditta ai cantieri navali, dove già era operaio il padre di Ferrante (Michele, ndr)... Non ho mai condiviso nulla, no, no, completamente, giudice, mai, mai, mai, mai, mai, anzi... Era un ragazzo molto chiacchierato per quello che andava facendo per strada, era un giocatore ai cavalli, era uno che picchiava la gente per nessun motivo, era una persona che a me non è mai piaciuta, tant'è che nel 2007 lo rimproverai perché aveva picchiato il figlio di un mio amico... Io non ho niente da condividere con queste persone".

Il business del caffè

"Conosco Michele Ferrante (il padre di Giovanni, recentemente ha ottenuto i domiciliari perché la Cassazione ha ritenuto insussistente l'accusa di 416 bis, ndr), ho saputo che lavorava per conto di una rivendita di caffè di Pensavecchia Gaetano, che io conosco bene... Sono uscito nel 2013 e sono venuto a Palermo e ho visto mio padre tre giorni prima che venisse a mancare e mi ha detto che aveva intrapreso un business con Gaetano Pensavecchia, che aveva investito dei soldi... Io sono andato su tutte le furie, un conto era che stava a Palermo che doveva dimostrare al suo ceto sociale il fatto del fratello (cioè per prendere le distanze dal fratello pentito, ndr), un discorso era che iniziava a fare dei business con gente che a me non stava bene...".

"Nella società c'era mio padre ma senza figurare"

E Fontana continua: "Mio padre aveva dato 160-170 mila euro... Pensavecchia aveva ancora bisogno di soldi, dice che gli mancavano 100 mila euro, per recuperare quello che aveva fatto mio padre ho dovuto sborsare 100 mila e rotti euro... Nella Caffè Moka c'era mio padre, ha fatto la società al 50 per cento con Pensavecchia senza figurare formalmente". E' una delle poche aziende per le quali Fontana ammette di c'entrare qualcosa.

"Giuffrida non ha mai preso ordini da noi"

Si sofferma anche su un altro coimputato, Roberto Giuffrida: "Mio fratello Giovanni prendeva uno stipendio da questo Roberto Giuffrida inerente a questa ditta di manticelle, però so che Giuffrida era il presidente della cooperativa Spavesana, dove lavorava Giovanni Ferrante, dove non si comportava bene, che ne aveva fatto un bancomat personale di quest'azienda... Ma Giuffrida non ha mai preso ordini da me e credo nemmeno da mio fratello".

"Sergio Napolitano è solo un frequentatore di discoteche"

Di Sergio Napolitano, Fontana dice: "Conosco Sergio Napolitabo dal 1994 come frequentatore di discoteche a Riccione. Quando mio fratello mi disse che Giovanni Ferrante si vedeva con questo Napolitano io gli ho detto: 'Ma chi è Sergio Napolitano?'. Per me era al di fuori di Cosa nostra Napolitano. Poi ho saputo e ho detto: 'Ma come si trova a Resuttana che è nativo del Capo?'. Io ebbi a dire a mio fratello: 'Guarda che questo qua è un drogato, ma che nesso c'è per Ferrante? Si stanno facendo scudo di noi per cose che a noi non interessano niente'".

"Ferrante era un cane sciolto"

I pm contestano a Fontana che dalle intercettazioni emergerebbe una richiesta di Ferrante proprio a lui: "A me non è mai arrivata la richiesta - ribatte - ma la notizia che questi Ferrante stanno facendo un macello e la gente pensa che dietro ai Ferrante ci siamo noi... Con mio fratello prendo informazioni: 'Giovanni, ma che sta succedendo a Palermo? Questo Ferrante, questo tuo cognato, si sono messi a girare, sono dei cani sciolti', da quello che apprendo in carcere, io non ne so nulla, me n'ero andato da Palermo, io avevo già discrasie con mio padre per queste cose, si figuri se io vado a dare confidenza ad uno come Passarello o Ferrante o a un Sergio Napolitano, non gliel'ho data a quelli più credibili come mafiosi...". 

E insiste: "Glielo giuro, non ho avuto niente a che fare con Giovanni Ferrante, sui miei figli, mai per quanto riguarda Cosa nostra, sapevo che erano dei cani sciolti". Il gip si concentra su questa particolare espressione, rimarcando come - a dispetto del fatto che Fontana sostenga di aver fatto parte di Cosa nostra solo tra il 1994 e il 1997 - la usa e può avere un senso solo "dal punto di vista di Cosa nostra".

