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La vera storia di Santa Rosalia e di altri santi “palermitani” - parte seconda

Sulla vita di Rosalia non esiste nessuna fonte storica contemporanea alla Santa, ma solo testimonianze popolari, religiose e mistiche. La Fede è qualcosa di molto diverso rispetto alla Storia, che è una scienza con dei canoni da rispettare

E’ superfluo raccontarvi la storia della Santuzza, che conosciamo tutti e che trovate ovunque. Ma si tratta di una storia che non si basa su fonti storiche affidabili. Anzi sulla vita di Rosalia non esiste nessuna fonte storica contemporanea alla Santa, ma solo testimonianze popolari, religiose e mistiche. Badiamo bene, Rosalia de Sinibaldi è vissuta veramente nel XII secolo, ed è stata sicuramente una donna di grandi virtù cristiane, una santa, che scelse il romitaggio e la povertà. E il dopo che non mi convince molto…

LEGGI ANCHE: STORIA DI SANTA ROSALIA (PRIMA PARTE)

Ci sono alcuni punti della vita di Santa Rosalia su cui vorrei farvi riflettere. La Santuzza muore nel 1162 e dopo circa 20 anni il senato palermitano le dedica una piccola cappella sul Monte Pellegrino, quindi la giovane eremita era già nota ai suoi tempi (il monte Pellegrino era stato da sempre un luogo a forte vocazione sacrale e mistica, basta pensare agli altari punici ritrovati davanti l’attuale Santuario, o alla chiesetta dedicata alla Madonna costruita in epoca bizantina). Ancora il Senato, nel  1474, durante un’epidemia di peste propose di restaurare questa cappellina, ormai abbandonata ed in rovina. Il fatto che la chiesetta edificata nel 1180 risultasse diroccata nel 1474, dimostra solo che il culto della Santa si era sopito. Significa che per mezzo millennio la sua santità non viene fuori da nessuna parte, è silente, nessun miracolo anche durante la peste del 1474. C’è solo una speranza, da parte del Senato e del Popolo palermitano, di miracolo, che però, almeno fino al 1624 non arriva!

Altra cosa interessante è che la santa proveniva da una nobile famiglia normanna (a sua volta imparentata con Carlo Magno, ma inutile dirvi che è impossibile dimostrare un qualsiasi legame tra una famiglia normanna e i Carolingi), damigella d’onore della moglie di Re Guglielmo il Malo e soprattutto nipote, da parte di madre, di Re Ruggero (1095-1154). Il primo re di Sicilia, il più grande santo laico palermitano, colui che ha fatto diventare Palermo capitale del regno proiettandola, seppur brevemente, nel firmamento delle città più importanti dell’Europa cristiana. E potrebbe non essere un caso che questa santa salvatrice della città, sia stata riscoperta in un periodo, il Seicento appunto,  in cui Palermo era stata definitivamente declassata a sede del vice-re; come non è un caso che la santuzza sia vissuta in un periodo, quello Normanno appunto, in cui Palermo era la regina del Mediterraneo. Una sorta di riaffermazione di orgoglio nazionalista mai sopito, che trovò espressione attraverso la santa eremita.

Il panico scatenatosi con l’epidemia del 1624 creò una grande disperazione e ricerca di speranza e salvezza. Non può certamente passare inosservato che santa Rosalia scacciò, in un batter d’occhio, quelle che erano state, fino ad allora, le sante protettrici della città: Oliva, Agata, Ninfa e Cristina. Il “celeste quadrumvirato” dei Quattro Canti, che erano stati appena terminati (1620),  aveva perso per sempre il suo primato cittadino!!! Ma per essere state scalzate così facilmente, vuol dire che il culto delle Quattro non doveva essere più, o non era stato mai, tanto radicato e profondo. E questo a ulteriore dimostrazione che i palermitani, in fondo in fondo, qualche dubbio sulla esistenza o sulla palermitanità delle quattro lo nutrivano. Per inciso, anche Santa Cristina, con Palermo non c’entrava nulla: nata nel Lazio e martirizzata nel III secolo, ebbe l’unico contatto con Palermo dopo morta, nel 1160, quando le sue reliquie furono portate in città (se non lo aveste ancora fatto leggete la prima parte di questo articolo per conoscere la storia di Ninfa, Oliva e Agata e anche di San Mamiliano).

