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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Brancaccio

I boss e l'alleanza con gli spaccaossa per truffare le assicurazioni: 11 condannati

La sentenza è stata emessa con il rito abbreviato. Vent'anni di carcere al mafioso di Brancaccio, Stefano Marino, 14 al fratello Michele. Il giudice ha anche deciso scagionare altri tre imputati: Massimiliano Vultaggio, Sebastiano Giordano e Paolo Di Carlo

Arriva a sentenza anche l'ultimo processo nato dalle diverse inchieste sul filone dei così detti spaccaossa, che ruota intorno a finti incidenti stradali organizzati però con vittime ferite appositamente, al fine di truffare le compagnie assicurative, ed è quello su presunti interessi di Cosa nostra nell'affare milionario. Il gup Ermelinda Marfia ha inflitto, con il rito abbreviato, 11 condanne, ma ha anche deciso di assolvere tre imputati, Massimiliano Vultaggio (difeso dall'avvocato Riccardo Bellotta), Sebastiano Giordano (assistito dall'avvocato Carmelo Adamo) e Paolo Di Carlo.

Tra gli imputati condannati, i fratelli mafiosi di Brancaccio, Stefano e Michele Marino (per i quali la Procura aveva chiesto 20 anni di carcere a testa), ai quali sono stati inflitti rispettivamente proprio 20 anni di reclusione e 14 anni: il secondo, infatti, è stato assolto da alcuni capi d'imputazione. All'ex poliziotto, Vincenzo Di Blasi, che sarebbe stato la loro "talpa" e che avrebbe fornito loro informazioni riservate su indagini e intercettazioni in corso, avvertendo persino uno di loro prima di un blitz, sono stati inflitti 8 anni. Quattordici anni di reclusione a Nicolò Giustiniani, 11 anni, 2 mesi e 10 giorni a testa per Ignazio Ficarotta e Angelo Mangano, 6 anni e 8 mesi ciascuno a Raffaele Costa e Pietro Di Paola, 6 mesi a Paolo Rovetto, un anno e 2 mesi a Salvatore Puntaloro e 10 mesi a Giuseppe Chiappara.

Altri tre imputati hanno invece optato per il dibattimento e sono attualmente sotto processo davanti al tribunale. Si tratta di Antonino Chiappara, Jonathan Varrica, detto "Johnny", e Salvatore Mendola.

L'inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dai sostituti Francesca Mazzocco, Daniele Sansone e Alfredo Gagliardi, era culminata in 9 arresti il 19 novembre del 2019. Un filone era dedicato anche ad un altro business, sempre fiorente, che sarebbe stato gestito dai boss di Brancaccio, ovvero quello della droga, e diversi imputati rispondono infatti di reati legati soltanto a questo.

Spaccaossa a Brancaccio: le foto degli arrestati

Secondo la ricostruzione dell'accusa, i boss non si sarebbero sporcati le mani con vittime consenzienti da mutilare (con il lancio di pesi da palestra o di mattoni di tufo), ma si sarebbero inseriti nella parte finale e più "pulita" della truffa, ovvero al momento di incassare i premi dalle assicurazioni. Dalle intercettazioni emergeva che i mafiosi avrebbero acquistato da Vultaggio diverse pratiche legate a finti incidenti.

I Marino, però, si sarebbero occupati anche di droga e si sarebbero serviti in particolare di Giustiniani. Questi, come era venuto fuori dagli accertamenti della polizia, in pochi mesi sarebbe stranamente riuscito a costruire una villa con piscina e rifiniture di lusso a Ficarazzi, nonostante risultasse percettore del Reddito di cittadinanza. Sussidio del quale, peraltro, beneficiavano anche Stefano Marino, Ficarotta, Di Paola e Mangano.

Le inchieste sugli spaccaossa sono partite tutte dal blitz "Tantalo", dell'agosto 2018, il primo che mise in luce la pratica barbara e crudele che i truffatori avrebbero utilizzato approfittando delle difficoltà economiche delle vittime consenzienti. Decine di persone che, pur di incassare poche centinaia di euro, erano disposte a farsi rompere braccia e gambe, spesso senza alcuna anestesia e riportando in alcuni casi invalidità permanenti. Le bande di spaccaossa, invece, sarebbero riuscite ad incassare ben altre somme di denaro: secondo una stima degli investigatori, il valore del business delle truffe con i finti incidenti stradali si aggirerebbe oltre i 12 milioni di euro.

Dopo il primo blitz ne seguirono altri quattro, anche grazie alla collaborazione con i magistrati di alcuni degli indagati, che avevano svelato nomi e meccanismi dell'imbroglio. Adesso tutte queste indagini, maturate per lo più nel 2019, sono giunte a sentenza di primo grado.

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