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Venerdì, 19 Aprile 2024
La storia / Calatafimi

Il ricovero, i 50 anni in corsia, la guarigione: il panettiere di corso Calatafimi in lotta per 12 mesi contro il Covid

E' il 2 febbraio 2021 quando Paolo Vaglica, padre di due figli, inizia ad avere i primi sintomi. Il battito accelerato, la febbre alta. La corsa in ospedale non lascia dubbi: tampone positivo, è l'inizio di una battaglia lunga e tortuosa

Un anno sospeso tra la vita e la morte, un'odissea tra gli ospedali di Palermo e Cefalù, un limbo che sembrava senza uscita e poi quell'abbraccio che lascia increduli ma che tutti aspettavano da troppo tempo. Paolo Vaglica, 50enne titolare di un panificio in corso Calatafimi, dopo aver combattuto a denti stretti contro il Covid, presto tornerà a casa. E' il 2 febbraio 2021 quando il panettiere e papà di due figli, nessuna patologia pregressa, inizia ad avvertire qualcosa di strano. Primi quei battiti accelerati, poi il giorno dopo la febbre alta. La corsa in ospedale non lascia dubbi: tampone positivo, è l'inizio del calvario. 

Ricoverato all'Ingrassia, nel pieno della terza ondata e con le prime forniture di vaccini destinate solo a operatori sanitari e pazienti fragili, Paolo inizia la sua lotta con le poche armi ancora a disposizione in quel periodo. Dopo cinque giorni viene trasferito al Policlinico per un forte calo di saturazione con una polmonite bilaterale interstiziale. Non ci sono alternative, deve essere intubato. La terapia sembra iniziare a dargli ossigeno, quando a causa di una sovrainfezione batterica, le sue condizioni peggiorano improvvisamente. Il 28 febbraio arriva quella chiamata che sembra non lasciare scampo, non c'è più tempo. 

"Da qui - racconta a PalermoToday la figlia Debora - inizia il calvario. Il medico che lo aveva in cura comunica a mia madre che l'unica chance era sottoporlo all'Ecmo (ossigenazione extracorporea a membrana) ma non c'era neanche il tempo di arrivare in ospedale per firmare il consenso. Mio padre stava per morire. Diciamo subito di sì, anche se non sapevamo nulla su questo tipo di cura. Viene così trasferito d'urgenza all'Ismett e per 5 lunghi mesi viene messo in coma farmacologico, con la consapevolezza che questa era l'ultima speranza. Ogni giorno ci contattavano per aggiornarci sulla sua salute, a volte ci dicevano che non aveva pressione arteriosa, altre che rischiava infarto e trombosi. Poi viene svegliato e miracolosamente stava benissimo". 

Ma la felicità è destinata a durare poco. "In un primo momento - continua la figlia - stava davvero bene, era lucido e presente, eravamo increduli. Poi è stato trasferito nella terapia intensiva del Policlinico, per un periodo di monitoraggio, lì peggiora nuovamente. Ha un arresto respiratorio, viene messo nuovamente in coma farmacologico per un mese. Si riprende di nuovo, i medici lo trasferiscono in un reparto di riabilitazione normale anche se mio padre era tracheotomizzato. Resta per alcuni giorni in astanteria e lì ha un ulteriore peggioramento, soprattutto cerebrale". 

Arriva, così, il trasferimento all'ospedale Giglio di Cefalù e si riaccende la speranza. "Devo ringraziare sia il dottore che ha avuto la prontezza di trasferirlo all'Ismett che i medici di Cefalù che si dedicano ancora oggi con anima e cuore a mio papà. Era arrivato in condizioni disastrose e sono riusciti a rimetterlo in piedi". Intanto Debora e suo fratello Salvatore riescono a rivederlo a fine dicembre, dopo più di dieci mesi. "Non mi sembrava vero - dice la giovane - un'emozione incredibile, un miracolo". 

Il "leone", così come lo chiamavano tutti in quei mesi difficili, tornerà a casa entro fine febbraio anche se con 47 chili in meno e un anno in più, il cinquantesimo, festeggiato in corsia. "Mia mamma ha perso dieci chili, è stata dura ma finalmente ha potuto abbracciarlo ed è fiduciosa". In attesa di riaverlo a casa, Debora rivolge il suo pensiero a chi ancora oggi ha dubbi sull'esistenza del virus. "Mi fa così rabbia sentire che c'è chi crede che il Covid non esiste. C'è eccome... mio padre stava benissimo e tutto a un tratto abbiamo rischiato di perderlo per sempre. Tra l'altro nei mesi passati abbiamo preso il Covid sia io che mio marito, lui ha avuto una polmonite bilaterale ma per fortuna oggi sta bene".

Un monito quello di Debora ma anche una speranza e un messaggio rivolto al suo papà. "Quest'anno ha fatto un rumore terribile nella nostra vita, quanto mi sei mancato. Ma sei stato forte e hai lottato per tutti noi, il tuo cuore mentre riposavi ci ha ascoltati e ti ha fatto lottare come un leone. Ti aspettiamo a casa, papino".

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