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Inchiesta Farmagate

Coinvolto nella truffa dei pannolini e assolto dopo anni: 100 mila euro a un farmacista per ingiusta detenzione

Così ha deciso la prima sezione penale della corte d'Appello per Giuseppe Pepe, travolto dall'inchiesta Farmagate perché considerato parte attiva in un raggiro ai danni del Sistema sanitario nazionale. Il professionista, che ha trascorso 17 giorni in carcere e 65 ai domiciliari, ha perso anche la moglie entrata in depressione dopo l'arresto

E' stato travolto da un’inchiesta su una truffa ai danni del Sistema sanitario nazionale ma dopo 17 giorni di carcere, altri 65 ai domiciliari e dopo aver perso pure la moglie, devastata psicologicamente dalla vicenda, è stato assolto e ora anche indennizzato. Così ha stabilito la prima sezione penale della corte d’Appello per il farmacista Giuseppe Pepe (62 anni) - assistito dagli avvocati Rosa Garofalo e Benedetta Mangia - condannando il ministero dell’Economia e delle Finanze a pagargli una somma pari a 100 mila euro "a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta". Il processo penale si era concluso nel dicembre 2019 con la condanna in primo grado di Pietro Li Sacchi, funzionario contrattata dell’Ufficio H dell’Asp, e Giuseppe Villano.

Tutto inizia dopo la denuncia dell’allora commissario straordinario dell’Asp, Antonio Candela (condannato in primo grado nel 2021 a 6 anni e 8 mesi nell’ambito dell’inchiesta “Sorella sanità”), che aveva denunciato una truffa sull’acquisto, a carico del sistema pubblico, di pannolini o prodotti alimentari per celiachi. Secondo quanto ipotizzato dalla Procura tre farmacisti - Gaetano Sirchia, Diego Genovese e lo stesso Pepe - avrebbero fatto parte del meccanismo illecito che avrebbe consentito agli indagati di ottenere i prodotti sulla scorta di autorizzazioni firmate a carico di anziani non incontinenti, gente che era andata a vivere all’estero o addirittura a persone morte.

Secondo gli inquirenti i farmacisti - indagati a vario titolo per concorso in falso, accesso abusivo a sistema informatico e truffa aggravata - sarebbero stati uno degli ingranaggi del sistema che avrebbe garantito un ricavo complessivo di circa 200 mila euro. La mattina del blitz i carabinieri, su disposizione del gip, arrestarono i tre farmacisti, il titolare di una parafarmacia e gli altri due soggetti. Lì iniziò il calvario del dottore Pepe che sin dall’inizio - così come i suoi colleghi - si era dichiarato estraneo ai fatti cercando di chiarire la natura dei rimborsi ottenuti in regime di convenzione per i presidi e i prodotti alimentari.

L'ideatore della truffa sarebbe stato Li Sacchi, al quale sono stati contestati gli accessi abusivi che sarebbero serviti per produrre le false autorizzazioni da consegnare nelle farmacie. Nel corso del processo di primo grado Pepe e gli altri farmacisti hanno dimostrato di essere di essere stati coinvolti a loro insaputa nel raggiro. "Non vi è prova della loro consapevolezza e dunque - scriveva il gup nella sentenza di proscioglimento - della coscienza e volontà di truffare l’Ufficio per l’erogazione dei servizi. A ben vedere i soggetti ingannati erano proprio i professionisti che consegnavano i presidi sulla base di documentazione apparentemente valida".

Il processo di primo grado, infatti, si è concluso con l’assoluzione dei farmacisti e la condanna di Li Sacchi e Vallecchia. La sentenza di proscioglimento di dicembre 2019 è diventata irrevocabile a ottobre del 2020 e sulla scorta di ciò l’avvocato di Pepe si è rivolto ai giudici per chiedere e ottenere l’indennizzo per ingiusta detenzione. "Il dottore - avevano sottolineato i suoi legali - ha patito devastanti ed irreversibili danni sul piano personale e familiare e di ingenti danni professionali ed economici". La moglie inoltre, entrata in depressione dopo l’arresto, si è tolta la vita nel marzo del 2015.

"Tale drammatico evento - continuano gli avvocati - ha inevitabilmente devastato l’equilibrio psicologico del dottore, il quale, a seguito di un’ingiusta accusa per truffa ai danni dello Stato e falso in atti pubblici, non solo è stato ingiustamente privato della propria libertà e, conseguentemente, allontanato dal proprio nucleo familiare, ma è stato altresì costretto a sostenere il peso del senso di colpa per il suicidio della propria moglie oltre a quello derivante da un grave stato depressivo insorto nella figlia minore a causa della dolorosa situazione familiare". Una somma di denaro che, purtroppo, non potrà in alcun modo portare indietro le lancette.

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