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Mercoledì, 29 Marzo 2023
Mafia

Da Riina jr a Fifetto Cannella, altri 4 boss vogliono lasciare il 41 bis: no della Cassazione

I ricorsi sono stati rigettati in queste settimane anche per Salvatore Biondo e Andrea Adamo, fedelissimo dei Lo Piccolo e condannato per l'omicidio di un altro mafioso, Nicola Ingarao: "Sono ancora pericolosi e potrebbero riallacciare i contatti con i loro clan". Nei mesi scorsi bocciate le istanze di Pippo Calò e Pietro Aglieri

Altri quattro boss, a cominciare da uno dei figli di Totò Riina, Giovanni, ricorrono in Cassazione contestando l'applicazione del 41 bis. Come già era successo nei mesi scorsi per Pippo Calò, Pietro Aglieri, Giuseppe Madonia e Filippo Matassa, anche in questi casi la Suprema Corte ha però respinto le richieste dei mafiosi, ritenendoli ancora pericolosi e soprattutto capaci di intrattenere contatti, nonostante i tanti anni ormai trascorsi dietro le sbarre. Riina, ma anche Cristofaro "Fifetto" Cannella (alter ego dei fratelli Graviano e condannato all'ergastolo per la strage di Capaci), Salvatore Biondo e Andrea Adamo, fedelissimo del boss Salvatore Lo Piccolo e tra i condannati per l'omicidio di un altro mafioso, Nicola Ingarao, sono stati quindi tutti condannati a pagare le spese processuali e a versare 3 mila euro alla Cassa delle ammende e restano tutti al carcere duro.

Giovanni Riina, erede del padre: "Non si è mai dissociato"

Il ministero della Giustizia aveva prorogato il 41 bis a Giovanni Riina il 19 novembre del 2019 e il tribunale di Sorveglianza di Roma aveva rigettato il reclamo del figlio del "capo dei capi" di Cosa nostra il 21 gennaio scorso. Il regime speciale di detenzione per Riina, condannato anche per alcuni omicidi e che ha già trascorso 23 anni in cella, secondo i giudici è "giustificato dall'inserimento del condannato in una posizione di rilievo nell'ambiente di Cosa nostra, nel quale ricopriva un ruolo significativo, conseguente al fatto che il padre, Totò Riina, a partire dagli anni Ottanta" era stato a capo dell'organizzazione criminale.

Inoltre "il reclamante era stato coinvolto in episodi delittuosi di particolare risonanza nel contesto criminale oggetto di vaglio" e "le attività d'indagine svolte nel corso degli ultimi anni, con il coordinamento della Dda di Palermo, avevano confermato il persistente attivismo dei componenti della famiglia Riina nel contesto mafioso isolano collegato a Cosa nostra, che risultava attestato dagli esiti delle operazioni 'Grande Passo 3' del 2015 e 'Cupola 2.0'".

Per la difesa, invece, "il lungo periodo di detenzione patito da Giovanni Riina non consente di formulare giudizio di attualità dei suoi collegamenti con la criminalità organizzata isolana". Inoltre, il ruolo di Riina sarebbe stato "assolutamente marginale" e il detenuto si sarebbe comportato "sempre correttamente in carcere".

La prima sezione della Cassazione, presieduta da Monica Boni, ha rigettato queste argomentazioni e dichiarato inammissibile il ricorso, sottolineando "il ruolo associativo ricoperto da Giovanni Riina nell'ambiente mafioso corleonese, riconducibile alla figura egemonica di Salvatore Riina" e anche la "assenza di comportamenti intramurari di natura dissociativa".

Fifetto Cannella e la capacità di mantenere contatti con altri boss

Anche Fifetto Cannella aveva presentato un reclamo contro la proroga del carcere duro, emessa il 30 gennaio 2019, che era stato bocciato dal tribunale di Sorveglianza di Roma il 9 luglio dell'anno scorso. Una decisione che adesso è stata confermata anche dalla settima sezione della Cassazione, presieduta da Filippo Casa. I giudici hanno rimarcato come Cannella sia "esponente di spicco del mandamento mafioso di Brancaccio, con particolare vicinanza ai fratelli Graviano, nonché componente del gruppo di fuoco di Nino Mangano e Leoluca Bagarella" e messo in evidenza la sua "capacità di mantenere i contatti con gli affiliati in latitanza o in libertà, tra i quali rileva Matteo Messina Denaro".

La difesa ha tra l'altro battuto, invece, sulla "assenza di tentativi di contatti esterni e la prova tangibile del ravvedimento nel percorso inframurario". Anche in questo caso, però, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile ed ha condannato Cannella.

Salvatore Biondo "è ancora pericoloso"

Stessa storia per Salvatore Biondo, che era ricorso in Cassazione contro l'ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Roma del 12 novembre dell'anno scorso che aveva confermato la proroga del 41 bis. La settima sezione, presieduta da Enrico Giuseppe Sandrini, ha condannato il detenuto ritenendo legittima la decisione precedente.

Andrea Adamo e la fedeltà a Salvatore Lo Piccolo

Andrea Adamo ha impugnato in Cassazione l'ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Roma del 14 gennaio scorso con la quale era stata ritenuta corretta la proroga del 41 bis sancita col decreto ministeriale del 22 ottobre 2019 e nella quale era stato messo in risalto il "ruolo di spicco in Cosa nostra, un forte inserimento nel mandamento mafioso di Brancaccio e il suo rapporto personale con Salvatore Lo Piccolo", nonché la condanna per l'omicidio di Ingarao avvenuto a giugno del 2007.

Secondo la difesa del boss, però, la sua pericolosità non sarebbe attuale, anche per il lungo periodo trascorso in carcere. Inoltre, l'avvocato ha puntato sulla presunta "marginalità associativa" di Adamo, che infatti non avrebbe avuto alcun rapporto con la maggior parte degli esponenti del suo ambiente mafioso, cioè quelli del mandamento di Brancaccio, in buona parte in carcere anche loro, peraltro.

La prima sezione della Cassazione ha giudicato il ricorso inammissibile, sottolineando che, tra le altre cose, che Adamo, durante la latitanza di Lo Piccolo "si occupava di mantenere i rapporti tra il latitante e i vertici del mandamento mafioso di Brancaccio" e ha condannato anche lui.
 

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