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Cronaca Carini

Fiumi di cocaina tra Carini e Terrasini, 18 indagati grazie a una cimice nascosta

Si allarga l'inchiesta condotta dai carabinieri della compagnia di Carini che negli scorsi giorni hanno arrestato 4 persone. Fondamentale il colloquio tra la madre di un giovane, ignara di avere una microspia addosso, e il pusher che voleva i soldi dovuti dal figlio

A scoperchiare il giro di droga fra Cinisi e Terrasini, caratterizzato anche da estorsioni e minacce ai ragazzini che non pagavano i debiti per la cocaina, è stato proprio colui il quale è stato considerato il capo dell’organizzazione. Non sapeva di essere intercettato mentre parlava con la madre di uno dei suoi clienti che aveva ormai contratto un debito da 10 mila euro.

Si allunga e sale a 18 la lista degli indagati finiti nell’inchiesta dei carabinieri della compagnia di Carini - coordinata dai pm Enrico Bologna e Dario Scaletta - che lo scorso 23 luglio hanno arrestato quattro persone con le accuse, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzato allo spaccio, estorsione, ricettazione, minacce e furto.

Il 35enne Matteo Finazzo è finito ai domiciliari, obbligo di dimora per due componenti della banda e obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per un altro complice, così come disposto dal gip Annalisa Tesoriere. Colei che in un primo momento era stata considerata una "mamma-coraggio", in realtà, era stata convocata dai carabinieri dopo i numerosi episodi di violenza avvenuti in casa e con il figlio protagonista, diventando quindi ignara collaboratrice degli investigatori.

Il figlio, minorenne, sembrerebbe che consumasse cocaina regolarmente e quando non riusciva a racimolare i soldi andava in escandescenza, mettendo a soqquadro la casa e sfasciando oggetti e mobili. In qualche caso - è emerso dall’inchiesta - avrebbe anche rubato oggetti come gioielli, fedi nuziali e dispositivi elettronici per rivenderli e raccogliere il denaro necessario per acquistare le dosi di cui non riusciva a fare a meno. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la "sparizione" di una bici elettrica, lasciata da lui in pegno come garanzia di una parte del debito.

In occasione di quel colloquio in caserma è stata piazza una “cimice” nella giacca della donna che poche ore dopo avrebbe incontrato Finazzo, il quale tramite le aveva chiesto un incontro inviandole un messaggio. Quella chiacchierata, durata circa un’ora, è avvenuta in un bar. Lì Finazzo le avrebbe riferito l’ammontare del debito contratto dal figlio, specificando che ormai si era fatto terra bruciata e non avrebbe potuto più comprare la cocaina da nessuno dei pusher del comprensorio.

Proprio quel racconto, arricchito anche da nomi e confidenze, ha dato il via a un’ulteriore attività d’indagine e intercettazione telefonica che è servita a chiarire il quadro agli investigatori. In questo contesto, per esempio, si inserisce l'arresto avvenuto a maggio 2017 di Giovanni Cottone, cognato di Finazzo, sorpreso dai carabinieri nella zona di Sciacca con 20 grammi di cocaina. Così sono venuti fuori altri dettagli relativi a episodi di estorsione. Chi spacciava e vantava un credito, arrivava a tenere in ostaggio scooter e cellulari dei clienti fino a quando non avessero saldato i debiti.

Quindi la donna, che negli ultimi giorni ha ricevuto le “attenzioni” non esattamente lusinghiere di molti giovani del comprensorio, non avrebbe fornito volontariamente la sua collaborazione agli investigatori che sono riusciti a ricostruire in maniera più completa il giro di spaccio che coinvolgeva numerosi minorenni di Carini, Cinisi e Terrasini.

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