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Cronaca

Cade sulle scale alla Cgil, si rompe un femore e chiede 3 milioni: il giudice le dà torto

L'incidente nella Camera del lavoro di via Meli risale a ben 15 anni fa e per la donna ha avuto gravi conseguenze. Secondo lei i gradini erano consumati e non illuminati e per questo aveva chiamato in causa il sindacato, oltre a due ospedali, all'Asp ed alcuni medici. "Fu una fatalità, ha ricevuto cure corrette"

Un brutta caduta sulle scale della Cgil in via Giovanni Meli, un femore rotto e un danno che perdura ancora oggi, a distanza di 15 anni dai fatti. E' per questo che una donna di 51 anni ha fatto causa al sindacato, ma anche all'Asp 6, agli ospedali Ingrassia e Buccheri La Ferla, nonché a due medici e a diverse compagnie assicurative, chiedendo un risarcimento di ben 3 milioni. Adesso, però, il giudice monocratico della prima sezione del tribunale civile, Fabrizio Lo Forte, ha rigettato l'istanza, ritenendo che non vi siano responsabilità né da parte del sindacato né dei medici e delle strutture sanitarie.

L'incidente era avvenuto il 10 marzo del 2005, quando la donna stava uscendo dalla Camera del lavoro "G. Orcel" e scendendo le scale era appunto caduta. Era stata subito soccorsa, trasportata al Buccheri La Ferla e poi all'Ingrassia. La diagnosi era stata quella di una frattura scomposta del femore sinistro. A suo dire, la caduta sarebbe stata provocata dalle "condizioni di scarsa visibilità", di "eccessiva pendenza" e "all'usura dei gradini" della scala. Non solo: la donna sosteneva anche di non essere stata curata adeguatamente dai medici, tanto da aver subito diversi interventi chirurgici e di trovarsi ancora ora, dopo 15 anni, a fare i conti con le conseguenze della lesione. Da qui la richiesta di essere risarcita con 3 milioni.

foto Ferraro 1-2A pagare, secondo la vittima, avrebbero dovuto essere la Cgil (difesa dall'avvocato Pietro Vizzini), l'Asp 6 (difesa dall'avvocato Giorgio Li Vigni), il Buccheri La Ferla, l'Ingrassia, due medici e diverse compagnie assicurative, tra cui la "Reale Mutua Spa" (rappresentata dall'avvocato Diego Ferraro, nella foto), che sono stati tutti citati a giudizio. Il giudice, tuttavia, ha dato torto alla donna.

Per quanto riguarda la Cgil, nella sentenza si legge che "può ritenersi provato che lo stato dei luoghi non fosse connotato da caratteristiche concrete tali da determinare una intrinseca, particolare pericolosità degli stessi e, nel contempo, che la scala lungo la quale si è verificata la caduta fosse adeguatamente munita dei necessari presidi di sicurezza ordinariamente previsti onde scongiurare eventi lesivi del tipo di quello in concreto verificatosi". E "in particolare - scrive ancora il giudice - non è emersa prova alcuna che i gradini della scala fossero costruiti in materiale scivoloso, né reso tale da un'usura eccessiva" ed "è stata accertata la presenza di un corrimano astrattamente utile - per altezza, posizione e conformazione - a fungere da adeguato sostegno per l'ipotesi di perdita di equilibrio da parte di chi si fosse trovato a percorrere la scala". In conclusione quindi "deve escludersi la sussistenza di un nesso di causalità tra le condizioni di cattiva o inadeguata manutenzione della scalinata e la caduta". Di più. Per il giudice "deve invece ritenersi che la caduta della quale l'attrice è stata vittima sia sostanzialmente ascrivibile ad una fatalità e non, invece, riconducibile alle oggettive caratteristiche della scala né ad inadeguate condizioni di visibilità tali da rendere particolarmente insidioso il percorso".

Sul fronte sanitario, invece, e sulla scorta di una perizia nella sentenza si stabilisce che "deve escludersi la ravvisabilità in capo al personale medico, dipendente delle strutture sanitarie convenute a vario titolo, intervenuto sin dal momento della prestazione dei primi soccorsi di profili di responsabilità professionale per negligenza, imprudenza o imperizia e ciò sia in relazione alla diagnosi della patologia esistente all'atto del primo ricovero dell'attrice che in ordine alle opzioni terapeutiche prescelte, alla materiale esecuzone degli interventi ed alla gestione del decorso post operatorio". In definitiva, dice il giudice "le cure praticate dal personale sanitafrio del Buccheri La Ferla e dell'Ingrassia nei riguardi dell'attrice possono ritenersi corrette". Da qui il rigetto integrale della richiesta di risarcimento.

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