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Lunedì, 2 Ottobre 2023
L'intervista

Dal posto alla Regione al tunnel della droga: "La mia vita rovinata dal crack, ma ora voglio rialzarmi"

Carlo, 50 anni, racconta la sua storia e quel vizio preso da giovane: "Ci sentivamo cornadura. Non mi mancava nulla, sono riuscito a farmi una famiglia bellissima e rischio di perderla". Per circa 8 mesi ha vissuto per strada pensando anche di farla finita. Poi l'incontro con alcuni poliziotti che gli ha cambiato la vita

Quello che sino a un certo momento era stato un vizio più o meno sporadico, nel giro di poco tempo lo ha trascinato in un vortice da cui è difficile - se non impossibile - uscire. Un tunnel buio in fondo al quale, però, ha avuto la fortuna di trovare qualcuno pronto a tendergli la mano per aiutarlo a rialzarsi.

Carlo de Maria, cinquantenne palermitano, dipendente della Regione, da quasi tre mesi vive in una comunità del Trapanese per riuscire a disintossicarsi dal crack e dall'eroina. Ha vissuto dove capitava, quando andava bene nel letto di qualche b&b. Dopo essere uscito fuori dai radar della sua famiglia, che poi ne ha denunciato la scomparsa, aveva iniziato a girare tra i vicoli di Ballarò, cercando di dimenticare tutto con una pallina di crack dopo l’altra. Due, tre, cinque o più in una sola giornata, meditando pure, nel frattempo, di farla finita. Oggi però, dopo l'incontro casuale con alcuni poliziotti, ha deciso di cambiare vita e di condividere la sua storia nella speranza che possa essere utile ad altri.

"Sono l’ultimo di quattro figli, la nostra famiglia stava abbastanza bene e fondamentalmente non mi mancava nulla". In un’altalena di emozioni mischia il passato con il presente. Quando parla dei suoi due figli e di sua moglie, "una donna meravigliosa", sorride orgoglioso nonostante tutto. "Ora diventerò pure nonno, dicono che mi darà molta carica". I suoi occhi però lo tradiscono e insieme alla voce spezzata raccontano la malinconia di chi sa che potrebbe perdere tutto ma non potrebbe accusare altri se non se stesso. "E’ iniziata come una cazzata da giovane, a 20 anni, con amici, ma succedeva raramente. Prima di allora non avevo mai toccato neanche uno spinello, e invece ho cominciato con crack ed eroina. Ci sentivamo cornadura".

"Negli anni ho continuato - racconta ancora - ma avevo tutto sotto controllo. Lavoravo e ogni tanto mi drogavo. Alla mia famiglia però non facevo mancare nulla. Forse un po’ di affetto, ma farò di tutto per recuperare se me lo consentiranno". Poi è stato travolto da alcuni eventi personali e ha lasciato che la droga diventasse ciò che lui considerava l'unico rifugio. Per quanto provasse a nasconderlo alla famiglia, qualche anno fa, la moglie ha fatto i bagagli ed è andata via. "Un giorno sono tornato e lei non era più a casa. All’inizio ci ho provato, ma niente. E allora più passava il tempo - dice Carlo - e più mi facevo. Non ho mai capito cosa mi abbia fatto finire in strada. Pian piano mi sono convinto di aver fatto questa scelta per punirmi. Per otto mesi sono scomparso, a volte stavo buttato in un parcheggio vicino al Politeama. La mattina mi alzavo e iniziavo a cercare soldi. Non pensavo fosse possibile eppure ho cominciato a credere che quella sarebbe diventata la mia vita".

"All’inizio però avevo una casa e dei soldi da parte. Poi - spiega - mi hanno pure sospeso lo stipendio. Ho saputo solo recentemente che i miei responsabili avevano chiamato i miei figli perché non sapevano che fine avessi fatto. Ho rischiato tre overdose, una l’ho avuta e mi sono risvegliato il giorno dopo in ospedale. Mi è anche capitato - ricorda - di essere stato narcotizzato da una ragazza. Avevo da poco prelevato i soldi del mio stipendio e ci eravamo incontrati a Ballarò, dove entrambi dovevamo prendere un po’ di eroina. Siamo andati in un b&b e ci siamo fatti. Si era accorta che avevo molto denaro addosso e ne ha approfittato, portandomi via contanti e cellulare". E paradossalmente, passata l’iniziale rabbia, Carlo ha deciso di non prendersela neanche più di tanto con quella giovane immaginando perfettamente cosa è possibile fare "quando la testa è malata".

"Era una ragazzetta come tante che girano a Ballarò. Vengono a spendere quei 20-30 euro per farsi e tornano alle loro vite. Ma ci sono giovani di ogni genere, quelli che vengono dalle zone più degradate e che fanno lavoretti per campare loro e le famiglie, perché magari hanno pure figli piccoli. Ma ci sono anche quelli di 'buona famiglia', che hanno ville a Mondello e macchinoni. Ho visto e sentito storie molto brutte. Alcuni ragazzi raccontavano anche di arrivare a prostituirsi per comprare l’eroina a Ballarò o il crack allo Sperone, lì ne gira di più. A me dispiaceva vederli così e ogni tanto, piuttosto che fargli fare certe cose, preferivo offrigli io una pallina. Poi cominciò a girare voce che io fossi omosessuale, che ne approfittassi per stare con i più giovani. In strada c’è tanta cattiveria. Allora mi sono chiuso in me stesso e ho iniziato a fumare sempre di più. Le giornate passavano e io cercavo di non pensare più a nulla".

