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Cronaca

La luce in piazza Verdi durante il vertice Onu: dopo 21 anni non si sa chi deve pagare i lavori

Il lungo contenzioso giudiziario per recuperare circa 22 mila euro avviato dalla ditta che aveva eseguito realizzato le opere nel 2000. Dopo tre gradi di giudizio - durati in media 6 anni l'uno e con esiti contrastanti - i giudici non riescono a chiarire se i soldi debbano essere versati dal Comune o dalla Prefettura. E la Cassazione ordina un nuovo processo

Realizzarono l'impianto per l'illuminazione pubblica nella zona di piazza Verdi e del Teatro Massimo in occasione della conferenza Onu contro il crimine organizzato, che si è tenuta a Palermo nel lontano dicembre del 2000, e ad oggi - a ben 21 anni di distanza - aspettano ancora di ricevere oltre 22 mila euro per quell'opera.

Una vicenda paradossale al centro di un lunghissimo contenzioso giudiziario, avviato dalla capofila dell'associazione temporanea impresa a cui erano stati affidati i lavori, la Alesa Costruzioni srl, che pure verte su una questione in apparenza semplice (e che certamente avrebbe potuto essere risolta in meno di due decenni), cioè chi deve pagare tra il Comune e la Prefettura. E invece neanche dopo tre gradi di giudizio il nodo è stato sciolto definitivamente: la prima sezione civile della Cassazione, presieduta da Pietro Campanile, ha infatti deciso di annullare con rinvio la precedente sentenza, affidando la decisione a un nuovo collegio della Corte d'Appello.

Mediamente oltre 6 anni per ogni grado di giudizio 

La vicenda è un classico esempio di come nel nostro Paese i contenziosi civili - quelli che poi hanno spesso pesanti riflessi anche sull'economia - abbiano tempi biblici e finiscano pure per allontanare possibili di investimento e opportunità di sviluppo, mentre però la politica, che da anni cerca di risolvere il problema, continua a dividersi sul tema della prescrizione nel giudizio penale. Basti pensare che la sentenza di primo grado per il caso dell'illuminazione pubblica in piazza Verdi è del 3 marzo 2008, quella di appello del 10 novembre 2014 e che la Suprema Corte si è invece pronunciata in queste settimane: mediamente si tratta di oltre 6 anni per ogni grado di giudizio. E con sentenze peraltro in contrasto tra loro.

Il dilemma: chi deve pagare?

Andando per ordine: per consentire l'organizzazione della conferenza Onu fu approvato un decreto legge nell'ottobre del 2000, che aveva fissato le regole anche per gli interventi strutturali, deliberati da una commissione speciale, e il contributo economico da parte dello Stato per realizzarli, vista la rilevanza nazionale dell'evento. Il punto da sviscerare, come mette in evidenza la Cassazione, è a chi "attribuire la responsabilità dei pagamenti": alla Prefettura "quale organo periferico dell'amministrazione centrale dello Stato, anche se gli enti pubblici territoriali - e nel caso il Comune di Palermo - avevano espletato le attività di carattere contrattuale con le imprese esecutrici relativamente alle opere approvate". L'argomento, rimarca la Suprema Corte, non ha "precedenti di legittimità". E infatti i giudici si sono pronunciati in maniera opposta finora, senza trovare la quadra.

Per il tribunale tocca al Comune

Il tribunale, nel 2008, accogliendo il ricorso della Alesa Costruzioni, aveva ordinato al Comune di pagare il decreto ingiuntivo da 22.147,94 euro come saldo del credito dovuto per i lavori, ritenendo infondata l'ipotesi che l'obbligo ricadesse sulla Prefettura. Per i giudici, dunque, la responsabilità contrattuale ricadrebbe sul Comune che ha stipulato il contratto di appalto con l'Ati capeggiata da Alesa, anche se "le opere rivestono un indubbio interesse pubblico a livello centrale e l'amministrazione centrale deve finanziare l'erogazione della spesa".

Per la Corte d'Appello spetta alla Prefettura

Una decisione che era stata impugnata da Palazzo delle Aquile e che, nel 2014, era stata ribaltata: la legittimazione a pagare, per i giudici, graverebbe infatti sulla Prefettura, sulla quale incomberebbe non solo l'onere di finanziare l'operazione erogando al Comune la provvista, ma direttamente la responsabilità del pagamento delle imprese appaltatrici. La Alesa Costruzioni, in secondo grado, era stata quindi condannata non solo a restituire le somme eventualmente già percepite dal Comune, ma anche a pagare le spese del doppio grado di giudizio.

Il ricorso in Cassazione

L'azienda ha quindi presentato ricorso in Cassazione, nel ormai lontano 2015, sostenendo sostanzialmente che le norme fissate nel 2000 sarebbero state male interpretate dalla Corte d'Appello, perché "l'interesse statale all'organizzazione della conferenza Onu sarebbe stato concretamente attuato con una serie di conferimenti di compiti dallo Stato al Comune di Palermo che, quale soggetto delegato, avrebbe agito nei rapporti esterni a nome proprio e non in nome di mandante".

L'annullamento con rinvio della sentenza

Di fronte al dilemma, la Suprema Corte ora ritiene che la sentenza d'appello non abbia correttamente risolto la questione "dovendosi ritenere sussistente la legittimazione passiva e la responsabilità nei confronti dell'impresa appaltatrice del Comune di Palermo, che ha stipulato il contratto di appalto, agendo in nome proprio quale committente e stazione appaltante dei lavori in questione".

Le norme in contrasto tra loro

Tuttavia, sempre secondo i giudici, "la legge speciale non offre sufficienti elementi per derogare ai principi generali in materia negoziale: il dettato normativo si limita ad individuare nella Prefettura il soggetto che deve provvedere 'al pagamento delle spese' e detta altresì analiticamente tutti i presupposti per la sua attivazione. Attività che appaiono perfettamente riconducibili allo schema del finanziamento statuale dell'opera di interesse pubblico nazionale. La norma non contiene, poi, alcun riferimento ad una responsabilità esterna dell'Amministrazione statale ed anzi la terminologia utilizzata, e in particolare in riferimento alle 'spese', allude chiaramente al rimborso degli oneri sopportati dai soggetti attuatori e non all'adempimento diretto delle obbligazioni contrattuali da loro assunte verso i terzi (nel caso l'impresa appaltatrice)".

Un nuovo processo, ma con quali tempi? 

La decisione della Corte d'Appello, che aveva dato ragione al Comune, è stata dunque cassata e rinviata ad un'altra sezione. Sperando che la questione venga risolta una volta per tutte e con tempi magari appena più veloci.

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