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Cronaca

Strage Rapido 904, la Cassazione dice no a Pippo Calò: non si farà un nuovo processo

Il cassiere di Cosa nostra è stato condannato all'ergastolo per l'attentato del 1984, ma dopo l'assoluzione di Totò Riina come mandante chiedeva la revisione: "Non avrei potuto agire senza l'ok della Cupola". Per i giudici però non ha portato nuovi elementi che consentano di scagionarlo

Respinta definitivamente la richiesta di revisione del cassiere di Cosa nostra, Pippo Calò, 89 anni, in relazione alla condanna all'ergastolo rimediata nel 1992 per la strage del Rapido 904, quella che con una bomba il 23 dicembre del 1984 provocò la morte di 16 persone che viaggiavano sul treno Napoli-Milano. Un'istanza che il mafioso aveva avanzato dopo l'assoluzione di Totò Riina come mandante dell'attentato, sostenendo che non avrebbe mai potuto organizzarlo da solo, ad insaputa del capo di Cosa nostra. La Cassazione adesso ha confermato la decisione della Corte d'Appello di Genova, ritenendo che non ci siano i nuovi elementi idonei a riaprire il processo e a scagionare Calò. 

Per la difesa del condannato, che aveva presentato ricorso alla Suprema Corte, i giudici di Genova avrebbero respinto la sua richiesta senza contraddittorio. Inoltre, l'avvocato dava per assodato che "la sentenza di assoluzione di Salvatore Riina aveva smentito che la strage fosse attribuibile a Cosa nostra e alcuni collaboratori di giustizia avevano escluso il coinvolgimento di Calò".

Nella richiesta era stato evidenziato anche che "secondo le regole di Cosa nostra, la strage avrebbe potuto essere decisa soltanto dalla Commissione e che i collaboratori di giustizia avevano escluso che fosse stata tenuta una riunione della Commissione per decidere quell'azione". Inoltre, diceva ancora la difesa, "il processo aveva permesso di escludere l'ipotesi di una decisione adottata da Calò in totale autonomia, per di più, in qualità di 'cassiere' della mafia, Calò non era certamente un organizzatore di attentati o di stragi". Infine "l'ipotesi che Calò si fosse appoggiato ad esponenti camorristici o dell'eversione di destra per organizzare l'attentato all'insaputa di Riina era del tutto congetturale".

Per la Suprema Corte, però, "il ricorso è infondato e deve essere rigettato". Rimarcano infatti i giudici che, come rilevato dalla Corte d'Appello, la richiesta "si presentasse del tutto generica quanto al mezzo di prova nuova di cui si chiedeva l'assunzione, non essendo stato indicato alcun nominativo di testimone e/o imputato di reato connesso" e, tra l'altro, neanche quelli dei collaboratori di giustizia.

Inoltre, dicono gli Ermellini, "nella richiesta di revisione, non può essere proposto soltanto un quadro d'insieme che faccia intravedere la possibilità di un proscioglimento del condannato (quadro d'insieme che, nel caso di specie, comprendeva ampie citazioni della sentenza di annullamento con rinvio della prima condanna di Calò del 1991, ma nessuna della sentenza del 1992 che, confermando invece la condanna l'aveva resa definitiva); deve invece essere enunciato un quadro probatorio preciso sulla base del quale il giudice deve effettuare la valutazione di ammissibilità".

La Cassazione argomenta poi che per "ritenere decisive le prove offerte nella richiesta di revisione occorreva escludere che Calò poteva aver deciso di sua iniziativa di compiere la strage, ma si trattava di una deduzione non necessitata. Del resto, era stata la stessa richiesta di revisione a mostrare una qualche incertezza proprio su questa deduzione: osservando che 'appare assolutamente improbabile che il Calò avesse assunto l'iniziativa in totale autonomia, addirittura senza alcuna autorizzazione della Commissione a suo rischio e pericolo'".

Infine "si aggiunga che - come è noto - il ruolo di Calò all'interno dell'organizzazione e le sue azioni e iniziative a Roma erano rimaste, in buona parte, sconosciute e misteriose, cosicché dalla deduzione pretesa dal richiedente la revisione appariva ancora meno necessitata. In definitiva - conclude la Cassazione - l'improbabilità che Calò avesse deciso ed attuato la strage all'insaputa o contro la Commissione e il suo capo Salvatore Riina era un dato insufficiente ai fini della revisione, perché, come più volte sottolineato, la richiesta deve dimostrare la necessità di assolvere il condannato".

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