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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Coronavirus, col cuore dei siciliani una sala semi intensiva al pronto soccorso del Cervello

Allestita sin dai primi giorni dell'emergenza, è stata potenziata grazie alle donazioni ricevute. La responsabile Tiziana Maniscalchi: "Siamo stati travolti dalla generosità. Siamo felici di ricevere affetto e attenzioni, ma ci voleva la pandemia per scoprire quello che facciamo e dare attenzione al settore?"

Sorridono per una Tac finalmente confortante, per un ventilatore che non serve più perchè i polmoni hanno ripreso a fare il loro dovere, per un tampone negativo, per i pazienti a cui possono dire "Il Covid-19 è stato sconfitto, la dimettiamo" ma inevitabilmente pensano costantemente anche a come migliorare ancora l'assistenza, a come aiutare i pazienti in modo ancora più tempestivo ed efficace. I medici del Pronto soccorso dell'ospedale Cervello, ormai nella veste del Covid hospital, hanno allestito sin dai primi giorni dell'emergenza una sala per le terapie semi intensive e oggi la potenziano grazie alle donazioni ricevute. Servirà ad aitare i pazienti in condizioni serie, alleggerendo finchè si può la Rianimazione. L'intenzione è poi quella di dedicarla proprio a chi si sta impegnando nella lotta al Covid-19 ma anche alle vittime, che siano pazienti o colleghi caduti per prestare fede al giuramento fatto di aiutare i propri assistiti. "La sala semi intensiva è importante perchè ci consente di seguire in modo puntuale i pazienti con un quadro serio, con problemi di carattere respiratorio, ma per i quali non è necessario il ricovero in altro reparto. La dedicheremo all'emergenza, magari metteremo una targa, sarà un modo per ricordare domani il grande impegno profuso e anche chi non c'è più",  spiega a PalermoToday Tiziana Maniscalchi, responsabile facente funzione del Pronto soccorso.

I posti per le terapie semi intensive (o sub intensive) sono quelli destinati, secondo quanto previsto dal documento che indica la "Modalità operativa multidisciplinare di gestione di paziente Covid-19 in ambito ospedaliero" adottato a livello regionale, ai pazienti che necessitano di supporto ventilatorio non invasivo. Sono persone sottoposte "a monitoraggio delle funzioni vitali, controlli clinici e terapia medica con telemonitoraggio multiparametrico. Nel caso di comorbidità, in particolare cardiovascolari e metaboliche, il paziente dovrebbe essere ricoverato, quando disponibile, in un'unità subintensiva di Medicina interna (con personale a elevata expertise nel supporto ventilatorio non invasivo)".   

"Noi - spiega Maniscalchi - dall'inizio dell'emergenza lavoriamo cosi, dividendo i pazienti per intensità di cure. Si è reso subito necessario avere in Pronto soccorso una sala semi intensiva per rispondere tempestivamente alle esigenze dei pazienti che arrivavano da noi".

La sala di terapia semi intensiva è stata allestita in parte con apparecchiature trasferite da altri reparti, ma anche grazie alle donazioni ricevute dal nosocomio. I monitor di videosorveglianza ai pazienti e un ecografo, ad esempio, sono gli ultimi arrivi e sono stati donati dal gruppo Arena dei supermercati Deco' attraverso l’associazione "Bone Hope", che supporta l’hospice di Villa Sofia-Cervello. Sono frutto di una donazione anche tre dei ventilatori messi in funzione nella sala.

"Abbiamo ricevuto fiducia, le persone affidano nelle nostre mani le loro vite e quelle dei loro cari e noi abbiamo deciso che nessuno dei gesti di solidarietà nei nostri confronti rimanesse fine a sè stesso - commenta Carmen Sferrazza, medico in forza al pronto soccorso -. Ringraziamo il gruppo Arena dei supermercati Deco' che attraverso l’associazione 'Bone hope' ha donato al box di Terapia intensiva del reparto di Rianimazione un sanificatore: una scelta oculata e utile per la sicurezza di pazienti e operatori. Al pronto soccorso sono stati donati i monitor di videosorveglianza ai pazienti e un ecografo. Il nostro pensiero  - sottolinea - è per tutte le persone che in questa pandemia hanno perso la vita perché non c’è stata la possibilità di curarle al meglio. Vogliamo fare tesoro di questa esperienza e i doni ricevuti grazie alla generosità ci aiuteranno a lavorare in modo ancora più efficace".

