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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Tribunali-Castellammare / Foro Italico Umberto I

La guerra interna per la gestione del Kalhesa: "Non ci furono irregolarità", 3 assoluzioni

Il tribunale ha scagionato gli imputati che, secondo la denuncia di due ex soci, con una maggioranza fasulla li avrebbero esclusi: "Non avevano pagato le quote, non potevano votare". Cadono anche le accuse di diffamazione e falso in bilancio. Per la stessa vicenda altre tre persone sono state invece condannate con l'abbreviato

La lotta interna per la gestione di uno dei locali storici della città, il Kalhesa, non solo ne aveva provocato la chiusura nel 2016, ma era finita in tribunale. Adesso la quarta sezione del tribunale, presieduta da Bruno Fasciana, ha deciso di assolvere tre dei soci finiti a processo: l'avvocato Pietro Ortolani, Francesca Mandalà e Maria Caruso. Una sentenza che si pone però in contrasto con quella emessa per altri tre soci, che avevano scelto il rito abbreviato, condannati a 4 mesi (pena sospesa) e che, dopo la conferma in appello, è attualmente pendente in Cassazione.

I giudici hanno accolto le tesi degli avvocati Marcello Madonia ed Enrico Tignini, che assistono i tre imputati scagionati e hanno di conseguenza negato il diritto al risarcimento delle presunte vittime, ovvero altri due ex soci, Marcello Pellerito e Manfredi Giangrasso, oltre a due avvocati, Valeria Miceli e Sandro Geraci. I tre assolti erano stati rinviati a giudizio nella primavera del 2018 e durante la stessa udienza preliminare erano arrivate invece le condanne per gli altri tre imputati, Michele Como, Manuela Ida Gabriele e Domenico Marotta. L'esito diverso dei processi dipende dal fatto che in dibattimento sono potuti entrare altri documenti e diverse testimonianze, mentre con l'abbreviato - in cui il giudizio avviene "allo stato degli atti" d'indagine - questo non è stato possibile.

Dopo 5 anni riapre il Kalhesa

La diatriba interna alla Lav società cooperativa srl, che aveva in gestione il pub che si affaccia sul Foro Italico (e oggi aperto sotto un'altra gestione), era nata proprio dalle denunce di Pellerito, Giangrasso, Miceli e Geraci. I primi due avevano segnalato presunte irregolarità. In particolare, a loro dire, gli imputati con un colpo di mano avrebbero falsificato il libro soci e determinato una maggioranza fasulla durante l'assemblea del 13 aprile 2015, che aveva votato la loro esclusione "per asseriti inadempimenti e asserita indegnità". Questo avrebbe consentito agli imputati di acquisire così il pieno controllo della Lav. Durante il processo, però, gli avvocati avrebbero dimostrato che Pellerito e Giangrasso non avrebbero pagato le quote e che quindi effettivamente non avrebbero potuto essere inseriti nel libro soci.. In altri termini non sarebbero stati esclusi con un artificio, ma semplicemente non avrebbero avuto il diritto di votare. Una tesi che probabilmente ha convinto il tribunale, visto che per questo capo d'imputazione l'assoluzione è arrivata con la formula "perché il fatto non sussiste".

Soltanto Ortolani è poi accusato - in questo caso da Miceli e Geraci - di diffamazione perché avebbe pubblicato al Registro delle imprese della Camera di commercio la delibera assembleare del 13 aprile 2015 inserendo però anche una denuncia alla Procura, da lui stesso formulata, in cui sosteneva che i due avrebbero falsificato un verbale il 9 aprile precedente. In questo caso i giudici hanno assolto l'imputato con la formula "per non aver commesso il fatto". I difensori hanno sostenuto che non sarebbe stato Ortolani ad inserire e pubblicare quell'esposto, ma altri.

Infine, sempre il solo Ortolani, risponde di un'ipotesi di falso in bilancio, legata ai conti di un'altra società, la Piano B (sostanzialmente sovrapponibile alla Lav). Per la Procura, l'imputato, il 29 giugno del 2015, avrebbe indicato nel documento un valore delle immobilizzazioni materiali di oltre 62 mila euro, invece di oltre 15.500, per cui la società avrebbe riportato perdite di esercizio di 97 mila euro, determinando la necessità di aumentarne il capitale sociale, sottoscritta da tutti i soci, tranne che da Giangrasso e Pellerito. Anche in questo caso, però, i giudici hanno stabilito che "il fatto non sussiste", scagionando Ortolani. Questo aspetto della vicenda era finito anche davanti al tribunale civile, dove l'impugnativa presentata da Giangrasso e Pellerito è stata respinta dai giudici.

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