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Cronaca Borgetto

Accusati di estorsione dal titolare di un bar, i giudici non credono alla vittima: 3 assolti

L'imprenditore di Paceco aveva denunciato due palermitani e un ericino perché l'avrebbero costretto ad aprire due conti correnti e a consegnare assegni in bianco e bancomat. Gli imputati avrebbero così acquistato tv, smartphone, tablet e pc, ma anche carne e materiale edile a sue spese. Il tribunale: "Racconto pieno di anomalie e punti oscuri"

Sarebbe stato costretto, anche con minacce di morte, ad aprire due conti correnti e a consegnare libretti di assegni e bancomat a due palermitani e ad un ericino che avrebbero così fatto acquisti, tra cui smartphone, tablet, pc, carne, ma anche materiale edile per una decina di migliaia di euro, puntando pure - ma senza riuscirci - ad alcuni televisori. Un'estorsione che la presunta vittima, titolare di un bar a Paceco, avrebbe subito per 7 mesi in silenzio, ricevendo protesti, ingiunzioni di pagamento, sanzioni e ritrovandosi nell'impossibilità di chiedere mutui e prestiti. E' una storia alla quale però il tribunale di Trapani non ha affatto creduto, decidendo dunque di assolvere "perché il fatto non sussiste" i tre imputati.

Il collegio presieduto da Daniela Troja, nello specifico, ha scagionato Vincenzo Palumbo, orginario di Borgetto e difeso dall'avvocato Igor Runfola (nella foto), il palermitano Rosario Belladonna, assistito dall'avvocato Ludovico Bisconti, e Giuseppe Cusumano, di Erice, difeso dall'avvocato Giuseppe Mannina. La Procura aveva invece chiesto una condanna a 7 anni e 2 mesi per tutti gli imputati. I fatti risalgono all'estate del 2013, ma furono denunciati soltanto a gennaio del 2014. Il processo era iniziato nel 2017.

Igor Runfola avvocato-2"La verione della vittima è piena di anomali e punti oscuri"

La presunta vittima, secondo i giudici, ha fornito "un racconto alquanto generico e farraginoso, peraltro caratterizzato da numerose amnesie", oltre a "non aver mostrato alcuno spirito di collaborazione per l'accertamento dei fatti, spesso entrando in aperta polemica con chi gli poneva le domande ed adducendo, a giustificazione della propria condotta processuale, un sentimento di scarsa fiducia nella giustizia dello Stato, che a suo dire non gli avrebbe fornito il giusto supporto dopo aver denunciato ai carabinieri i fatti di cui era stato vittima". Per i giudici, "il narrato accusatorio così ricco di anomalie, inverosimiglianze e punti oscuri".

L'irruzione nel bar e le minacce

In particolare, l'uomo ha raccontato che nell'estate del 2013 nel suo bar si sarebbero presentati tre sconosciuti, poi identificati negli imputati, che gli avrebbero chiesto di aprire dei conti correnti e di consegnare assegni e bancomat. Tuttavia "a più riprese interrogato sul punto", la vittima "non è riuscita a descrivere con esattezza le modalità con le quali i tre sconosciuti, a più riprese, irrompevano nel bar, né le esatte espressioni minacciose" utilizzate, rimarca il tribunale. 

L'acquisto forzato di tv, smarphone, tablet e pc

Il titolare del bar sarebbe stato minacciato "anche di morte" e alla fine avrebbe aperto i due conti ed eseguito gli ordini dei suoi presunti estorsori, consegnando loro gli assegni in bianco ma con la sua firma. Una volta, secondo la sua versione, gli imputati lo avrebbero portato al centro commerciale di Carini per fargli acquistare dei televisori, ma l'operazione non sarebbe andata a buon fine. Subito dopo lo avrebbero costretto a comprare un computer, uno smartphone e un tablet. Ad un certo punto, tuttavia, avrebbe deciso di non subire più e di denunciare l'accaduto, anche dopo essersi confrontato con suo padre, un carabiniere in congedo.

L'origine della denuncia

In realtà, come sottolineano i giudici, la denuncia sarebbe avvenuta soltanto perché l'uomo era stato a sua volta denunciato da un imprenditore, che si era ritrovato in mano un assegno con la sua firma ma scoperto. Quando i carabinieri si misero sulle tracce della presunta vittima e decisero di sentirla sarebbe saltata fuori la storia dell'estorsione. 

Gli assegni scoperti per comprare carne e materiale edile

Durante il dibattimento sono state sentite diverse persone che avrebbero ricevuto assegni (rivelatisi poi tutti scoperti) con la firma della presunta vittima. Un macellaio di Cinisi ha riferito di averne ricevuto uno da 760 euro per una partita di carne da Palumbo. Un commerciante di legnami di Alcamo avrebbe ricevuto un assegno post datato di 4.900 euro come acconto e un altro dello stesso valore al momento della consegna del materiale in un cantiere di Partinico, entrambi consegnati da Palumbo. Il titolare di un'agenzia assicurativa di Partinico avrebbe ricevuto invece un assegno da 960 euro per il pagamento di alcune polizze da parte di un uomo, che ha poi sostenuto di aver ricevuto quel titolo da un'altra persona che ha a sua volta ha affermato di averlo avuto da Belladonna. Infine ci sarebbe l'assegno da 590 euro del commerciante di attrezzature zootecniche che ebbe gli stessi problemi e che decise di denunciare la presunta vittima.

La testimonianza del direttore di una delle banche

I giudici hanno sentito anche il direttore di una delle banche in cui era stato aperto un conto dal titolare del bar e ha riferito che la presunta vittima avrebbe chiamato più volte per sapere se fossero arrivati due assegni relativi al pagamento del catering per un battesimo. "Non si comprende perché - scrive il tribunale nella sentenza - l'uomo abbia voluto accreditare su tale conto somme guadagnate nell'ambito della propria attività lavorativa, di fatto mettendole a disposizione degli imputati".

"I fittissimi contatti telefonici tra imputato e vittima"

Sarebbero emersi poi "fittissimi contatti telefonici, tra il 27 maggio e il 10 settembre 2013" tra la presunta vittima e Belladonna. E questo smentirebbe il fatto che, come dichiarato dal titolare del bar, non avrebbe conosciuto l'imputato prima della visita e delle minacce dell'estate 2013. La presunta vittima avrebbe chiamato spessissimo l'imputato, anche di notte "e tale circostanza è stata completamente taciuta", dicono i giudici. 

"Eravamo amici, dovevamo aprire un locale in Sardegna"

Belladonna, sentito durante il processo, ha a sua volta dichiarato che sarebbe stato amico dell'uomo che l'accusa, tanto da decidere di aprire insieme un locale in Sardegna. In quel momento la presunta vittima avrebbe avuto dei problemi economici e di salute e l'imputato gli avrebbe anche elargito dei piccoli prestiti, che lui avrebbe cercato di onorare con degli assegni risultati poi scoperti.

Per il tribunale gli elementi raccolti si presterebbero a letture alternative rispetto a quella fornita dalla presunta vittima e non sarebbe stata raggiunta la prova "oltre ogni ragionevole dubbio" della colpevolezza degli imputati. Da qui le tre assoluzioni piene.

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