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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Il chirurgo Tutino li denuncia, archiviazione per i giornalisti: "Quell’articolo non era diffamatorio"

Il gip Marco Gaeta ha emesso un’ordinanza con la quale archivia le posizioni di Maurizio Zoppi e del direttore dell’allora Tweet Press Fabrizio Grasso, entrambi denunciati dall'ex primario di Villa Sofia

Quell’articolo non era diffamatorio e il giornalista si è limitato a riportare la nota con cui il Miur (Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) rispondeva ai dubbi dei vertici di Villa Sofia sul riconoscimento di una presunta specializzazione in chirurgia maxillo-facciale conseguita a New York. Il gip Marco Gaeta ha emesso un’ordinanza con la quale archivia le posizioni del giornalista palermitano Maurizio Zoppi e del direttore dell’allora Tweet Press Fabrizio Grasso denunciati per diffamazione dal chirurgo Matteo Tutino. "Non sussiste l’ipotesi di reato formulata - scrive il giudice - per insussistenza dell’elemento soggettivo ed è perciò inutile la celebrazione di un processo".

La vicenda ha inizio dopo il ricorso presentato da alcuni medici di Villa Sofia sull’esito delle procedure per la selezione del nuovo direttore del reparto di Chirurgia plastica e maxillo facciale (e per cui ci sono ancora due processo pendenti dinanzi al Tar e al giudice del lavoro). L’articolo firmato dal giornalista Zoppi il 12 giugno 2016 “riportava fedelmente” - scrive il giudice - la nota inviata dal ministero per l’Universita e la Ricerca rispetto alle informazioni richieste dall’ospedale (a selezione avvenuta) su come valutare un corso di formazione di 5 mesi svolto a New York presso l’Albert Einstein College of Medicine.

“Sebbene non sia stato ritenuto necessario il possesso delle specializzazioni in entrambe le discipline - si legge nell’ordinanza - il direttore dell’Uoc ha chiesto (in due occasioni, ndr) all’istituto Einstein di riscontrare la veridicità del titolo di studio certificato dal Tutino”. Tanto che l’assessorato regionale alla Salute, una decina di giorni dopo, ha chiesto al commissario pro tempore dell’azienda ospedaliera di informarli non appena avessero ricevuto il documento di verifica sul titolo specialistico. Come se non bastasse una settimana dopo il direttore amministrativo, nella qualità di rappresentante legale pro tempore dell’azienda ospedaliera, ha autonomamente chiesto al Miur di “chiarire se il titolo in questione ha un riconoscimento nell’ambito dell’ordinamento e se ne sia stata chiesta la convalida da Tutino". E di ciò ne ha informato la Regione.

Quanto risposto dal Ministero è stato in parte stato scritto nell’articolo pubblicato su Tweet Press e in un secondo articolo contro i quali il dottore Tutino ha presentato querela per diffamazione. Rispetto alla selezioni la Commissione ha effettivamente ritenuto sufficiente per l’ammissione dei candidati il possesso del titolo di specializzazione in una sola delle due discipline. "Tuttavia i successivi accertamenti disposti dall’ospedale e dall’assessorato sull’effettivo conseguimento e sull’eventuale riconoscimento del diploma di subspecializzazione - conclude il giudice - lasciavano ragionevolmente supporre, da parte del giornalista, che tale approfondimento fosse stato disposto per verificare ex post la sussistenza da parte del Tutino dei requisiti per partecipare al concorso, sull’erroneo presupposto della necessità di una ‘doppia’ specializzazione”.

Dunque il giornalista, difeso dall’avvocato Miriam Lo Bello e Nino Caleca, “ha evidentemente agito - precisa il gip - senza la volontà di diffamare Tutino (neppure sotto forma di accettazione del rischio), avendo ritenuto che la risposta del Ministero circa la non validità del diploma in chirurgia maxillo-facciale quale titolo di specializzazione spendibile in Italia certificasse la mancanza di un titolo necessario per rivestire l’incarico di dirigente nel reparto commesso che gli è stato affidato”. A una prima richiesta di archiviazione il gip si era opposto disponendo nuove indagini e audizione, mentre ha poi deciso di chiudere il fascicolo per evidente assenza dell’elemento soggettivo del reato.
 

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