I boss di Brancaccio e gli affari con pizzo, droga, slot e case di riposo: 17 condanne
Le pene più pesanti ai presunti capi del clan, Salvatore Testa e Luigi Scimò, arrestati insieme agli altri imputati a luglio dell'anno scorso con il blitz "Maredolce 2". Il giudice ha disposto anche 12 assoluzioni e oltre 60 mila euro di risarcimento alle parti civili
Pizzo, droga, scommesse, contrabbando di sigarette e persino la gestione di alcune case di riposo. Sono questi i business che avrebbero consentito ai boss di Brancaccio di arricchirsi e di imporre il loro potere sul territorio, come era emerso dall'operazione "Maredolce 2", messa a segno dalla polizia il 2 luglio dell'anno scorso. Oggi il gup Michele Guarnotta, che ha processato 29 imputati con il rito abbreviato, ha inflitto 17 condanne e disposto 12 assoluzioni, accogliendo parzialmente le richieste del procuratore aggiunto Salvatore De Luca e del sostituto Francesca Mazzocco che avevano coordinato l'inchiesta.
Le pene più pesanti sono andate a coloro che, secondo l'accusa, sarebbero stati a capo del clan di Brancaccio, dopo l'arresto nel 2015 di Pietro Tagliavia, ovvero Salvatore Testa e Luigi Scimò: il primo dovrà scontare 16 anni e 8 mesi di carcere, l'altro 14 anni e 4 mesi. Condanne severe anche per Giovanni De Simone (13 anni e 4 mesi) e Aldo Militello (12 anni e 4 mesi) che per conto dei boss avrebbero gestito l'affare delle slot e delle scommesse. Il giudice ha poi inflitto 12 anni di reclusione a Pietro Di Marzo, genero di Scimò, che tra le altre cose avrebbe trattato una partita di droga da importare a Palermo direttamente con il clan calabrese dei Barbaro. Undici anni e 4 mesi dovrà scontare Patrizio Militello e 10 anni e 8 mesi Lorenzo Mineo.
Per gli altri condannati le pene sono più lievi: Carlo Testa 4 anni e mezzo, Pietro Luisi 4 anni e 4 mesi, Pietro Mendola e Paolo Rovetto 3 anni e 4 mesi a testa, Enrico Urso 3 anni, Pietro Rovetto 2 anni e 4 mesi, Vincenzo Machì 2 anni, 2 mesi e 20 giorni, 2 anni ciascuno per Salvatore Li Muli e Caterina Feliciotti, e infine un anno e 4 mesi (pena sospesa) per Rosalia Quartararo.
Sono stati invece del tutto scagionati Girolamo Castiglione (che secondo la Procura avrebbe gestito il contrabbando di sigarette ed è difeso dall'avvocato Tommaso De Lisi), Antonino Marino (accusato di due estorsioni e difeso dall'avvocato Antonio Turrisi), Giuseppe Napoli, Pasquale La Manna, Giovanna Antonella D'Angelo, Santo Li Causi, Gaetano Li Causi, Paolo Leto, Adele Micalizzi, Gioacchino Micalizzi, Stefano Micalizzi e Giuseppe Geloso.
Il gup ha disposto anche il pagamento di una serie di provvisionali - per oltre 60 mila euro in tutto - alle associazioni antiracket e un'azienda che si sono costituite parte civile nel processo, cioè Fai, Sos Impresa, Confcommercio Palermo, Sicindustria, Centro Pio La Rorre, Solidaria e Associazione Antonino Caponnetto.