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Cronaca

“Imprenditore vicino ai boss”, maxi sequestro da 210 milioni

L'operazione è stata condotta dalla guardia di finanza. Giuseppe Sammaritano, operante nel settore dei detersivi e prodotti per la casa, sarebbe stato "a stretto contatto" alle famiglie della Noce, di Torretta e di Carini

Beni per un valore di 210 milioni di euro sono stati sequestrati dalla guardia di finanza, in esecuzione di un provvedimento emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale su proposta della Procura, a un imprenditore della grande distribuzione, Giuseppe Sammaritano, già indagato tra il 2008 ed il 2009, per associazione mafiosa e riciclaggio aggravato, e condannato nel 2007 per favoreggiamento. (Guarda il video)

Secondo indagini del Gico, Sammaritano - palermitano di 59 anni - era in relazione con le famiglie mafiose della Noce, di Torretta e di Carini. Di lui hanno parlato diversi collaboratori di giustizia e il suo nome emerge anche da alcuni "pizzini" sequestrati al boss Salvatore Lo Piccolo. Tra i beni sequestrati, sei società operanti nel settore della grande distribuzione di detersivi e prodotti per la casa tra Palermo e Carini, 6 terreni tra Palermo e Partinico, 36 fabbricati di diversa tipologia tra Palermo, Partinico, Trappeto e San Vito Lo Capo, due auto, una Mercedes e un'Audi, e disponibilità finanziarie per circa 7 milioni di euro.

A carico dell'imprenditore, tra l'altro, le dichiarazioni del pentito collaboratore di giustizia Calogero Ganci, che lo ha definito come persona "vicina" alla famiglia mafiosa del quartiere palermitano della Noce, della quale avrebbe messo a disposizione le sue attività  imprenditoriali, nel 1995, per il reimpiego di oltre 300 milioni di vecchie lire di provenienza illecita. Di analogo tenore le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Giuseppe Briguglio, per il quale l'imprenditore, in rapporto con soggetti del mandamento di Pagliarelli, nel periodo di transazione dalla lira all'euro aveva consegnato a esponenti di spicco di Cosa nostra, per il "cambio", ben 500 milioni di dubbia provenienza.

L'interessamento della famiglia mafiosa di Carini per le attività  economiche dell'imprenditore è emerso, invece, dal contenuto di alcuni "pizzini" in possesso di Lo Piccolo al momento della sua cattura. Uno dei messaggi, poi riscontrati con intercettazioni telefoniche e ambientali, faceva riferimento all'acquisizione da parte dell'imprenditore di alcuni immobili e al versamento a Cosa nostra di 200 mila euro a titolo di mediazione.

Le indagini patrimoniali dei finanzieri, corroborate da una consulenza contabile disposta dalla Procura, hanno poi evidenziato che la società  con cui l'imprenditore, nei primi anni '90, ha iniziato la sua attività  presentava valori di bilancio irrisori o addirittura negativi. Del successivo autofinanziamento (per ben 7 miliardi delle vecchie lire tra il 1995 ed il 2000) non è stata riscontrata alcuna provenienza dalla contabilità societaria e le somme sono risultate sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati dall'imprenditore e dai suoi familiari.


 

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