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Cronaca

Il neopentito: "La mafia è un cancro, ecco chi comandava e come imponeva il pizzo"

Alfredo Geraci racconta la sua affiliazione "senza punciuta", l'amicizia col boss D'Ambrogio che "mi disse di sposarmi in chiesa", il tariffario per i detenuti che ricevevano anche "ceste e capretti", il ruolo dei fratelli Mulè "che fanno il saluto fascista" e il racket alle "lambrette che portano in giro i turisti"

"Per me Cosa nostra è un cancro peggiore di quello che ho realmente, voglio cambiare vita". A dirlo è Alfredo Geraci, 41 anni, neopentito ed ormai ex affiliato ("senza punciuta") al clan di Porta Nuova, che era vicino al boss Alessandro D'Ambrogio ("che mi ha chiesto di sposarmi in chiesa, di avere un atteggiamento meno godereccio, perché mi riteneva un soggetto valido"). Nel suo primo verbale, del 24 settembre, racconta la sua storia, rivela il tariffario del mantenimento dei carcerati ("a Natale mandavamo pure ceste e capretti"), descrive il ruolo dei fratelli Salvatore e Massimo Mulè a Ballarò ("salutano spesso col saluto fascista a dimostrazione della loro caratura"), parla del pizzo imposto alle "lambrette che portano in giro i turisti per la città" e delle sue conoscenze nella varie famiglie mafiose della città.

"Il boss D'Ambrogio non voleva l'attentato al pm Di Matteo"

Il verbale è stato depositato nel processo nato dall'inchiesta "Octopus", sulla gestione mafiosa della sicurezza nei locali (un tema al quale è dedicato un altro verbale di oltre cento pagine). Geraci, assisito dall'avvocato Gloria Lupo, risponde alle domande del sostituto procuratore Amelia Luise. E non mancano gli omissis.

"La mafia è un cancro, voglio cambiare vita" 

"Ho parlato con i miei famigliari che condividono la mia scelta, ma comunque ho deciso di collaborare con la giustizia", iniziano così le dichiarazioni del neopentito, che più avanti spiega: "Voglio cambiare vita, amo la mia famiglia e vorrei ricominciare una nuova vita. Per me Cosa nostra è ormai un cancro peggiore di quello che ho realmente. Intendo precisare che non ho fatto questa scelta perché non sopporto la galera, in quanto sono sicuro che per la mia grave situazione di salute mi ridarebbero gli arresti domiciliari, come più volte avvenuto. Sono stato catturato nel 2013 con l'operazione Alexander, assolto in primo grado e condannato in secondo. Ho chiesto alla buonanima di mia madre di farmi condannare per cose brutte che così avrei preso a piene mani il coraggio per cambire vita e collaborare con l'autorità giudiziaria".

"Con D'Ambrogio siamo amici da bambini"

Spiega Geraci: "Ho fatto parte di Cosa nostra come picciotto alle dipendente di Nino Ciresi. Sono amico di D'Ambrogio da bambini e quando sono uscito dal carcere il 13 dicembre del 2011, lui nel marzo 2012, mi ha chiesto di supportarlo. All'epoca il mandamento di Pagliarelli si gestiva anche alcune cose di Porta Nuova e Ballarò era tenuta da Giovanni Castelli. Ricordo un'importante mangiata tra D'Ambrogio e Giulio Caporrimo a Villa Pensabene per parlare di sistemazione organizzativa nei mandamenti. Poco dopo hanno arrestato Giovanni Castelli e D'Ambrogio ha preso il comando di Palermo Centro. Io ho sempre accompagnato il capodecina Ciresi, che gestiva me e Giuseppe Di Maio per gli affari illeciti di Ballarò. 

"Sposati in chiesa e diventa meno godereccio..."

"Non sono mai stato affiliato con la punciuta - racconta ancora il collaboratore - D'Ambrogio mi ha chiesto di sposarmi in chiesa e di diventare più serio a livello di costumi perché mi riteneva un soggetto valido e mi faceva comprendere che con un atteggiamento meno godereccio della vita avrei potuto aspirare ad altre funzioni; quindi sono rimasto soggetto a disposizione con mansioni esecutive, salvo che per un periodo, nell'agosto 2013, appena uscito dal Pagliarelli, quando mi venne offerta la possibilità da Giuseppe Di Giacomo di occuparmi del quartiere Ballarò, affiancanto da Stefano Comandè. In particolare fu D'Ambrogio a dirmi che Giuseppe mi voleva parlare per la suddetta proposta. A noi si è affiancato Gianni Catalano (sotto le mie direttive), che è buttafuori e gestice cole fratello Andrea un'agenzia di servizi di sicurezza. So che tale agenzia è gestita da loro anche se formalmente è intestata a un prestanome".