"Siamo stati travolti dalla generosità - sottolinea Maniscalchi - le donazioni hanno superato le aspettative. Grandi catene ma anche privati cittadini si sono mobilitati, hanno dimostrato la volontà di essere accanto a noi in questa battaglia. Un dono per l'ospedale ma per tutti i cittadini, perchè ogni apparecchiatura servirà a curare al meglio tutti i pazienti non solo quelli oggi colpiti dal Coronavirus".

L'attenzione, improvvisa e massiccia, rivolta alla categoria risveglia però, inevitabilmente, il timore che passata l'emergenza si torni a un'indifferenza e un'indolenza che ha portato negli anni a pesanti tagli al comparto, da parte della politica, e a episodi di insofferenza se non vera e propria violenza da parte degli utenti. "L'epidemia - sottolinea Maniscalchi - ci ha messo alla prova, è vero. Come sanitari abbiamo ripensato protocolli, organizzazione, abbiamo sacrifiato la vita privata e familiare in modo importante. Un virus nuovo e sconosciuto ha costretto a sanità al difficile compito di rimodulare alcuni aspetti. Ma noi siamo quelli di sempre. Facciamo oggi quello che abbiamo sempre fatto. In corsia, tra i pazienti, abbiamo sempre passato le domeniche, le notti, le feste comandate, i compleanni. Lo facciamo oggi per i malati fiaccati dal Covid-19, lo facevamo prima e lo faremo in futuro quando il virus avrà un altro nome, quanto la patologia sarà un'altra. E' il lavoro che abbiamo scelto. Siamo felici di ricevere affetto e attenzioni, ma ci voleva la pandemia per scoprire quello che facciamo o per dare attenzione al settore? Ci voleva la pandemia per capire che i sanitari hanno bisogno dei dispositivi di protezione e devono essere sempre riforniti? Per capire che servono personale e strutture?".

Il timore è che dopo l'ondata emotiva, i murales dedicati agli infermieri e ai medici, i flash mob, le canzoni, le donazioni, gli investimenti, le assunzioni (a tempo), si torni al "prima" all'era "pre Covid". "Mi auguro - dice con disincatato ottimismo - è che tutto questo ci insegni qualcosa per il futuro. Che non si perdano le conquiste fatte".

Futuro oggi significa "fase due". Tanto attesa, ma ancora incerta nei modi e forse anche un po' temuta. "Per noi la 'fase due' è relativa, magari diciamo 'uno e mezzo' - ironizza Maniscalchi - Dovremo mantenere l'attenzione alta, molto. Proseguiremo gli screening, continueremo a valutare in modo attento i pazienti con febbre ad esempio. Case di cura, rsa, positivi in isolamento domiciliare richiedono e richiederanno massima attenzione. Il virus causa patologie dal decorso lungo, inoltre non possiamo quantificare gli asintomatici, non sappiamo per quanto tempo si resta contagiosi anche se magari il tampone ha dato esito negativo e quindi si è clinicamente guariti. A questo si deve aggiungere che con l'allentamento dei divieti ci sarà una maggiore circolazione delle persone, maggior contatto. Finchè non raggiungeremo quota zero dei contagi e, da quella data faremo passare almeno tre mesi, non potremo abbassare le difese. Per forza di cose alcuni posti letto dedicati all'emergenza saranno nuovamente riconvertiti. Non significherà smantellare tutto, ma adeguarci alle esigenze. Rimane fondamentale che i cittadini abbiano comportamenti responsabili. Non agire in modo 'leggero'. Significa, per fare un esempio, non usare la mascherina con la valvola. Ha un uso specifico, non è per i comuni cittadini che magari la indossano per fare la spesa. Quella mascherina difende chi la indossa ma espone potenzialmente al contagio tutti gli altri... Essere responsabili e prudenti adesso, mettere a frutto le esperienze fatte, significa tornare prima alla normalità... per tutti".

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