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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Caso Shalabayeva, ribaltato il verdetto in appello: assolto l'ex questore Renato Cortese

La decisione a Perugia dopo oltre 10 ore di camera di consiglio. Il superpoliziotto in primo grado aveva avuto 5 anni ed era stato rimosso dall'incarico. Scagionati anche tutti gli altri imputati

"Un rapimento di Stato", "un crimine di eccezionale gravità, lesivo dei valori fondamentali che ispirano la Costituzione repubblicana e lo Stato di diritto". E' così che la terza sezione del tribunale di Perugia, presieduta da Giuseppe Narducci, definì senza mezzi termini il caso del trattenimento e dell'espulsione dall'Italia di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov, e della figlia Aula, che allora - a maggio del 2013 - aveva 6 anni. Una vicenda che aveva portato alla condanna a 5 anni (il doppio di quanto richiesto dalla stessa Procura) dell'ex questore di Palermo, Renato Cortese, per sequestro di persona e falso. Una sentenza che oggi la Corte d'Appello di Perugia, presieduta da Paolo Micheli, ha deciso invece di ribaltare completamente assolvendolo con formula piena. 

La decisione di primo grado, emessa il 14 ottobre del 2020, aveva portato alla rimozione dall'incarico del superpoliziotto, che nella sua carriera, prima di guidare la questura di Palermo, aveva catturato, tra gli altri, boss latitanti del calibro di Bernardo Provenzano, Enzo e Giovanni Brusca, Pietro Aglieri e Gaspare Spatuzza. "Ho il cuore spezzato - aveva detto Cortese lasciando la città - Palermo è la parte migliore di me". Tanti poliziotti sono giunti da diverse regioni per attendere la sentenza di oggi e sostenere moralmente i colleghi.

Assieme a Cortese, che al momento dell'espulsione di Shalabayeva era capo della squadra mobile di Roma, erano imputate altre 6 persone per le quali i giudici hanno allo stesso modo totalmente rivisto il verdetto, scagionandole tutte: si tratta dell'ex capo dell'ufficio immigrazione ed ex vertice della Polfer, Maurizio Improta, dei poliziotti Francesco Stampacchia, Luca Armeni (tutti erano stati condannati anche loro a 5 anni), Vincenzo Tramma (aveva avuto 4 anni) e Stefano Leoni (3 anni e mezzo), oltre al giudice di pace Stefania Lavore (già condannata a 2 anni e mezzo). Per questi ultimi due la Procura generale aveva chiesto l'assoluzione. Tutti gli imputati hanno sempre respinto le accuse, sostenendo di aver operato correttamente.

Il caso al centro del processo risale alla notte tra il 28 ed il 29 maggio del 2013, quando Alma Shalabayeva e la figlia furono prelevate dalla polizia nella loro abitazione di Casalpalocco. Gli agenti, in realtà, cercavano il marito, ma alla donna venne comunque contestata l'accusa di avere un passaporto falso. Due giorni dopo venne firmata l'espulsione e madre e figlia vennero rimpatriate in Kazakistan. Tornarono poi in Italia nell'aprile del 2014 e a Shalabayeva venne riconosciuto l'asilo politico.

Dopo l'episodio vi furono anche conseguenze politiche: a luglio del 2013, infatti, si dimise il capo di gabinetto del ministero dell'Interno, Giuseppe Procaccini, mentre non passò la mozione di sfiducia per l'allora capo del Viminale, Angelino Alfano. 

La difesa di Cortese, rappresentata dagli avvocati Franco Coppi ed Ester Molinaro, ha sempre sostenuto che per l'ex questore di Palermo "che Shalabayeva rimanesse in Italia, fosse trattenuta o esplusa, erano questioni che per lui si possono definire assolutamente irrilevanti. Il suo interesse era un altro: catturare una persona, Muktar Ablyazov, che oggi viene indicato come martire ma che, in quel momento, venne segnalato da tutti come un pericoloso delinquente, una persona che ha rapporti con terroristi, se non terrorista lui stesso, accusato di aver commesso reati patrimoniali di rilevante entità".

Un dato quest'ultimo che è emerso anche lo scorso agosto, quando i ministeri dell'Interno, della Giustizia e degli Esteri hanno risposto all'interrogazione parlamentare di 5 deputati del Movimento 5 Stelle: "Ablyazov non fu mai rifugiato politico, era ricercato per crimini commessi in diversi Paesi" e "non possedeva alcun permesso valido per stare in Italia, la sua presenza risultava da una nota pervenuta dall'Interpol di Astana con cui si comunicavano le ricerche in atto per i reati di truffa e appropriazione indebita di grosse somme", avevano spiegato i parlamentari in una nota.

"L'unico stato d'animo che intendo portare all'attenzione della Corte - ha detto prima del verdetto Cortese, rendendo dichiaraizoni spontanee - è quello suscitato in me dall'affermazione della sentenza con la quale avrei tradito il giuramento di fedeltà alla Costituzione italiana. Tutte le sentenze meritano rispetto e io rispetto anche la sentenza che, seppur ingiustamente, mi ha condannato. Però credo  che tutta la mia vita e tutta la mia carriera forse avrebbero a loro volta meritato un minimo di rispetto".

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