Ora Carlo è convinto di aver iniziato un nuovo capitolo della sua esistenza, anche se la vita in comunità non sembra una passeggiata. "All’inizio so che sarà difficile però la psicologa della struttura sta facendo un grande lavoro su di me. Quando mi sento giù o il mio tutor mi vede traballare, mi porta fuori e mi fa camminare, mi fa arrabbiare ma mi fa ragionare. Gli devo molto. Prima me ne fregavo, potevo farmi una pera e me ne fottevo di tutto. Ora invece, quando mi trovo nel letto, ci penso e mi danno. Di giorno va un po' meglio. Poi arriva la notte e i pensieri mi frullano in testa. Ogni tanto piango con la testa sul cuscino perché voglio trovare un colpevole, ma so che il responsabile sono soltanto io. Ci lavorerò perché non voglio restare qui dentro a lungo".

Nella comunità in cui vive, racconta, è l’unico che si trova lì per sua scelta. "Non so perché stanno là dentro ma so che non possono uscire. Sanno che invece io sono ‘libero’ e a volta mi rendono la vita difficile. Voglio resistere. Io sono una persona buona ma i miei gesti vengono scambiati per altro. Sembra quasi vita da carcere, anche se io la conosco solo dal racconto di altri".

Carlo ha deciso di incontrarci perché è convinto che la sua esperienza possa essere utili ad altre persone, a chi si è trovato in una situazione simile alla sua e può fermarsi prima che sia troppo tardi. "Non voglio scoraggiarmi e devo farmi forza, perché fuori ho dei figli bellissimi e una moglie che era quanto di più importante ci fosse per me. Purtroppo ho capito tardi cosa ho rischiato di perdere. Anzi, rischio… perché non so se lei mi concederà un’altra possibilità".

All’incontro nel bar di una stazione di servizio, in un sabato ventoso, prima di tornare in comunità, si presenta insieme alla figlia incinta. "Prima non era di molte parole", sorride Floriana. "Ha trascorso gli ultimi due giorni con noi e non ha mai smesso di parlare". Dall'auto scende anche genero che presto "mi regalerà un nipotino. Fino a pochi mesi fa - afferma Carlo - neanche lo conoscevo. Ora so che sarà l’uomo della sua vita, il padre di mio nipote. Ho scoperto dopo che mia figlia aveva sporto denuncia di scomparsa, se non fosse stato per quello chissà cosa sarebbe successo. La mia storia è assurda, da quell’incontro con i poliziotti si sono verificate alcune coincidenze che oggi mi stanno convincendo che è giusto cambiare vita". Sì, perché la svolta è arrivata dopo un paio di incontri casuali. "Forse è stato Dio, chi lo sa", dice.

Il primo quello con due pattuglie delle Nibbio, gli agenti di polizia che girano per la città in moto. "Sono stati loro a trovarmi a una fermata dell’autobus, in via Libertà, dopo essermi fatto qualche pera a Ballarò. Si sono avvicinati, all’inizio pensavo che volessero arrestarmi chissà per cosa e invece - racconta di aver realizzato solo dopo - hanno cercato di farmi riprendere. Hanno chiamato il 112 e alla fine, nonostante le mie resistenze, sono andato in ospedale. Mi hanno fatto parlare molto. Dopo il ricovero sono stato dimesso e quando mi sono convinto ad andare in comunità per disintossicarmi, li ho rincontrati di nuovo in via Roma, mentre ero con mia figlia e il suo compagno. Ci siamo salutati e ci siamo promessi che ci saremmo rivisti. Doveva essere destino". E così è stato.

foto Nibbio polizia moto-2

Quegli uomini in divisa sono i poliziotti dell’Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico della questura di Palermo, che quel giorno di novembre, in via Libertà, hanno parlato con Carlo convincendosi che andasse "salvato". "Era già capitato ad altri colleghi - raccontano il sovrintendente capo responsabile Marco Adelfio, l’assistente capo Davide Tauro, gli agenti scelti Fabio Manno e Salvo Speciale - di avere a che fare con lui, ma non aveva voluto saperne nulla. Abbiamo capito subito che quell’uomo avesse bisogno di aiuto, di qualcuno che lo aiutasse". Durante gli accertamenti è saltata fuori la denuncia di scomparsa e Carlo, che in quel momento non aveva documenti addosso, è stato identificato. "Abbiamo informato la famiglia - spiegano gli agenti - ed è andato in ospedale. Giorni dopo lo abbiamo incontrato per strada, casualmente, e abbiamo appreso con grande piacere che aveva deciso di disintossicarsi e stava andando in comunità".

Le peripezie di Carlo sono legate sicuramente alla dipendenza da crack ed eroina ma anche a tanto altro. La sua storia, però, presenta alcune analogie con quelle di tanti altri che soffrono più o meno dello stesso problema. Studenti e operai ma anche professionisti. Avvocati, dentisti, professori e colletti bianchi che a volte nascondono al mondo una doppia vita che in alcuni casi li trasforma lentamente in zombie. "Tutti i giorni - riferiscono gli agenti - ci capita di avere a che fare con soggetti di ogni genere. Abbiamo dei protocolli da seguire in base alle circostanze che si presentano, ma allo stesso tempo dobbiamo essere bravi a interpretare i ruoli di confessori, padri e amici. Spesso ingoiamo rospi amari ma nel caso di Carlo, dopo l’iniziale diffidenza, era chiaro che volesse un aiuto. Abbiamo instaurato un dialogo e siamo enormemente soddisfatti del risultato. L’ultimo volta ci siamo visti più o meno a Natale. Ci siamo promessi che andremo a mangiare una pizza quando sarà uscito da lì".

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