La Cassazione boccia la Procura: "Giusto concedere i domiciliari al boss Giacomo Teresi"
"Non c'è prova che possa fuggire, il ricorso dei pm esprime più un dissenso personale che la deduzione di vizi riscontrabili". Il ritorno a casa del mafioso di corso dei Mille ad aprile aveva sollevato tante polemiche. Dopo una condanna a 12 anni era tornato in carcere, ma il Riesame aveva annullato la decisione
Non c'è alcuna prova concreta che possa fuggire e gli elementi portati a sostegno della "estrema pericolosità" del boss di corso dei Mille, Giacomo Teresi, 74 anni e affetto da diverse patologie, non sono attuali. E' per questo che - in estrema sintesi - la prima sezione della Cassazione ha bocciato il ricorso della Procura di Palermo contro gli arresti domiciliari concessi al mafioso ad aprile, confermando quindi che la misura cautelare è invece idonea. Per i giudici "il ricorso è infondato e non merita accoglimento" e "esprime più un personale dissenso alla decisione, piuttosto che la deduzione di vizi effettivamente riscontrabili".
Il ritorno a casa di Teresi aveva suscitato mille polemiche perché il suo nome era stato erroneamente inserito da diversi giornali tra quelli dei boss scarcerati con il "pretesto" del Covid, in virtù dei decreti emergenziali del governo nazionale. Il mafioso in realtà aveva già goduto per molto tempo degli arresti domiciliari, ma a febbraio, dopo una nuova condanna per 416 bis rimediata con il processo "Maredolce", il giudice aveva deciso di imporgli la detenzione in carcere.
Una scelta che la difesa di Teresi, rappresentata dall'avvocato Raffaele Bonsignore, aveva impugnato al tribunale del Riesame, che ad aprile gli aveva dato ragione, ritenendo che l'imputato potesse stare ai domiciliari. Secondo i giudici, non vi sarebbero stati elementi per dimostrare che Teresi sarebbe scappato dalla sua abitazione, visto che non lo aveva fatto né in seguito alla condanna riportata il 5 gennaio del 1998 né dopo quella del 28 ottobre 2010.
A ricorrere in Cassazione contro questa decisione è stata la Procura, secondo cui, invece, non si sarebbe potuto escludere il pericolo di fuga, visto che Teresi (nella foto) non avrebbe sempre rispettato le regole della detenzione a casa. Inoltre il suo ruolo partecipativo a Cosa nostra "è risalente e stabile" e sarebbe dimostrata "la sua estrema pericolosità per essere stato coinvolto in un progetto di attentato contro l'ex procuratore della Repubblica di Palermo, Giancarlo Caselli, e per essersi dimostrato in grado di mantenere contatti con altri detenuti al 41 bis all'interno di un'aula giudiziaria". Inoltre la Procura ha battuto sui "precedenti ed il ruolo di rilievo svolto nel contesto mafioso, l'entità elevata della pena inflitta ancora da scontare, l'interesse dell'associazione a garantirne la clandestinità" che "depongono per il concreto ed elevatissimo pericolo di fuga".
Queste tesi, però, sono state integralmente respinte dalla Suprema Corte. Sulla pericolosità i giudici rimarcono che quelle messe in evidenza dalla Procura sono "evenienze di un passato lontano oltre vent'anni e non riferite dunque all'attuale condizione criminale e di vita dell'imputato né in sé univocamente significative del rischio che egli si dilegui".
E aggiungono: "Del tutto generica è l'affermazione del ricorrente per la quale 'emerge con chiarezza l'interesse dell'associazione a garantirne una eventuale fuga', che non viene nemmeno illustrata nella sua dimensione fattuale e negli elementi dimostrativi e la cui incertezza quale evento probabilistico è tradita dalla prospettazione come eventuale. Sul punto nulla è dato conoscere per quanto dedotto in ricorso sui legami attuali di Teresi con altri esponenti mafiosi in libertà, su un pregresso tentativo di sottrarsi all'espiazione o all'esecuzione di misura cautelare, sulla dedotta insofferenze per i controlli subiti in precedenza, sulla disponibilità di mezzi materiali, relazioni personali, complicità in grado di consentirgli la possibilità di far perdere le proprie tracce e di evitargli la lunga carcerazione che lo attende in base alla decisione giudiziaria sino al momento assunta". Ecco perché, per la Cassazione "il ricorso, che esprime più un personale dissenso alla decisione, piuttosto che la deduzione di vizi effettivamente riscontrabili, va respinto".