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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Droga ed estorsioni, sgominata banda nelle Marche: il capo era un palermitano

Tredici arresti per spaccio, minacce, incendi e usura tra Pesaro e Ancona. Nei guai anche un sottocapo della Capitaneria di porto. Il metodo mafioso e il ruolo dei palermitani

Avevano monopolizzato il mercato della droga nelle Marche, fissando il quartier generale in provincia di Ancona, dove lavorava e risiedeva stabilmente il capo di quella che per gli investigatori era un’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti. Al vertice del sodalizio c’era un palermitano di 46 anni (S.F. le iniziali) che si avvaleva principalmente del fratello (F.V.), di 43 anni, e del nipote (F.R.) di 22 anni, oltre a un trentunenne, collaboratore di giustizia e referente per la zona di Fano.

A portare a termine l’operazione “Damasco” sono stati i carabinieri di Ancona che hanno anche fatto scattare le manette per un militare: di 38 anni, sottocapo della Capitaneria di Porto di Pesaro, legato alla banda e trovato in possesso di una pistola calibro 6,35 di fabbricazione serba con matricola abrasa. Insieme a lui è stato colto in flagranza un altro palermitano, di 37 anni (C.M.), trovato con 1,7 chili di hashish e della somma contante di euro 5.800.

In totale sono stati sequestrati un chilo circa di hashish, 15 grammi di marijuana, un grammo di cocaina e vari telefoni cellulari. Le indagini hanno preso il via nel dicembre del 2014 e sono proseguite fino al dicembre del 2015. A mettere i carabinieri sulla strada giusta è stata la costante attività di controllo dei collaboratori di giustizia sul territorio pesarese. La droga arrivava principalmente da un fornitore: S.S., trantaquattrenne di origini albanesi. Era lui a rimpinguare di merce la banda, che se fosse rimasta a secco, avrebbe attinto da canali con l’Olanda e addirittura con un uomo di Torre Annunziata, legato direttamente ad un clan camorristico. 

IL METODO MAFIOSO. Modalità sbrigative, intimidazioni, aggressioni violente e l’incendio di autovetture nei confronti degli acquirenti insolventi: così la banda dettava legge. Nel gruppo anche una donna di origine campana, che interveniva economicamente prestando denaro con interessi usurari ai clienti in difficoltà economica, garantendo così al sodalizio criminale di recuperare prontamente la liquidità. Una donna temibile, al punto che i membri della banda facevano il suo nome per spaventare chi era rimasto indietro con i pagamenti. Come due commercianti anconetani, picchiati nel loro negozio e invitati a rispettare i patti, altrimenti sarebbero intervenuta la donna con amicizie ben più pericolose. O come quando il 17 settembre 2015, uno dei trafficanti ha dato fuoco all’auto di un ragazzoche doveva 5 mila euro al gruppo. L’organizzazione, inoltre, con una condotta simile a quella “mafiosa”, garantiva il sostegno economico e legale agli associati ed ai piccoli venditori al dettaglio nell’eventualità di un loro arresto.


 

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