"Morì a 19 anni per un'infezione dopo il parto": il Buccheri La Ferla dovrà risarcire un milione e mezzo
Il giudice civile ha condannato l'ospedale per il decesso di F. C., avvenuto l'8 febbraio 2015. Meno di un mese prima la giovane aveva dato alla luce il suo secondo figlio. Prima del cesareo però non avrebbe ricevuto la corretta terapia antibiotica
Ad appena 19 anni, a poco più meno di un mese dal cesareo col quale aveva dato alla luce il suo secondo figlio, era morta per un'infezione che - secondo il tribunale civile - non sarebbe stata correttamente individuata e curata dalla struttura sanitaria in cui aveva partorito, il Buccheri La Ferla. Proprio l'ospedale adesso è stato condannato dal giudice della terza sezione civile, Paolo Criscuoli, a risarcire i genitori della giovane, i suoi tre fratelli, il compagno e l'altro figlio con circa un milione e mezzo di euro. In base a quanto emerso da una consulenza tecnica, infatti, sarebbe bastata una corretta profilassi antibiotica prima del parto per evitare che la donna, F. C., morisse in seguito ad un'infezione da Staffilococco aureus.
La vittima, che aveva dei problemi cardiaci, aveva partorito il bambino il 13 gennaio del 2015. Era stata dimessa il 18 e, dopo una serie di complicazioni, tornata nuovamente al Buccheri La Ferla, era deceduta l'8 febbraio successivo. La sua famiglia, difesa dagli avvocati Fabrizio Lumia e Rosalia Cataldo, aveva quindi citato in giudizio l'ospedale, ma anche un medico della struttura, nonché il medico curante della donna. Per il giudice sarebbe "certa la responsabilità della struttura convenuta per il ritardo nella corretta profilassi antibiotica preoperatoria e per la gestione del post operatorio, tenuto conto delle condizioni specifiche della paziente e delle pregresse e note condizioni della stessa. Errori che hanno condotto all'insorgenza, con ragionamento probabilistico, della infezione poi sviluppatasi sino all'exitus", mentre sarebbe da escludere ogni colpa da parte di entrambi i medici, assistiti dagli avvocati Daniela Marò, Maria Cristina Adamo e Francesca Patricolo, e delle assicurazioni che avevano chiamato in causa, rappresentate dagli avvocati Diego Ferraro (nella foto), Francesco Panni e Dario Zimmardi.
Il parto, proprio per via dei problemi di salute della giovane, era stato programmato per il 13 gennaio 2015. Il giorno successivo, però, la paziente si sarebbe sentita male e dopo una serie di esami sarebbe risultata anemica. "Nonostante un basso valore di emoglobina (7,5) - come si legge nella sentenza - era stata dimessa il 18 gennaio". Il 19 sarebbe andata dal suo medico curante per controllare la cicatrice e il 23 ci sarebbe tornata per togliere i punti.
Il 25 gennaio, tuttavia, la donna era stata costretta a tornare al Buccheri La Ferla perché la ferita si sarebbe riaperta e, dopo un'altra visita, il 27, era stata medicata dall'ospedale. Dove era infine ritornata con un'ambulanza e, dopo un'ecografia, aveva perso coscienza ed era finita in Rianimazione. In seguito a delle analisi sarebbe emersa un'infezione da Staffilococco aureus. La donna era spirata l'8 febbraio.
Il giudice per valutare eventuali responsabilità ha disposto una consulenza tecnica, che ha chiarito che "il decesso è stato determinato da Insufficienza multi organo (Mof) terminale, secondaria a shock settico da endocardite batterica, insorta dopo il cesareo, in soggetto affetto da stenosi sottovalvolare aortica di severa entità". Per i consulenti, la scelta di fare il cesareo "non è censurabile", ma per quanto riguarda la terapia antibiotica precedente all'operazione invece "hanno osservato - riporta il giudice - che la stessa non è stata eseguita nei 30/60 minuti prima dell'intervento, ma in un momento successivo. Tale errore nella somministrazione della terapia antibiotica ha provocato, secondo il ragionamento probabilistico, la proliferazione dell'infezione da Staffilococco aureus".
Il tribunale riporta le parole dei consulenti: "La valvola aortica gravemente stenotica è diventata il sito di impianto e di moltiplicazione dello Staffilococco aureus pervenuto al cuore durante la batteriemia". Inoltre, si legge ancora nella sentenza, "nonostante il grave stato anemico, ad alto rischio per via della grave cardiopatia congenita della giovane, non è stata sottoposta ad emostrasfusione, con ovvio peggioramento delle condizioni cliniche generali" e "nonstante la drastica riduzione dei valori di emoglobina e, contestualmente, dei valori dei globuli rossi, indice evidente di emorragia acuta, nessun presidio né diagnostico né terapeutico è stato posto in essere".
Anche se sarebbe servita una terapia antibiotica pure in relazione ai problemi di cicatrizzazione della ferita, il giudice non ha ritenuto provate responsabilità del medico dell'ospedale che visitò la paziente e neppure del suo medico curante. Ha invece considerata "certa la responsabilità" del Buccheri La Ferla, rimarcando anche che "la endocardite era, infatti, non solo prevenibile, con corretta gestione pre e post operatoria, ma anche prevedibile, in considerazione delle note condizioni pregresse della paziente. Alta la pobabilità di sopravvivenza della stessa a fronte di una corretta gestione del caso pre e post operatoria".ù
Così il tribunale ha riconosciuto un risarcimento di 30.561 euro all'altro figlio della vittima, oltre a 342.801 euro a lui e al compagno di F. C., 254.674 euro a ciascuno dei genitori, oltre a 2.155 euro per le spese sostenute dal padre per il funerale, e pure 203.740 mila euro a ciascuno dei tre fratelli della paziente. Cioè complessivamente un milione 496.085 euro che dovranno essere versati dal Buccheri La Ferla.