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Cronaca

Clinica Triolo-Zancla, sala operatoria "poggiata" su chiesa del '500: condannato titolare

Ammenda da 27 mila euro e un anno di arresto con la condizionale: così ha deciso il giudice per l'amministratore della struttura alla Cala. La clinica avrebbe contribuito al deterioramento dell'edificio, sequestrato nel 2014 per ragioni di sicurezza

Per più di mezzo secolo un pezzo della sua clinica si sarebbe "poggiata" a uno dei terrazzi della chiesa di San Sebastiano. Siamo alla Cala e la vicenda riguarda la storica struttura "Triolo-Zancla". Nonostante in quella foto neanche tanto ingiallita si veda già suo padre - allora titolare della clinica - davanti a quella “costola” della sala operatoria, il giudice ha contestato l’uso distorto della chiesa di San Sebastiano, costruita nel 1516 e alla cui terrazza si sono “attaccati” per decenni. In questo modo avrebbero dunque contribuito, probabilmente, al suo deterioramento che ha portato nel 2014 al sequestro dell’edificio sacro per ragioni di sicurezza.

Il legale difensore Gabriele Butera annuncia di avere già ricevuto mandato per opporsi in appello: “Ci sono almeno tre aspetti che a mio avviso non sono stati trattati adeguatamente. Gli viene addebitato di aver danneggiato la chiesa, ma non è stato provato. Questo reato inoltre dovrebbe comprendere la compressione della fruibilità del bene. E’ questo il caso?”.

Sono state così rese note le motivazioni della sentenza di condanna di primo grado nei confronti di Luigi Triolo, amministratore della clinica privata che si trova alla Cala, per il reato previsto dall’articolo 170 del decreto legislativo 42/2004, ovvero per aver occupato parte del terrazzo della chiesa per un “uso incompatibile con il suo carattere storico-artistico o pregiudizievole della sua conservazione o integrità”. Per lui un’ammenda da 27 mila euro e un anno di arresto con la condizionale (a patto di demolire le opere considerate abusive entro 60 giorni). Oltre all’ampliamento della sala operatoria al quarto piano con un’area chiusa e adibita alla sterilizzazione degli strumenti chirurgici, è stato realizzato un ballatoio in metallo e sono state posizionate alcune cisterne con relative tubi, che avrebbero originato ristagni d’acqua che a sua volta si sarebbe infiltrata lungo le pareti contribuendo al deterioramento dell’edificio sacro.

Clinica Triolo Zancla Chiesa San Sebastiano 2-2

Nel sopralluogo effettuato degli agenti del Nucleo tutela del patrimonio artistico della polizia municipale di febbraio 2012 è stato riscontrato - si legge nero su bianco - che l’ampliamento e gli altri lavori di manutenzione fatti negli anni avrebbero potuto costituire un rischio dovuto all’appesantimento statico sul monumento che non risulta essere mai stato calcolato e verificato dal Genio civile. “Né risulta - prosegue il giudice - che vi sia stata mai cura da parte dell’ente ecclesiastico proprietario, da parte degli uffici tecnici o della Soprintendenza di compiere una verifica di tali profili di sicurezza seguita da interventi concreti”. Di fatto quella chiesa, come confermato da Padre Scaduto al quale fu affidata dalla Curia nel 2008, veniva utilizzata in parte come deposito di altari, marmi e tanto ancora poi spostato da altra parte. E poi la chiesa di San Sebastiano, nel 2014, è stata chiusa con i sigilli perché ritenuta pericolante.

Il sopralluogo della Soprintendenza

Nella sentenza il giudice sottolinea anche “la parsimonia e la difficoltà nel fornire una rappresentazione più compiuta della vicenda” rispetto alla relazione scritta dall’architetto Maria Serena Tusa della Soprintendenza dei Beni Culturali, che si è “astenuta dal parlare di abusi edili e di danni al monumenti provocati da ‘interventi’ di questo tipo (non avendo appunto mai visitato la chiesa)”. L’architetto scriveva di aver notato dell’acqua che ristagnava vicino alle cisterne e ai macchinari posizionati sopra la chiesa. Una circostanza che potrebbe aver contribuito a danneggiare affreschi del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Poi aggiunge che l’immobile (il palazzo della clinica, ndr) non è oggetto della competenza dei Beni Culturali ma gravano i vincoli imposti dal piano particolareggiato del centro storico e che quindi - sottolinea - “sarebbe di competenza dell’ufficio del centro storico del Comune verificare questo genere di ‘operazioni’ o rilasciare eventuali autorizzazioni”.

Dalla difesa all’attacco e fino all’ordinanza comunale

Durante le udienze Triolo e l’avvocato hanno rivendicato la proprietà e la legittimità di quel locale, come da atti depositati all’Asl, esistente da tempo immemore e ristrutturato più volte, come tutto il resto, già nel dopoguerra. Da allora è stata fatta solo manutenzione, come prima aveva fatto suo padre, raffigurato in una fotografia in quel particolare punto, tra la clinica e il tetto della chiesa. La difesa, per allontanare da sé le responsabilità sul peggioramento delle condizioni della chiesa di San Sebastiano, ha puntato il dito contro “tutti coloro, come la Soprintendenza, che, essendo tenuti a mantenerlo in buono stato non ne hanno curato la manutenzione, rendendosi così responsabili non solo del degrado degli affreschi e dei crolli di parti della strutture esterne, ma per di più del danno che per via di tali prolungate insipienze l’immobile della clinica di cui lui è amministratore continua a rischiare.

Proprio per questa ragione Triolo ha scritto due volte al Comune per chiedere di mettere in sicurezza la chiesa consolidando le parti pericolanti che già erano crollate durante gli anni. E ad aprile 2016 è arrivata l’ordinanza del sindaco con la quale si chiedeva “al responsabile dell’immobile suddetto e/o per essi ad ogni altro soggetto obbligato per legge, l’esecuzione immediata di tutte le opere urgenti ed indifferibili necessarie per la salvaguardia delle persone”. Il tutto non curandosi però di verificare se quella struttura potesse stare lì o meno. Durante l’udienza Triolo ha inoltre sottolineato come non gli sia mai stata notificata un’ordinanza di demolizione né “avrebbero potuto farlo rivestendo l’opera tutti i crismi della legalità”. Ma il giudice ha osservato che Triolo non ha mai messo agli atti alcun documento, né suo né dei suoi avi, sull’acquisto di quella porzione di immobile di 15 metri quadrati.

“Niente prescrizioni, reato di carattere permanente”

Nella sentenza il giudice ha inoltre sottolineato, come ripreso e commentato sul sito LexAmbiente curato dal consigliere della Corte suprema di Cassazione Luca Ramacci, che il reato previsto dall’articolo 170 del decreto legge 42/2004 ha natura permanente nel senso che, posto in essere l’uso improprio del bene sottoposto a tutela, la situazione antigiuridica che ne deriva perdura fintanto che l’agente volontariamente o coattivamente non dismetta il suddetto uso illecito. Proprio per questa ragione la rivista giuridica avrebbe pubblicato una sentenza senza precedenti e destinata probabilmente a fare giurisprudenza.

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