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Martedì, 23 Aprile 2024

Sandra Figliuolo

Giornalista Palermo

La Cantantessa strega Palermo Al Massimo: sul palco la quintessenza del rock dalle radici sicule

Ieri sera la prima delle due tappe cittadine del tour "Volevo fare la rockstar" dell'artista catanese Carmen Consoli. Due ore e mezza di musica raffinata ed "isterica" in un teatro pieno e caloroso, tra brani inediti e successi che hanno ormai un quarto di secolo. Non imbraccia mai la chitarra elettrica e proprio per questo sa essere ancora più dirompente

Hanno ragione certi critici un po' superficiali e certi fan smemorati: Carmen Consoli non è (più abbastanza) rock. Carmen Consoli, che lancia plettri per aria come fossero petali, è infatti la quintessenza del rock, la sua sublimazione, e lo ha dimostrato - se ce ne fosse ancora bisogno - anche ieri sera sul palco del Teatro Al Massimo, stregando Palermo con un concerto di due ore e mezza in cui non ha mai imbracciato una chitarra elettrica ma, senza ricorrere a lustrini e costumi stravaganti, senza facili linguacce e parolacce, ha ancora una volta sovvertito schemi, frantumato le barriere del suono e ricostruito sogni e desideri, indicando una strada libera, magica, dove - si prenda nota - "il talento è un dono importante, ma niente di più di una bella promessa senza l'impegno e la coerenza".

Carmen Consoli strega Palermo, le foto del concerto

La cantautrice catanese (i palermitani non la seguono sulla "raggiante Catania" di in "Bianco e nero", ma cantano a squarciagola "A finestra" con perfetta pronuncia etnea) conosce il segreto delle "Armonie numeriche", sa che la musica non è altro che un'alchimia matematica e sfoggia una tecnica ormai rara - un incanto vederla sfiorare, accarezzare, pizzicare, picchiare, frustare con la mano la chitarra acustica, anche quando rompe un corda in "Mago Magone", trafficare con pedali e distorsori, e regolare amplificatori - specie in un panorama desolante fatto di suoni campionati, che ha sempre il sapore di già visto e sentito anche quando cerca di essere anticonformista, di voci filtrate e rese perfette da diavolerie elettroniche, di testi senz'anima. 

In scena con tre atti (proprio come una pièce teatrale: "Il sogno", "Gli anni mediamente isterici", "L'amicizia"), nella prima tappa palermitana del tour (si replica stasera, sabato 18, alle 21), insieme alla Cantantessa ci sono una superlativa Marina Rei alle percussioni (la "batteristessa", come la chiama), che tira fuori un ritmo potente, dirompente - che spacca per dirla chiaramente - sfruttando con sapienza tutto ciò che lo strumento le mette a disposizione (e forse anche oltre), e il fedelissimo Massimo Roccaforte, compagno di viaggio, amico, fisico nucleare mancato (e per fortuna), che l'accompagna alla chitarra (un modello vintage, col quale - guarda un po' - è stata scritta proprio la storia del rock) e al mandolino (che sostituisce i suoni elettrici in modo sorprendente e riuscito in un pezzo come "Fiori d'arancio"). Unico "maschio" sul palco, senza diritto di parola (non ha il microfono), discreto, ma che per sensibilità e grazie anche lui a una tecnica formidabile riesce a non farsi sommergere dalla femminilità "isterica" che sovrasta invece ogni cosa.

"Volevo fare la rockstar", così s'intitolano il tour (prodotto e organizzato da Francesco Barbaro per Otr live, le date siciliane in collaborazione con Puntoeacapo e la direzione artistica di Nuccio La Ferlita) e l'ultimo album di inediti (pubblicato da Narciso Rec/Polidori Universal il 23 settembre, alla fine dell'estate, ma con quella "Domenica al mare" che l'estate la fa durare tutta la vita, anche in pieno inverno) e nella prima parte del concerto ne vengono ripercorsi tutti i brani. Il pubblico - variegato, ma composto per lo più da trentenni e quarantenni, non mancano, ed è un piccolo miracolo, ragazzi più giovani - segue attento la delicatezza raffinata e ricercata di testi e accordi, si lancia in un applauso incontenibile solo sul pezzo che dà il nome all'evento, un gioiello, una piccola autobiografia che s'intreccia con un affresco storico, dove ogni parola è scelta con cura maniacale, tanto che la musica riesce a stimolare gli altri sensi, restituendo immagini per gli occhi (persino i cadaveri lasciati a terra da Cosa nostra, "colpiti al cuore con precisione", accennati, dipinti, "sembrano uscire dai quadri"), profumi per l'olfatto (la vaniglia del sussidiario, il burro, le olive, le gomme alla fragola...).

Il primo atto è preceduto da un'introduzione vocale in cui l'artista invita a riscoprire la bellezza del tempo che scorre lentamente, dei valori più semplici così trascurati da diventare oggi quelli veramente rivoluzionari, a coltivare passioni, a non arrendersi, a fare l'amore con la vita, sempre. E Carmen Consoli ne è l'esempio, perché dalla "lampada tascabile" che "era un microfono perfetto", impugnata in cucina da bambina per gioco, con la tenacia, la passione e la forza dei sogni appunto, è venuta fuori la rockstar che estasia e ammalia, prima Donna a fare una miriade di cose in un Paese dove - inutile nasconderlo - nascere femmine rende tutto più complicato.

