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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Covid e inquinamento, un mix micidiale che minaccia la fertilità maschile: i risultati dello studio

Notevole la differenza tra Palermo, considerata area a più bassa pressione ambientale, e la Terra dei Fuochi (o la zona di Taranto). L’intervista di Today.it al dottor Luigi Montano, primo autore dello studio: "Dal 1939 al 2017 il numero di spermatozoi medi è crollato a ritmi preoccupanti. La specie umana può rischiare l'estinzione entro il 2050"

La sinergia tra Covid-19 e inquinamento ambientale potrebbe causare un crollo della fertilità maschile a livello planetario, soprattutto tra più giovani, soggetti maggiormente colpiti in questa fase della pandemia. A sollevare l’attenzione sul tema uno studio, pubblicato sulla rivista scientifica “International Journal of Environmental Research and Public Heatlh”, frutto del progetto di ricerca “Eco Food Fertility”, coordinato dal Dott. Luigi Montano, UroAndrologo dell’ASL di Salerno e Presidente della Società Italiana di Riproduzione Umana (SIRU). Questo studio, in particolare, condotto da alcuni ricercatori della Rete Interdisciplinare per la Salute Ambientale e Riproduttiva (R.I.S.A.R.) del progetto Eco Food Fertility - che ha visto la partecipazione dell’Istituto per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA), il Centro Hera di Catania, e delle Università di Napoli (Federico II), di Brescia, di Salerno e di Varese, individua negli spermatozoi le prime sentinelle dell’inquinamento ambientale, ovvero biomarcatori affidabili e anche predittivi di impatti futuri sulla salute umana.

Il crollo della fertilità maschile collegato all’impatto ambientale, messo in luce dal progetto di ricerca Eco Food Fertility, potrebbe essere accelerato dall’azione sinergica fra Covid-19 ed inquinamento, compromettendo ulteriormente la già ridotta capacità riproduttiva maschile, con un serio rischio per il futuro della specie umana. “Dal 1939 al 2017 - spiega a Today il dott. Montano - il numero di spermatozoi medi è crollato a ritmi preoccupanti, non sembra andar meglio in Africa centrale, Cina, India, Brasile, dove il declino dal 2000 al 2015 sembra ancor più vertiginoso. Se i politici e le autorità sanitarie non prenderanno atto della gravità della situazione, velocizzando il processo di transizione ecologica, la specie umana, a causa di questo declino che potrebbe essere accelerato dalla pericolosa sinergia fra inquinamento e Covid-19, può rischiare l’estinzione entro il 2050”. 

Il progetto Eco Food Fertility 

Esiste un nesso di causalità tra inquinamento ambientale e incremento di patologie cronico-degenerative, come i tumori? Per cercare di dare una riposta, con basi scientifiche solide, a questa domanda, è nato, nel 2014, “Eco Food Fertily”, un progetto di biomonitoraggio umano multicentrico e multidicisciplinare, ideato e coordinato dal Dott. Luigi Montano, che mette al centro della sua indagine il liquido seminale. “Il progetto - spiega Montano - valuta, da anni, in maniera sistematica, in che modo l’inquinamento ambientale e gli stili di vita e alimentari influenzino la fertilità a partire dalla qualità seminale, e come quest’ultima sia un indicatore affidabile dello stato di contaminazione della popolazione in riferimento alle condizioni ambientali del territorio in cui risiede, ed ancora come possa rappresentare un indicatore di salute generale della stessa popolazione. L’innovazione metodologica dello studio individua negli spermatozoi le prime sentinelle dell’inquinamento ambientale, ovvero indicatori affidabili, e anche potenzialmente predittivi, di impatti futuri sulla salute umana”. “Il Progetto Eco Food Fertility - prosegue Montano - ha come obiettivo la prevenzione primaria e pre-primaria per ridurre l’incidenza della malattie non solo riproduttive nelle popolazioni più esposte all’inquinamento, e si divide in due fasi”:

“Nella prima valuta i primi segni di danno da inquinamento ambientale sulla salute umana basandosi su diverse matrici biologiche (contaminanti, biomarcatori ossidativi, immunologici, genetici, epigenetici, ecc) e individuando, in particolare, nello studio del seme umano, un’ottima chiave di lettura del rapporto ambiente-salute, un indicatore estremamente sensibile di esposizione ambientale”;

“Nella seconda, invece, in attesa di un risanamento dei territori (vera opera di prevenzione), indica misure di contenimento e/o di modulazione degli effetti dell’inquinamento ambientale sull’uomo attraverso modifiche degli stili di vita individuali, alimentari (dieta mediterranea con prodotti biologici e biodinamici) e, in talune condizioni, sostanze nutraceutico/funzionali ad alto potere detossificante (“bonifica naturale” dell’uomo inquinato)”.

