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Cronaca

Il giro di mazzette per pilotare gli appalti nella sanità, arriva la prima condanna

Il gup ha accolto la richiesta di patteggiare la pena di 4 anni e mezzo concordata tra l'imprenditore Ivan Turola e la Procura. Dovrà anche risarcire con 20 mila euro, ma difficilmente andrà in carcere. Respinta invece la stessa istanza del faccendiere Salvatore Manganaro e di Roberto Satta: faranno l'abbreviato

Ad appena nove mesi dagli arresti per il presunto giro di tangenti legato all'assegnazione di appalti per circa 600 milioni nella sanità, arriva la prima condanna: il gup Annalisa Tesoriere ha infatti accolto la richiesta di patteggiamento di una pena di 4 anni e mezzo concordata tra l'imprenditore Ivan Turola (della Fer. Co. Srl) e la Procura. Difficilmente, però, l'imputato andrà in carcere. Pagherà intanto 20 mila euro di risarcimento all'Asp e alla Regione, per il danno all'immagine che ha provocato.

Contestualmente, il giudice ha invece rigettato la richiesta di patteggiamento di Salvatore Manganaro, il faccendiere che ha confessato, e di un altro imprenditore, Roberto Satta (Tecnologie Sanitarie). L'accordo sulle pene era rispettivamente di 4 anni e 2 mesi (oltre alla restituzione di una somma consistente) e di 5 anni. Gli imputati, però, avevano chiesto di spostare a gennaio 2019 la data di commissione dei reati che, secondo l'accusa, sarebbero invece avvenuti a maggio dello stesso anno. Un'istanza che sarebbe servita ad evitare l'applicazione della così detta legge "Spazzacorrotti", che prevede il carcere nei casi di corruzione. Il giudice, respingendo i patteggiamenti, ha invece stabilito - come dimostrano anche le intercettazioni - che i reati sarebbero stati effettivamente commessi dopo l'entrata in vigore della norma. I due, come avevano chiesto in caso di rigetto, saranno quindi processati con il rito abbreviato.

Gli arresti dell'operazione "Sorella Sanità", con cui il procuratore aggiunto Sergio Demontis e i sostituti Giovanni Antoci e Giacomo Brandini hanno coordinato le indagini della guardia di finanza, risalgono al 21 maggio dell'anno scorso. Attraverso intercettazioni e pedinamenti erano venuti a galla i presunti accordi illeciti tra diversi imprenditori, disposti a pagare e fare regali pur di aggiudicarsi le gare, e funzionari pubblici. Ai domiciliari finì anche Antonio Candela, ex manager dell'Asp di Palermo, nonché ex coordinatore della struttura regionale per l'emergenza Coronavirus.

In tempi molto brevi, cioè ad ottobre scorso, la Procura aveva chiesto ed ottenuto il giudizio immediato e nove dei dieci imputati avevano quindi optato per riti alternativi, al fine di ottenere sconti di pena in caso di condanna. L'unico che ha scelto il dibattimento è Crescenzo De Stasio, amministratore della Siram. Altri cinque sono attualmente sotto processo con l'abbreviato: oltre a Candela, si tratta di Fabio Damiani (manager dell'Asp di Trapani, nonché responsabile della Centrale unica per l'affidamento degli appalti), un presunto faccendiere di Candela, Giuseppe Taibbi, e gli imprenditori Salvatore Navarra (Pfe Spa), Francesco Zanzi (Tecnologie Sanitarie) e Angelo Montisanti (Siram, ma anche amministratore della Sei Energia Scarl). A loro si aggiungeranno anche Manganaro e Satta.

Turola, che oggi è stato condannato, avrebbe tra l'altro anche fatto da tramite tra Damiani e Guglielmo Miccichè, fratello del presidente dell'Ars, Gianfranco, per agevolare la sua nomina a capo dell'Asp di Trapani. Ma erano state anche intercettate le conversazioni di Candela in cui con Taibbi sarebbe stato progettato un'operazione di dossieraggio nei confronti di vari personaggi del mondo della sanità siciliana, da recapitare agli allora vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio, oltre che ai giornali.

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