In piena pandemia, poi, in un momento di necessario "distanziamente sociale", vedere un teatro pieno, facce felici e emozionate, che "tornano a sperare" a dispetto di controlli e scomode mascherine che sono però l'unico mezzo per tornare a stare insieme, è un'ulteriore prova che con una volontà ferrea e determinata tutto è possibile.

Ad accompagnare il primo atto le immagini di Donatella Finocchiaro, proiettate alle spalle dell'artista, un fraseggio (che a volte però distrae) ai brani, che li inserisce in un contesto più vasto, tra bambini che scorrazzano e sognano, e il terribile "Uomo nero" (chiaro sberleffo a certi "capitani" che si esibiscono sulla triste scena politica italiana), pose da dittatore mussoliniano e (brutta) faccia da pagliaccio.

E' sul secondo atto, quello "mediamente isterico", però che la gente si scatena, quando sul palco compare Marina Rei ed il rock irrompe nella sua forma più conosciuta, con pezzi che ormai hanno quasi un quarto di secolo e che suonano invece freschi, intensi, appassionati come se fossero stati composti ieri. Si parte - non a caso - da "Per niente stanca" (splendido il richiamo ai White Stripes e a "Seven nation army" nell'introduzione), ovvero un elogio alla forza e alla spinta vitale che, anche nella solitudine e nell'emarginazione, nella malattia, permette di "superare anche l'inverno". Ogni inverno. Si passa da un capolavoro come "Geisha" (chissà come l'avrebbero presa le femministe 4.0 della forma e dell'insopportabile politicamente corretto che appesta oggi ogni ragionamento alla sua uscita, nel 1998...), da "Venere" (quella "triste, annoiata e asciutta", ma non tanto da sottostare a sentimenti malati, sorprendentemente ribelle), a "Contessa Miseria" ("vittima di questo secolo, che rincorre il mito di forme avvenenti e di chirurgia estetica", uno di quei ritratti perfetti che solo Carmen Consoli sa delineare con una precisione superba e che fa il baffo a sedicenti scrittori e romanzieri), a "Confusa e felice" e a "Fino all'ultimo", anche questo omaggio a chi resiste ad ogni dolore.

In dono nel secondo atto anche una perla, "Donna che parla in fretta" di Marina Rei, che l'intona con maestria, seduta alla batteria, accompagnata dall'amica Carmen Consoli. E gli sguardi di complicità tra le due, la "sintonia perfetta" che le guida musicalmente, sono l'inno sublime ai legami profondi che il tempo sa solo arricchire, in un'epoca incardinata sull'usa e getta, dove il contatto fisico è stato soppiantato da schermate illuminate, dove le persone sono cose e le loro emozioni faccine colorate... (Nota a margine: qui si sta parlando di un teatro che prende metaforicamente fuoco e che brucia "soltanto" con due donne, una chitarra e una batteria. Di due donne meravigliosamente ostinate, "dannate" e "ingenue". Sfidiamo senza timore - sempre quei detrattori smemorati - a trovare qualcosa di più rock di questa parte dello spettacolo).

Il concerto si chiude proprio con l'atto dedicato all'amicizia, prima di tutto quella che legava la cantautrice al Maestro Franco Battiato, che omaggia con "Stranizza d'amuri" e che il pubblico saluta con un applauso commosso. Ma con "A finestra" rieccheggia anche la straordinaria potenza di un'altra Maestra, Rosa Balistreri, di quel dialetto musicale e poetico, che veste le cose anche in modo rude, ma dando loro una dimensione unica, intensa e profonda. Sono le radici sicule e vulcaniche del rock, una chiave di lettura e un'interpretazione personalissima che - c'è poco da girarci intorno - solo Carmen Consoli ha saputo creare. Il pubblico è ormai completamente "a briglie sciolte", canta "Blunotte", "Parole di burro", "Orfeo", batte le mani con calore.

Saluta e ringrazia infine, Carmen Consoli, che non ha esitato - senza prendersi troppo sul serio, con quell'ironia che è l'espressione più evidente delle persone intelligenti - a regalare qualche siparietto, scambiando battute con i suoi compagni di viaggio (questo è peraltro un tour on the road, in cui ci si sposta su un camper) ed è riuscita a far cantare in siciliano anche Marina Rei. Accetta con commozione ben più di un paio di minuti di applausi. In piedi, signori. Esce e poi cede alle richieste del pubblico e torna in scena.

Il bis è il cerchio che si chiude: "Amore di plastica", il brano d'esordio che l'artista presentò a Sanremo 25 anni fa, quello che l'ha fatta conoscere al grande pubblico, ripescato da quel "Due Parole", il primo album che ha compiuto appunto un quarto di secolo a febbraio scorso. Dove - lo si ribadisce per eventuali detrattori - c'era già in nuce tutto, il rock in tutte le sue sfaccettature, sfrontato e delicato, duro e poetico ("Questa notte una lucciola illumina la mia finestra", c'è altro da aggiungere?). "Voleva fare la rockstar", Carmen Consoli. E ci è perfettamente riuscita. 
 
 

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