Inquinamento e infertilità: primi studi sulla connessione

“Il liquido seminale - spiega Montano - è un bioindicatore di inquinamento ambientale, oltre ad essere anche un bioaccumulatore di alcune sostanze contaminanti. L'inquinamento ambientale, insieme ai cattivi stili di vita e alimentari, possono, pertanto, causare una riduzione della qualità e quantità degli spermatozoi. A differenza dell’ovogenesi (la riserva ovarica nella donna è già presente alla nascita e si consuma dalla pubertà in poi fino alla menopausa), la spermatogenesi, dalla pubertà in poi, rappresenta un processo continuo con più replicazioni, più possibilità di mutazioni, dunque più sensibilità agli stress endogeni ed esogeni. Come le api possono diventare dei validi bioindicatori della qualità ambientale, così il liquido seminale può essere considerato una cartina di tornasole sia della salute generale dell’individuo che dell’ambiente. E’ da questo concetto che è partita la nostra ricerca, e anche il nostro ultimo studio sulla connessione tra Covid, inquinamento ambientale e infertilità maschile".

"Già con la nostra prima indagine condotta nel 2015 - prosegue Montano - su due coorti omogenee e sane di popolazione a differente pressione ambientale nella Regione Campania (l’area Nord della Provincia di Napoli (Terra dei Fuochi) altamente inquinata, ed un’area poco inquinata nell’Alto Medio Sele, in provincia di Salerno), riscontrammo differenze statisticamente significative con più metalli pesanti nel sangue e, soprattutto, nel seme, alterazioni dell’equilibrio delle difese antiossidanti e detossificanti nel liquido seminale e non nel sangue, ridotta motilità spermatica, e aumentato danno al DNA degli spermatozoi, nei residenti della Terra dei Fuochi rispetto a quelli provenienti dall’area dell’Alto-Medio Sele. Ancora, in uno studio pubblicato a marzo 2018, confrontammo 327 campioni di liquido seminale di maschi, omogenei per età, provenienti dall’area ad alto inquinamento ambientale della Regione Puglia (lavoratori ILVA di Taranto e residenti di Taranto), dell’area ad alto inquinamento della Regione Campania (Terra dei Fuochi) e di aree a più bassa pressione ambientale (Palermo ed Alto medio Sele), misurando i livelli di PM10, PM2.5, Benzene, nelle diverse aree e verificando come il parametro seminale più sensibile ai tassi di inquinamento atmosferico risultò essere il DNA spermatico. I livelli di inquinanti erano significativamente maggiori nel 30% dei maschi provenienti da Taranto e dalla Terra dei Fuochi rispetto a quelli di Palermo e dell’area salernitana”. “Questi e altri successivi lavori, tra cui gli ultimi (2021) finanziati dal Ministero della Salute con il Progetto FAST su coorti di ragazzi tra i 18 e i 22 anni di Brescia-Caffaro, Valle del Sacco (nel Frusinate) e Terra dei Fuochi - sottolinea Montano - sembrano confermare l’affidabilità del liquido seminale come marker sensibile e precoce di salute ambientale e potenziale strumento di valutazione di impatto ambientale per la misura del rischio salute non solo di tipo riproduttivo, ma in generale per le attuali e anche per le future generazioni”.

L’ultimo studio sul Covid

“Con il nostro ultimo lavoro - spiega Montano - abbiamo messo in relazione i dati raccolti in questi anni sul calo della qualità spermatica a livello mondiale con quelli raccolti nelle aree inquinate da valori elevati di PM2.5 (polveri sottili) dove il Covid-19 ha colpito di più, descrivendo al contempo potenziali meccanismi molecolari che creano danni all’apparato riproduttivo maschile indotti congiuntamente dagli inquinanti e dal Covid-19, prefigurando per i prossimi anni un’ipotesi di scenari preoccupanti per la fertilità maschile. Già da diversi decenni si registra nei Paesi occidentali e, negli ultimi 15 anni, anche in Africa, Cina, India, Brasile, un declino molto importante dei parametri spermatici. Secondo un importante lavoro, pubblicato su Human Reproduction Update nel 2017, nei Paesi occidentali, negli ultimi 40 anni, si è riscontrato un calo della conta spermatica pari al 52,4%. Se, invece, torniamo più indietro, dal 1939 al 2017 - continua Montano - il numero di spermatozoi medi per millilitro nei Paesi occidentali è crollato da 116 Mil/ml a 47 Mil/ml; non va meglio nei Paesi ritenuti ad alta fecondità, come Africa centrale, Cina, India, Brasile che, negli ultimi due decenni, hanno subito un notevole sfruttamento delle risorse territoriali e dove il declino è in forte progressione. Alla luce di questi dati, con il nostro ultimo lavoro - che segue uno precedente, che ha indagato sulla qualità seminale come potenziale indicatore di suscettibilità agli attacchi del SARS-CoV-2 nelle aree inquinate ("Semen quality as a potential susceptibility indicator to SARS-CoV-2 insults in polluted areas"), - abbiamo evidenziato come l’azione sinergica fra Covid-19 ed inquinamento potrebbe accelerare il calo della produzione degli spermatozoi, compromettendo ulteriormente la già ridotta capacità riproduttiva maschile, con un serio rischio per il futuro della specie umana”.

