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Cronaca

Operai "schiavizzati" tra ricatti, minacce e sequestri: arrestato imprenditore palermitano

In manette Antonino Costa, titolare di un'impresa a Tarquinia (Viterbo). I dipendenti dell'azienda metalmeccanica, pagati meno di 4 euro l'ora, venivano costretti a firmare le lettere di licenziamento e a rinunciare al Tfr

Trattavano i lavoratori come “schiavi”, non concedendo loro ferie e malattie, non riconoscendo il trattamento di fine rapporti e la tredicesima. E in un caso hanno anche minacciato e sequestrato una lavoratrice per impedirle di denunciare la situazione alla guardia di finanza. Questo il quadro ricostruito dagli investigatori che ieri hanno arrestato a Tarquinia, nella provincia di Viterbo (Lazio), l’imprenditore palermitano Antonino Costa (63 anni), il figlio Pietro Emanuele (32), e le tarquiniesi  Paola Piselli (54) e Talita Volpini (34), accusati a vario titolo dei reati di estorsione, sequestro di persona, sfruttamento, minacce e truffa aggravata ai danni dell’Inps. Insieme avrebbero costituito una vera e propria "holding familiare" che ruotava attorno alla Lolly srl, all’impresa individuale Costa Metal di Pietro Emanuele Costa e all’impresa individuale di Antonino Costa. Nominato un amministratore giudiziario per regolarizzare i rapporti di lavoro e permettere all'impresa di proseguire con le attività.

All’alba di ieri i finanzieri del comando provinciale di Viterbo hanno effettuato diversi sequestri per equivalente e quindici perquisizioni nelle abitazioni degli indagati e tra le aziende a loro riconducibili. Le indagini hanno permesso di portare alla luce un quadro caratterizzato dal “disprezzo della dignità dei lavoratori, costretti a tollerare - si legge nella nota - un regime di vita insostenibile”. L’imprenditore palermitano, trasferitosi a Tarquinia negli anni ’70 e supportato dai suoi fedeli “collaboratori”, avrebbe sfruttato la necessità di lavorare dei suoi dipendenti per tirare il più possibile la cinghia e abbattere i costi, non concedendo ai metalmeccanici quanto invece gli sarebbe spettato per diritto, anche sotto il profilo economico.

Dopo gli appostamenti, gli interrogatori e l’analisi dei documenti contabili da parte dei finanzieri è “emerso che gli operai siano stati costretti ad accettare una retribuzione oraria di molto inferiore a quella prevista dal contratto collettivo di lavoro per i metalmeccanici (circa 3,90 euro a fronte di un importo previsto non inferiore agli 8,28 euro), nonché ad effettuare ore di straordinario pagate in modo irrisorio (circa 2 euro a fronte delle previste 12,42 euro). A volte i lavoratori erano obbligati a effettuare straordinari non retribuiti per riparare cattivi assemblaggi o per il mancato raggiungimento del numero minimo giornaliero di pezzi previsti”. Ma le vessazioni non erano finite qui.

Ai metalmeccanici, in principio, era stato chiesto di firmare un contratto part time che prevedeva 4 ore al giorno (a fronte delle 8/10 ore giornaliere). E per avere il coltello dalla parte del manico l’imprenditore si sarebbe fatto firmare le lettere di licenziamento in bianco, trovate dalle forze dell’ordine nello studio del consulente del lavoro Adriano Massella (39 anni), ora interdetto dall’esercizio dell’attività professionale e al quale è stato successivamente notificato il provvedimento cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Proprio lo spettro del licenziamento, durante i 9 anni presi in esame dalla Finanza, si era trasformato nel tempo in uno strumento di minaccia per quei lavoratori che reclamavano i propri diritti.

Durante quest’arco temporale sono emersi inoltre diversi tentativi per influenzare i testimoni. “Tra questi la gravissima condotta del sequestro di persona - continuano le fiamme gialle in una nota - che non hanno esitato a prelevare con l'inganno un’operaia e a condurla in una casa isolata fra le campagne tarquiniesi. Qui è stata pesantemente minacciata e intimidita per farla desistere dal fornire ulteriori informazioni utili per le indagini. In quell’occasione alla vittima è stato materiale probatorio di rilevante interesse investigativo che poi è stato rinvenuto e sequestrato nel corso delle perquisizioni disposte dai magistrati”.

azienda tarquinia arrestato imprenditore palermitano-2

La condotta dell’imprenditore palermitano Costa, inoltre, avrebbe dato vita a un’ingente truffa ai danni dell’Inps. “Ogni 2-3 anni i lavoratori venivano licenziati - scrive la guardia di finanza - e contestualmente assunti da un altro soggetto economico, comunque riconducibile o gestito dagli stessi arrestati, in maniera tale da privare del Tfr i dipendenti, costretti a firmare le relative liberatorie, e beneficiare illegalmente delle agevolazioni contributive previste per le nuove assunzioni e per la trasformazione dei contratti di lavoro previste dalle leggi di stabilità 2014 e 2015”.

Le violazioni accertate rientrano fra quelle previste dal nuovo reato di "caporalato" e sfruttamento del lavoro di cui all’articolo 603 bis del codice penale, così come riformulato dalla legge 199/2016, che prevede la pena della reclusione da 5 a 8 anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. “Con tale provvedimento il legislatore - commenta la Finanza - ha intenso contrastare ogni forma di sfruttamento del lavoro e dei lavoratori ampliando il novero dei soggetti attivi del reato non solo a chi svolga l'attività di illecita intermediazione (il caporale), ma anche a chi come il datore di lavoro si avvalga di manodopera sottoponendola a condizioni di sfruttamento ed approfittando del suo stato di bisogno”.

Al termine delle indagini, dirette dal procuratore della repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia Andrea Vardaro, dal sostituto Alessandra D’Amore ed eseguite dai finanzieri della compagnia di Tarquinia guidati dal capitano Antonio Petti, è stato quantificato il profitto illecito in 1.227.252,00 euro, di cui circa 140 mila euro corrispondenti ai mancati versamenti dei contributi previdenziali ed assistenziali nonché ai finti licenziamenti.

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