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Cronaca

Il processo per l'eredità sopravvive agli... eredi: la Cassazione chiude la causa dopo 60 anni

Il caso di una famiglia che si è contesa un patrimonio, composto anche da appartamenti nel centro della città, sin dal 1961. Sul procedimento principale se ne sono innestati altri fino al 2018 e nel frattempo i contendenti sono tutti morti. Ma il testimone è stato preso dai loro figli e poi dai loro nipoti

Più di 60 anni, tanto c'è voluto per mettere fine ad una causa civile legata ad un testamento e alla divisione dei beni tra gli eredi. Senza contare che, nel frattempo, ovviamente questi ultimi sono morti tutti e a loro sono subentrati figli e nipoti, che in eredità si sono trovati appunto il processo, iniziato esattamente il 15 aprile 1961, e sul quale se ne sono innestati altri. Un contenzioso un'infinità di tempo più per la litigiosità dei contendenti che per volontà dei giudici.

Il patrimonio al centro della complessa divisione è senz'altro di valore, con appartamenti in pieno centro della città, ma anche altre proprietà. E forse è proprio questo che ha fatto diventare la contesa così accesa tra le varie parti. Tanto da spingere un ultimo erede a presentare un ulteriore ricorso in Cassazione nel 2018, quando ormai la vicenda sarebbe già stata chiusa definitivamente, per chiedere di revocare quell'ultima sentenza definitiva. Un'istanza che è stata rigettata dalla sesta sezione della Suprema Corte, presieduta da Lorenza Orilia. Chiudendo una volta per tutte la causa, ad oltre 60 anni dal suo inizio.

La prima causa nel 1961

La prima citazione a giudizio risale al 1961, quando M. C. trascina i suoi cinque fratelli e la madre davanti al tribunale di Termini Imerese per la divisione dell'eredità del padre, N. C., deceduto il 19 agosto 1948, sulla scorta di un testamento olografo, redatto proprio dal genitore alcuni mesi prima di morire, il 18 gennaio del 1948. Uno dei fratelli, però, aveva prodotto in quella seda una scrittura privata del 29 aprile 1950 e riteneva che era sulla scorta di quella che si dovesse procedere alla divisione dei beni. 

Gli altri due processi

Il tribunale aveva accolto proprio questa seconda ipotesi e si era proceduto in base alla scrittura privata. La sentenza che aveva chiuso definitivamente questo capitolo della storia risale al 1969. M. C., però, nel frattempo aveva proposto altre due cause: nella prima aveva citato madre e fratelli per ottenere quanto stabilito precedentemente in Cassazione, nella seconda soltanto i fratelli in relazione ad un'altra divisione, riguardante i beni di uno zio, deceduto l'11 gennaio del 1939. 

La morte di tutti gli eredi e la contesa tra cugini di secondo grado

Dopo una serie di interruzioni, legate alla morte di tutte le parti coinvolte, in eredità a figli e nipoti erano rimaste proprio le due cause, che erano state riunite. Il processo è dunque ripreso con da una parte i nipoti di M. C. e dall'altro i loro cugini di secondo grado, il 30 novembre del 2010. I giudici hanno provveduto ad individuare le quote e ad attribuire i beni a ciacuno, definendo anche i relativi conguagli. Era stata anche aperta la successione dell'ormai lontanissimo zio morto nel 1939, sulla scorta di un testamento pubblico. Con una consulenza tecnica erano sati poi individuati dei lotti, assegnati con un sorteggio a ciascun erede.

L'ultimo ricorso in Cassazione nel 2018

La sentenza era stata poi parzialmente rivista il 28 aprile 2015 dalla Corte d'Appello, che aveva disposto che una delle eredi, per i frutti percepiti da alcuni immobile, avrebbe dovuto pagare 10.692 euro agli altri, al posto dei 107.317,41 euro quantificati in primo grado. La decisione era stata impugnata in Cassazione, che aveva respinto i ricorsi nel 2018.  A quel punto, però, quando la questione sembrava ormai definitivamente chiusa, uno degli eredi aveva deciso di presentare un ulteriore ricorso per chiedere la revoca dell'ultima pronuncia. Una richiesta respinta qualche mese fa, a più di 60 anni dall'inizio della causa.

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