"Mio fratello Giovanni dava il 10 per cento dell'utile sugli orologi a mia moglie"

Fontana parla poi del fratello Giovanni: "Mio fratello si era affezionato a fare le mie veci lavorativamente parlando" e il pm sottolinea: "Però divideva 86 mila, 70 mila euro..." e lui: "Sì, sì, è diventato anche bravo... Nel 2015 avevo lasciato circa 9 orologi a Giovanni da poter mettere in giro, commerciare e poter pensare anche a dargli da mangiare a mia mamma, a mia moglie, era il mio capitale quello, ho sempre avuto questa passione, soprattutto nell'alta orologeria d'epoca... Giovanni doveva dare il 10 per cento dell'utile a mia moglie, che era titolare del negozio (a Milano, ndr)".

"Mai avuto interessi nei cantieri navali"

I magistrati fanno parecchie domande al boss perché riveli quali siano i beni di famiglia, ma senza grandi risultati: "Io non ho mai avuto interessi nei cantieri navali... Io non conosco, non so di cosa si tratta, quando io esco gli avevo fatto sapere a mio fratello: 'Non prendere più le cose di papà, a noi non ci interessano, a Palermo non ci andare'".

"Mio padre aveva i carrettini dello scaro"

Parla anche delle carrettini del mercato ortofrutticolo, un business che secondo l'accusa sarebbe stato gestito proprio dai Fontana: "Questi carrelli sono venuto a conoscenza anche quando sono uscito che mio padre mi aveva detto cose che a me, ripeto, non interessavano perché me n'ero andato da Palermo, aveva investito, aveva fatto nuovi carrelli, siccome dentro al mercato ortofrutticolo... Sono i carrelli che gli si dà un servizio a chi accede al mercato ortofrutticolo per caricare le cassette della frutta e portarle poi dentro i camion... ed è il noleggio di questi carrelli portanti, li noleggiano i negozianti... Il mercato non offre questo servizio e si affittano, credo sia 5 euro, gli fa la ricevuta addirittura... Tutti questi carrelli mio padre li aveva fatti fare di nuova generazione, io ero in carcere...".

"Scommesse? Io so giocare solo a scopa"

Il boss non c'entrerebbe nulla neppure con il business delle scommesse: "Per quanto mi riguarda, giudice, da me personalmente, io non ho preso un centesimo per quanto riguarda i pannelli, le slot... Sapevo che giù, io da Tolmezzo, dentro il carcere, entra una persona e mi dice: 'Sai i pannelli...', io non ero interessato e mi dice che all'Acquasanta c'è il cognato di mio fratello Giovanni, insieme a Giulio Biondo, i Ferrante, che hanno questi pannelli dove loro giocano le squadre, io non sono un giocatore, non ho mai giocato, non so giocare, forse so giocare soltanto a scopa e basta... Mio fratello aveva soltanto i carrelli all'ortofrutticolo, che glieli ha lasciati mio padre e una società con Biondo che noleggiavano, tra l'altro non so se in nero, soltanto queste cose, noleggiavano queste, non so cosa sono... Io so che il cognato Domenico Passarello consegnava a mio fratello i soldi dei carrelli e per quanto riguarda delle macchinette da gioco d'azzardo... Non ne sono a conoscenza di queste cose, non erano cose che percepiva la famiglia Fontana".

"Incassavamo solo gli affitti, ma con la crisi..."

I soldi che non nega di aver ricevuto Fontana sono quelli relativi all'affitto di alcuni immobili: "Per quanto riguarda gli affitti dei beni immobili si dividevano, non magari tutti in parti uguali, magari chi aveva più bisogno, però principalmente l'attività nostra... Non è che si scendeva a Palermo ogni settimana o tutti i mesi... e praticamente questi affitti non se ne trovavano mai, perché tra la crisi e quello che non paga e quello che non può pagare, giustamente c'è la crisi e quello che sia, non adesso che c'è il Covid, già prima questi affitti non venivano pagati... Ammontavano sui 7-8 mila euro al mese...Venivano divisi tra mamma, Giovanni, qualcosa Rita, non in parti uguali, io qualche volta sì, qualche volta no, più che altro quando avevo bisogno... Angelo non prendeva niente".

"Mai fatta un'estorsione"

L'aspirante collaboratore di giustizia sostiene infine con fermezza che "non ho mai fatto estorsioni, glielo posso garantire al 100 per cento" e quando sarebbe sceso a Palermo da Milano sarebbe stato solo nell'interesse della "famiglia Fontana di sangue", non mafiosa.
 

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