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Cronaca

Da Nord a Sud "no" al figlio del boss “Nessuno mi vuole, ma io ho pagato”

Così il terzogenito del boss mafioso si difende in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera: "Non è questo lo spirito della Costituzione. Un uomo che ha scontato la sua pena deve essere reinserito"

E’ un “no” corale quello al trasferimento di Giuseppe Salvatore Riina, il terzogenito del capo di Cosa nostra uscito ieri dal carcere di Voghera dove ha finito di scontare la pena a 8 anni e 10 mesi per associazione mafiosa. Non lo vogliono a Corleone, tantomeno in Veneto, a Padova, dove la Lega Nord ha anche minacciato di organizzare manifestazioni popolari perché il pericolo di avere come residente Riina junior sia scongiurato.

Era stato lo stesso Giuseppe Riina, a dichiarare ai giudici di sorveglianza di non voler tornare a Corleone e questi avevano accolto la sua richiesta di dimora a Padova dove una associazione onlus gli ha offerto un lavoro. A trattenerlo nel suo paese natale, invece, c’è un precedente provvedimento del tribunale delle misure di prevenzione di Palermo, notificato al giovane “Salvuccio” al momento della sua uscita dal carcere che lo costringe a firmare ogni giorno in commissariato e rientrare a casa entro le 21."E’ una persona sgradita - ha dichiarato il sindaco Antonio Iannazzo, a nome di tutta la giunta comunale-. Non ha mai mostrato alcun segno di pentimento - ha detto - e Corleone non è il posto giusto dove cominciare un percorso di ravvedimento. Crediamo che sia un pericolo per la nostra comunità".

D’altra parte il protagonista di questa storia si difende in un’intervista rilasciata al Corriere della sera dicendo: “Adesso, dopo 8 anni e 10 mesi, sono un uomo libero. Un uomo che ha studiato, si è diplomato, studia all’università e vuole vivere la sua vita da cittadino di questo Stato riprendendo a lavorare, come è diritto di chi ha pagato il suo conto, come vorrei ricordare a quanti richiamano sempre le regole e le norme della Costituzione”. Poi aggiunge: “Chi ha pagato ha diritto o no in questo Paese di rifarsi una vita, anzi a prendersi quanto, a torto o a ragione, gli hanno tolto? Parlo del lavoro che mi hanno impedito di svolgere. Con provvedimenti amministrativi che non capirò mai. Io facevo il rappresentante, vendevo macchine agricole, qui a Corleone”. “Per le accuse mosse – spiega il figlio del boss – ho pagato. Resta il fatto che il mio lavoro non era un reato, eppure si decise con le carte bollate che io non potevo, che dovevo chiudere per colpa di un cognome”.

Infine in merito alle ultime dichiarazioni del Sindaco di Corleone e dei vertici della Lega commenta: “Dico che la Costituzione prevede non il recupero ma il reinserimento degli ex detenuti.  È stata Francesca Casarotto, il mio avvocato, a stabilire contatti con i dirigenti della Onlus di Padova. Non debbo andarci – aggiunge – perché i leghisti e il governatore Zaia non vogliono? Ditemi dove andare: Io nemmeno a Corleone volevo tornare. Io non faccio niente per restare. Sarei andato direttamente e volentieri a Padova, se non mi avessero detto che avevo l’obbligo di firmare qui al commissariato e visto che è un obbligo io lo rispetto, lo osservo. Ma ci sarà la libertà di vivere e lavorare da qualche parte. Non mi vogliono qui, non mi vogliono lì, al Sud, al Nord… Non è questo lo spirito della Costituzione, bisognerebbe ricordare a sindaci e governatori”.

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