Il ruolo del recettore Ace2

“Il possibile impatto negativo che il SARS-CoV-2 potrebbe avere sul sistema riproduttivo maschile - dichiara Montano - è legato al ruolo del recettore ACE2, ovvero la via di ingresso del virus nell’organismo. Questo recettore è fortemente espresso a livello testicolare, in particolare in età fertile e ancor di più come conseguenza degli effetti dell’inquinamento da polveri sottili. Proprio la maggiore disponibilità di questo recettore, in condizioni di alto inquinamento, potrebbe spiegare la più alta contagiosità ed impatto del Covid-19 nelle aree inquinate, come già più studi hanno dimostrato. La novità del nostro lavoro sta nell’aver incrociato questo dato con la più alta espressività nella fascia di età fertile della popolazione maschile che potrebbe avere conseguenze importanti in particolare nei giovani che risiedono nelle aree dove maggiori sono i tassi di inquinamento atmosferico. Gli effetti precisi del Covid-19 sugli spermatozoi umani non sono ancora chiari, ma questa malattia e l’inquinamento ambientale potrebbero rappresentare una sinergia potenzialmente pericolosa dove meccanismi molecolari comuni di danno indotti dagli inquinanti e Covid-19 sulla fertilità potrebbero avere serie conseguenze nel medio e lungo termine”.

L’appello ai politici e alle autorità sanitarie 

“L’infertilità maschile in aumento e il calo generale delle nascite a livello planetario - sottolinea Montano - dovrebbero essere una delle principali preoccupazioni dei politici e delle autorità sanitarie nel mondo. La pandemia da Covid-19, unita agli elevati livelli di inquinamento ambientale, ha creato una condizione che rischia di compromettere ulteriormente la capacità riproduttiva della specie umana. Il Covid-19 con la sua enorme prevalenza nella popolazione mondiale potrebbe rappresentare un forte acceleratore del declino della fertilità maschile, principalmente a causa del progressivo abbassamento dell'età media di infezione e perché il Covid-19 aumenta lo stress ossidativo, una delle principali cause di infertilità. Inoltre, varianti di Sars-CoV-2, come quelle inglesi, sudafricane, brasiliane e, soprattutto, l’ultima che sta prevalendo nel mondo, quella indiana, sono un'ulteriore preoccupazione perché rendono il virus più contagioso e diffuso a partire dai giovani, creando le condizioni per danni maggiori. Pertanto, nelle aree in cui i tassi di inquinamento sono più elevati, ci dovrebbe essere maggiore attenzione alla salute della fertilità, considerando che gli spermatozoi sono le prime sentinelle della salute ambientale e possono essere più suscettibili alla potenziale azione sinergica dell'inquinamento e dell'infezione da SARS-CoV-2.

E', quindi, necessario indagare l’impatto che la sinergia tra Covid-19 e inquinamento ambientale potrebbe avere sulla fertilità maschile, e monitorare nel tempo la fascia più giovane della popolazione e coloro che già hanno problemi riproduttivi, in particolare nelle aree dove l’impatto ambientale è maggiore. Sorprende, comunque, il fatto che non vi sia ancora alcuna consapevolezza della gravità della situazione, né a livello sanitario nè a livello politico. Peraltro, quando si affronta il problema, lo si fa in termini di denatalità, di declino demografico (l’Italia è, fra gli ultimi al mondo), e il riferimento è esclusivamente rivolto a fattori socio-economici e di welfare, che certamente hanno un peso rilevante, visto che “costringe” a fare figli oltre l'età biologica (35 circa per gli uomini e 32.5 per le donne). Ma è proprio il dato “biologico” che sfugge e che non viene affatto considerato nel dibattito pubblico, eppure la fertilità, in particolare maschile, è, come dicevo, in forte calo ormai da decenni e non solo nei Paesi occidentali. I nostri studi ci portano a credere che il declino della fertilità maschile rappresenti lo specchio più fedele e misurabile dell'impatto che le attività umane hanno avuto negli ultimi decenni sull'uomo".

"E' ora - conclude Montano - che la classe politica e le autorità sanitarie si sveglino e si rendano conto che bisogna accelerare il processo di transizione ecologica, perchè, oltre ai cambiamenti climatici già, purtroppo, in corso, c’è un problema potenzialmente ancora più serio: un’incapacità riproduttiva sempre più diffusa che mette a rischio la nostra sopravvivenza”.

FONTE: TODAY.IT

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