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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Santa Lucia, tradizione inossidabile: e spunta la classifica delle migliori arancine

Sapori, odori e dispute dialettiche. Nel capoluogo esiste l'arancina. A Catania (e Messina) l'arancino. Nel giorno consacrato alla palla di riso in pochissimi violano la tradizione. Ma quale bar a Palermo la fa meglio? C'è chi si è cimentato in una classifica...

Chiariamo subito: il dibattito ha origini lontane, affonda le radici nella notte dei tempi e ogni tanto scatena agguerrite diatribe dialettiche. A Palermo esiste l'arancina. A Catania (e Messina) l'arancino. Il punto è che la pietanza nasce nel capoluogo, sebbene poi si sia diffusa in tutta l'Isola. Sullo Stretto o all'ombra dell'Etna è presentata in forma ovaloide, a Enna, con cipolla e vino bianco, e nella provincia di Ragusa senza zafferano. Questione di punti di vista. E di lingua. I dizionari italiani preferiscono il genere femminile, perché etimologicamente stiamo parlando pur sempre di una palla di riso a forma dalle forme di una piccola arancia: "aranciu nicu", da cui deriva la crasi "arancinu". Ma la tradizione sceglie il genere maschile. Insomma, un dilemma impossibile da risolvere.

LA CLASSIFICA - I gusti sono gusti, è chiaro. Cronache di gusto, giornale online di enogastronomia, ci ha provato. Ha stilato la classifica delle dieci arancine più buone di Palermo. Una graduatoria basata su una degustazione che parte “dall’analisi visiva e procedendo a quella gusto-olfattiva”. Ecco la top ten dei degustatori di Cronache di gusto: al decimo posto c'è il Coast to Coast di viale Campania, Nona posizione per il famoso bar Golden di viale De Gasperi. All'ottavo c'è Scatassa di via Ammiraglio Rizzo. Poi il bar Recupero di via Malaspina. Sesta piazza per New Paradise di via Campolo, quinta per il Bristol di via Emerico Amari. Resta ai piedi del podio la Romanella di via Leopardi, col prezzo più basso (1 euro). Podio: al terzo posto Spinnato di via Principe di Belmonte, quindi Matranga di via Cesareo. Al primo posto c'è il bar Oscar di via Migliaccio.

LA TRADIZIONE - Gli arabi portarono il riso. Il resto lo hanno fatto i palermitani, che hanno trasformato il 13 dicembre nel giorno di gloria delle arancine. Solo un giorno all’anno. In fondo è l’unica festa che, insieme al Natale, resiste ancora alle tradizioni. Gusto antico, povero. Evento unico, momento “solenne”. Pasticcerie e bar in tilt, clienti "arrampicati" a ridosso dei banconi. Una tradizione inossidabile, che però col passare degli anni, si è portata appresso una scia di varianti. Non esiste palermitano che per Santa Lucia non mangi l'arancina. Classiche, alla carne o burro. O rivisitate: alla nutella, al pistacchio, con pancetta o besciamella. Col pollo o misto di verdure. Ma anche alle melanzane, ai funghi o alla salsiccia. Bombe di 400 grammi al pollo, piramidi ripiene di spinaci. E perfino al cioccolato e alla nutella. Al salmone o al tartufo nero. “Diavolerie” da 13 dicembre. 

LA LEGGENDA - C'è chi addirittura in questa giornata non tocca assolutamente cibo. Esagerati. La leggenda racconta che Santa Lucia, patrona di Siracusa, sia una delle sante più venerate a Palermo. A lei, protettrice degli occhi, si affidarono i palermitani per interrompere il digiuno in un periodo di forte carestia. Lei "rispose" facendo arrivare al porto un bastimento carico di grano. I palermitani per la gran fretta di nutrirsi, condirono i cereali, dopo averli bolliti solo con un po' di olio. Nacque così la cuccia, altra specialità gastronomica che oggi sarà su molte tavole. Sì, perché un'altra accoppiata vincente per Santa Lucia è il fritto con il dolce. Spopolano le panelle farcite con la crema. Giusto per non farsi mancare niente, nel giorno dell’abbondanza, i palermitani hanno fagocitato anche timballi di riso, supplì, gateau di patate, sformati di riso, crocchette di latte. E ovviamente la cuccìa. Per tutti i gusti: alla ricotta è la più gettonata. Ma vanno forte anche le sue varianti colorate. Al limone, all'arancia, al cioccolato.

 

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