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Cronaca

La auto di lusso e i finti furti per truffare le assicurazioni: 2 a giudizio, altri 52 verso il processo

Sono tutti coinvolti nell'inchiesta "Dirty Cars" di febbraio, con la quale era emerso che una presunta banda avrebbe simulato la sottrazione anche di una Ferrari Testarossa e di una Porsche Cayenne per poter incassare risarcimenti tra gli 8 mila ed i 50 mila euro. A Carmelo e Gaetano Cangemi, che hanno scelto il dibattimento, revocati i domiciliari

In due finiscono a processo, mentre per altri 52 indagati il procuratore aggiunto Ennio Petrigni e i sostituti Daniele Sansone e Giulia Beux hanno chiuso l'inchiesta su una presunta truffa da centinaia di migliaia di euro ai danni di diverse compagnie assicurative basata su finti furti di auto anche di lusso, tra cui una Ferrari Testarossa e una Porsche Cayenne, per incassare risarcimenti non dovuti che mediamente oscillavano tra gli 8 mila ed i 50 mila euro.

Carmelo e Gaetano Cangemi - che erano finiti ai domiciliari a febbraio con il blitz dei carabinieri - adesso sono a processo davanti alla quinta sezione del tribunale, che ha anche deciso di affievolire la misura cautelare nei loro confronti: sono sottoposti soltanto all'obbligo di dimora a Palermo e sono assistiti dagli avvocati Gioacchino Arcuri e Riccardo Bellotta. Per loro i pm avevano chiesto ed ottenuto il giudizio immediato.

La Ferrari ritrovata da un morto e i trucchi della banda

Nelle scorse settimane, la Procura ha invece notificato l'avviso di conclusione delle indagini ad altri 52 indagati, tra cui Giuseppe Lo Casto, un apputato scelto dei carabinieri in servizio alla stazione Palermo Scalo, e un poliziotto, Fabrizio La Mantia, impiegato all'Ufficio prevenzione generale della questura, ma anche Antonino Cangemi (classe 1995), Matteo Cavallaro, Ivan De Luca, Marco Litrico, Paolo Rovetto, Antonino Scalavino, Luca Ferrara, Giuseppe Ippolito, Antonino Sardina, Marzia Dallari e Concetta Presti. Il gip Guglielmo Nicasto aveva disposto per loro in alcuni casi l'obbligo di dimora a Palermo e in altri l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Cangemi era stato invece arrestato.

L'inchiesta era partita da una pagina Facebook, dietro alla quale, secondo gli investigatori, si sarebbe celata un'attività di riciclaggio di auto rubate, trasportate da Napoli a Palermo. Da lì i carabinieri avevano individuato il loro collega Lo Casto - che avrebbe aiutato la presunta banda a stilare falsi verbali di furto delle auto e ad inserirli nella banca dati delle forze dell'ordine - e Gaetano Cangemi, che per l'accusa sarebbe uno dei capi della presunta assocaizione a delinquere finalizzata alle truffe.

A differenza di altri imbrogli perpetrati ai danni delle assicurazioni, come quello ordito dai così detti spaccaossa, in questo caso non sarebbe stato necessario sporcarsi le mani e ferire persone compiacenti. Come aveva ricostruito il gip nell'ordinanza di custodia cautelare, prima di tutto il gruppo avrebbe cercato un'auto di tendenza e con un elevato valore di mercato, poi una persona compiacente a cui intestarla fittiziamente, in cambio di 800 o mille euro. Dopo il passaggio di proprietà, si sarebbe cercata una compagnia per assicurare il mezzo contro i furti. Una volta siglato il contratto sarebbe stato installato l'antifurto satellitare e poi si sarebbe scelto il giorno in cui "rubare" la macchina, disinstallando l'apparecchiatura e comunicando l'accaduto sia all'assicurazione che alle forze dell'ordine. Successivamente, ci si presentava in commissariati e stazioni dei carabinieri per denunciare il furto e poter avviare la richiesta di indennizzo all'assicurazione.

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