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Cronaca

A tempo pieno ma con un part time, Alice Grassi condannata a pagare ex lavoratrice anche in appello

La figlia di Libero, imprenditore simbolo della ribellione al pizzo, e la società di cui era rappresentante legale dovranno risarcire una donna che ha lavorato 7 anni per la Spi strategie e progetti d’impresa. La somma dovuta, grazie alla prescrizione, si è ridotta da 76 mila a 20 mila. L'avvocato: "Vi rinuncino se davvero sono per la legalità"

Per via della prescrizione sono “caduti” quasi 50 mila euro ma alla fine l’impianto ha retto anche davanti alla corte d’appello. Confermata definitivamente in secondo grado la sentenza di condanna per la società ormai in liquidazione "Spi strategie e progetti d’impresa srl" e Alice Grassi - figlia dell’imprenditore Libero, simbolo della ribellione al pizzo - che adesso dovranno risarcire una ex dipendente oggi 44enne. Nonostante il contratto part time che la legava alla srl, la donna avrebbe lavorato a tempo pieno e pure il sabato. "Visto che professano la legalità come stile di vita - dice l’avvocato Marcello Montana - potrebbero anche rinunciare alla prescrizione perché ciò che è emerso da questo processo è che la mia assistita ha lavorato parzialmente in nero".

La causa di lavoro è iniziata nel 2016 dopo un periodo di malattia in cui la dipendente, che ha lavorato 7 anni per l’architetto Grassi, si era trovata costretta ad assentarsi da lavoro. "Mi occupavo un po’ di tutto, lavoravo come segretaria ma facevo anche la commessa. Dopo la malattia - aggiunge la donna - sono stata licenziata e quando ho chiesto quello che mi spettava mi è stata letteralmente chiusa la porta in faccia". Per accertare quanto sostenuto dalla lavoratrice, il giudice - oltre a nominare un consulente tecnico, ha ascoltato alcuni testimoni. Due erano anche stati denunciati per falsa testimonianza da Grassi ma il procedimento, in primo e secondo grado, si è concluso in un nulla di fatto.

Dalla relazione del tecnico è stato ricostruito il rapporto di lavoro e si è arrivati alla somma di 76 mila euro che la Spi avrebbe dovuto pagare all’ex dipendente fra differenze retributive, trattamento di fine rapporto, rivalutazioni e interessi. La sentenza, risalente a dicembre 2020, era munita di formula esecutiva ma nonostante ciò, anche in vista dell’appello, la società avrebbe deciso di non pagare a prendere tempo. Nella sentenza depositata pochi giorni fa il collegio ha disposto quindi il pagamento di una somma pari a 21.434 euro, condannando la Spi a pagare anche oltre 5 mila euro per le spese di giudizio e quelle del consulente tecnico per entrambi sia per il primo grado che per l’appello.

Il primo tentativo per recuperare la somma verrà fatto sui conti correnti della società e poi si passerà eventualmente ai beni mobili e immobili. "Se non fosse che - aveva spiegati già allora l'avvocato - l’unico immobile della società ormai in liquidazione, un appartamento di 8 vani in zona viale Lazio, è stato ceduto dalla stessa azienda all’architetto Alice Grassi". Da una visura ipotecaria risulta infatti che pochi mesi prima dell’avvio della causa (precisamente il 28 luglio 2015), l’imprenditrice avrebbe acquisito l’immobile per rientrare di un credito da 260 mila euro vantato nei confronti della srl di cui era socia.
 
Ciò perché nel tempo l’architetto avrebbe messo mano alla tasca "per anticipazioni - si legge nelle note della visura - erogate nel tempo a titolo di finanziamenti infruttiferi per far fronte alle esigenze di liquidità della società; che le continue perdite d’esercizio non hanno consentito alla società di restituire la suddetta somma; che il socio Grassi ha chiesto l’adempimento dell’obbligazione alla società, la quale non possiede liquidità sufficiente a soddisfare il credito vantato dal socio ma ha nel proprio patrimonio solo questo immobile".

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