Durante l’epidemia di peste del Seicento, Palermo ebbe come capo dei fedeli, un vescovo di grande saggezza. Della antica casata genovese dei Doria, Giannettino era vescovo di Palermo dal 1608. Uomo equilibrato e fortemente legato alla folta colonia genovese presente a Palermo. Doria si trovò ad interim a fare il Vescovo di Palermo e il presidente del Viceregno di Sicilia, affrontando con grande energia l’epidemia, a causa della morte del vice re praticamente suicidatosi con la peste. Il regale idiota Emanuele Filiberto di Savoia, il primo di una lunga serie, avido di doni, fece attraccare il brigantino proveniente da Tunisi con gli appestati dentro, nonostante il parere contrario del Senato Palermitano. Oggi lo avrebbero incriminato per strage.

Il rinvenimento della ossa della Santuzza, a seguito delle visioni di alcuni popolani, destarono notevoli perplessità, e io ritengo anche qualche preoccupazione, in Doria. La prima analisi non diede i risultati sperati dal popolo. Il collegio di sei dottori nominati sembrò poco convinto: si trattava delle ossa di tre corpi, difficilmente distinguibili che comunque, concluse il dotto collegio, per le dimensioni sembravano appartenere ad uomini e non a donne. Dato questo primo esito negativo il cardinale si guardò bene dal portare in processione queste “non ancora reliquie”. Ma la peste infuriava ed il popolo aveva bisogno di sperare. Dopo un po’ di tempo, il direttore della casa Professa, Padre Giordano Cascini (autore della prima e molto interessante biografia di Santa Rosalia che trovate interamente pubblicata su google book) convinse il Cardinale a fare riesaminare le ossa da un team di soli padri Gesuiti, nessuno dei quali medico, ma tutti di incrollabile fede in Dio. I sei Padri, osservando bene l’ammasso di pietra e ossa, stabilirono che senz’altro uno dei teschi fosse di donna. Questo desumendolo da due incontrovertibili prove scientifiche: per le piccole dimensioni delle stesse, e poi  perché tali ossa erano bianche, quasi candide, e le donne “ per il loro temperamento freddo e umido, hanno più bianchezza e morbidezza nelle carni e quindi anche delle ossa”. Più scientifico di così…

I Santi padri, arguirono quindi che quei resti appartenevano a Rosalia Sinibaldi. Le ossa furono portate in processione e la fine dell’epidemia fece il resto. Circa duecento anni dopo, nel 1826, un eccentrico geologo britannico William Buckland trascorse parte della sua luna di miele a Palermo. Fu così che gli sposi visitarono il santuario di Monte Pellegrino. Si racconta che Buckland rimase subito molto sorpreso nel vedere le ossa della santa e siccome il geologo era anche un appassionato di osteologia, ai suoi occhi esperti tutto sembrò subito chiaro. Quelle non gli sembravano proprio ossa di una donna e scandalizzò i preti, che lo accompagnavano, quando esclamò: "Sono ossa di capra non di una donna”.

Tuttavia non appare chiaro in questa storia di Buckland come questi riuscì a vedere le ossa di Rosalia se queste erano chiuse nell’urna… Forse il britannico vide alcune di quelle ossa che, rinvenute nel 1624, non erano state poste  nella cassa della Cattedrale, ma messe da parte per essere donate alle personalità; oppure osservò altre ossa che erano rimaste su Montepellegrino, piuttosto che portate in cattedrale? Temo che non lo sapremo mai…! Nel 1983 un altro studioso, Roger Lewin, sulla prestigiosa rivista “Science” scrisse un articolo”Santa Rosalia era una capra”, anche se si trattava di un articolo sulle biodiversità, nulla di offensivo verso la nostra santa patrona. Ma l’idea che queste benedette ossa non appartenessero ad un essere umano si era molto diffusa, almeno nell’ambito scientifico anglo- sassone.

Una esplorazione delle ossa della Santuzza venne fatta nel 1833 ed un'altra ancora nel 1987, la più recente e l’ultima. Anche in questo caso si è proceduto ad un semplice controllo visivo dei resti - nessun esame chimico o di datazione con il Carbonio 14 o altro - con la presenza di un medico perito e diacono, Luigi Ciolino. L’esame portò alla conclusione che si trattava certamente di ossa di giovane donna (44 ne furono esaminate), e quindi erano quelle di Rosalia Sinibaldi. E questo bastò!

Vi ripeto che la Fede è qualcosa di molto diverso rispetto alla Storia che è una scienza con dei canoni da rispettare. Vi lascio, adesso, perché devo andare a fare “l’acchianata a pieri” e vi saluto dicendo, dal più profondo del mio cuore…Viva Palermo e Santa Rosalia!

Igor Gelarda storico cristiano (medioevoinfinito@yahoo.it)

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