"Ai capi detenuti 750 euro, ai picciotti 500"

Geraci rivela poi che "all'epoca un uomo, che ha usucapito un magazzino a Ballarò, fu una nostra vittima: gli chiedemmo 3 mila euro o il magazzino perché dovevamo sostenere i detenuti di Palermo Centro (tra i quali annovero Giovanni Castelli, Giuseppe Fava, Coniglio di cui non ricordo il nome e che venne poi tolto dalla lista da Tommaso Lo Presti perché qualcuno gli avevano ucciso il padre, Franco Mulè, indicato come 'papà', Massimo Mulè, Paolo Lo Iacono, Silvio Mazzucco ecc.)". Ed elenca il tariffario del mantenimento dei carcercati: "I capi prendevano 750 euro ciascuno (come i due Mulè) mentre i picciotti ricevevano 500 euro al mese. A Natale portavamo anche ceste e capretti alle famiglie dei detenuti. Ho sempre avuto grande stima per D'Ambrogio, sempre molto equo come capo mafioso nella ripartizione dei proventi di mafia per le famiglie dei detenuti".

"I Mulè salutano col saluto fascista..."

Geraci spiega poi i suoi rapporti con i Mulè: "Avevo in quel periodo solo qualche conflitto con Salvatore Mulè che, anche se uscivamo insieme, non digeriva bene la mia designazione come referente per quella zona che considerava da sempre spettanza della sua famiglia. I rapporti tra noi comunque sono stati sempre buoni, tant'è che poi quando gli hanno ridato la responsabilità di Ballarò, io ho continuato ad operare a livello mafioso sotto le sue direttive. I Mulè salutano spesso col saluto fascista, a dimostrazione della loro caratura, ben diverso è il loro atteggiamento rispetto a quello molto carismatico di D'Ambrogio".

Il "battesimo" di Salvo Mulè

"Io - dice ancora il neopentito - preferivo sottostare a Salvo Mulè, cui davo il rescoconto delle mie giornate ogni sera. Nel 2014 Salvo Mulè viene battezzato, cioè affiliato da Tommaso Lo Presti, diventando così uomo d'onore. Tale circostanza mi è stata narrata dallo stesso Mulè una sera fuori dal suo locale, da cui solitamente ci allontanavamo per lunghe passeggiate per ovviare ad eventuali intercettazioni: mi riferì in particolare che da quel momento reggeva Palermo Centro così affermando 'ora ci sono io a Palermo Centro' e aggiunse che insieme a lui era stato affiliato anche Paolo Calcagno, designato reggente di Porta Nuova nel caso di carcerazione di Lo Presti". E poi aggiunge: "Nel dicembre 2015 vengo arrestato e resto dentro fino a gennaio 2016. Una volta uscito, Massimo Mulè era libero ed ora so che è reggente di Palermo Centro, se non di Porta Nuova". Seguono omissis.

Le conoscenze negli altri mandamenti

Geraci riferisce poi delle sue conoscenze nei vari clan. Alla Noce "non sono a conoscenza di soggetti del mandamento, ho conosciuto Totò Alfano in carcere e so che era lì per la rapina commessa forse al Monte di Pietà con Salvino Sorrentino e Franco Maniscalco. So che è persona rispettata e valida in Cosa nostra". A Resuttana "ho conosciuto Giuseppe Fricano e per Resuttana ricordo che portavo ambasciate a Fricano nell'officina di via Libertà su appuntamenti che cercava D'Ambrogio per vederlo. Ricordo in particolare di aver fatto da tramite anche per una visita al Policlinico da parte di Fricano a D'Ambrogio in quel periodo lì ricoverato per una liposuzione". Tra Villabate e Bagheria "Tonino Lauricella è soggetto appartenente al predetto mandamento". Seguono anche in questo caso degli omissis.

Il pizzo alle lambrette per i turisti

Geraci racconta poi del pizzo imposto alle lambrette usate dai turisti: "Io e Nino Ciresi abbiamo chiesto alle lambrette che portano in giro i turisti per la città il pizzo, in particolare lo esigeva Nino Romagnolo, poi deceduto. Il porto - chiarisce - è sotto la giurisdizione di Palermo Centro e siccome le lambrette partono da lì esigevamo per ogni viaggio una somma per la messa a posto con Cosa nostra. Nel porto c'era un botteghino dove avevamo una persona che poteva contarci i passaggi di lambrette quindi Romagnolo non avrebbe mai potuto fare la cresta. Quando subentra Salvo Mulè a Ballarò, Lo Iacono ci disse che non ci dovevamo occupare più di questa riscossione. Da un successivo incontro con Romagnolo, venni a sapere che anche a lui era stata intimata la stessa cosa, anche con brutte minacce per le quali era rimasto male".
 

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