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Un marito fedele morto di sifilide e un ostetrico che si diede la morte: due curiose lapidi a San Domenico 

San Domenico è il Pantheon dei palermitani illustri, dato che a partire dalla metà dell’Ottocento tanti tra i palermitani che “contavano” (molto spesso soprattutto picciuli) vennero seppelliti dentro questa chiesa, oppure qui dentro era possibile trovare le loro lapidi commemorative. La chiesa principale dei domenicani di Palermo, meglio ancora il suo chiostro, fu per lungo tempo luogo dove si svolgevano lezioni di medicina ed altre materie scientifiche almeno tra il 1500 e la prima parte del 1600. Perché è vero che a Palermo fino al 1805 non abbiamo avuto una vera e propria Università- privilegio "ingiustamente" detenuto da Catania, sin dalla fine del medioevo - ma già dal 1500 si tenevano in città lezioni “private” per formare medici e non solo. Tra le tante lapidi a San Domenico ve ne sono due, nella zona del transetto sinistro, quasi poste una di fronte all’altra, che non potevano non attirare la nostra attenzione. La prima ricorda Giovanni Salemi palermitano/ Nel professare il chirurgico magistero/ Ebbe all’Ateneo si felice la mente e la parola /Dilettissimo in vita/ Desiderio e dolore perenne in morte/ Che nel suo 44 anno, il 21 novembre 1849/ Inconscio di sua mano si diede.

Giovanni Salemi era nato a Palermo nel 1805. Dopo avere studiato in città ed essersi laureato in chirurgia trascorse sei anni a Parigi e Montpellier- quest’ultima con Salerno la più antica università di medicina ancora attiva ed erede diretta dell’ateneo salernitano- per perfezionarsi in ostetricia.  

Nel 1837 un grande luminare e cattedratico della medicina palermitana, Giovanni Gorgone, aveva avuto affidato l’insegnamento di Ostetricia dell’Ospedale grande e nuovo, ossia Palazzo Sclafani a due passi dalla Cattedrale, insegnamento che però prevalentemente gestito dal suo braccio destro Giovanni Salemi, dato che Gorgone era titolare anche della assai impegnativa cattedra di Anatomia e Chirurgia. Ma Il dottore Salemi, però, teneva questo insegnamento da supplente e “senza soldo” come si legge nei documenti dell’epoca, cioè a titolo gratuito, proprio per quella mancanza di fondi dell’Ateneo palermitano che sarebbe stata una costante nei nei suoi 200 e passa anni di storia! Nel 1845, dopo un  concorso un po rocambolesco era risultato vincitore della cattedra di ostetricia tale dottore Portal, che però non si era potuto insediare in quanto si era dato latitante, perché ricercato dalla polizia per avere pagato un sicario affinchè tagliasse la faccia, nel senso di sfregiare, un suo collega medico rivale. E da latitante, nelle campagne tra Agrigento e Palermo era nel frattempo morto! A questo punto la Deputazione della Pubblica Istruzione approvò, finalmente, la richiesta di Giovanni Salemi, che venne nominato direttore della clinica ostetrica e di ostetricia teoretica dell'Università di Palermo. Con i piccioli stavolta!

Giovanni Salemi, primo docente ordinario di ostetricia dell’Università di Palermo, era pure bravo, dato che si era specializzato a Parigi ed era stato autore di testi scientifici di una certa importanza.

Purtroppo però questa cattedra di ostetricia sembrava segnata dalla mala sorte e, come il suo predecessore, anche Salemi morì poco dopo, il appena quattro anni dopo la sua nomina a titolare di cattedra. Giovanissimo aveva 44 anni. 
Della sua morte prematura “parla” la lapide che fecero scolpire i suoi parenti, ma restano vaghi nel rivelare come morì realmente. Moglie, figlio e fratello con un passaggio tutt’altro che chiaro, dicono infatti che il promettente chirurgo la morte "inconscio di sua mano si diede" e la parola sua è sottolineata proprio nella lapide, per evidenziare che fu proprio lui a togliersi la vita. Ma in che modo? Cosa avranno voluto dire sua moglie e suo figlio, anche loro ormai non più nel mondo dei vivi da tantissimo tempo?

Qualcuno ipotizza che Salemi si suicidò, anche se io, pur non escludendolo, non lo darei per scontato. Prima di tutto perché il suo monumento funebre si trova all'interno di una chiesa, cosa che dovrebbe essere improbabile per un suicida (a meno che i parenti non avessero pagato particolarmente bene, potrebbe ipotizzare qualche maligno!). E poi perché i suoi parenti usano un preciso termine “inconscio”, termine utilizzato senza nessuna implicazione psicanalitica, visto che Freud sarebbe nato 7 anni dopo la morte del valente chirurgo palermitano. Quindi qui inconscio dovrebbe stare per inconsciamente, involontariamente. Io preferisco piuttosto immaginare che il dottore Salemi sia morto a seguito di qualche incidente durante l’esercizio della sua professione, magari un incidente con il bisturi o qualcosa del genere. Ma si tratta di ipotesi visto che comunque non ho trovato documenti che possano chiarire i nostri dubbi.

Dalla lapide si legge ancora che il dottore Salemi venne insignito della Legion d’onore da parte del Governo borbonico. Una onorificenza che, i parenti specificano ottenne per virtù domestiche e sociali. Tuttavia un qualsiasi riconoscimento da parte del governo borbonico sarebbe costato caro dopo il 1860. E anche Salemi, dopo l’Unità, venne totalmente dimenticato e Palermo non gli dedicò mai neanche una strada. 

Ma andiamo alla seconda lapide, quella di un marito fedelissimo: Francesco Barucco. Dalla lapide che gli venne dedicata dalla moglie affranta, sappiamo che morì il 17 agosto del 1854, ignari però dell’età della sua dipartita. Nella lapide si legge Lasciò vedova sposa, e dolente desiderio di sé agli amici, per dolcezza d’animo, santità di costumi, operoso amore del bene, buon marito, buon cittadino, buon cristiano. Morì come religiosamente visse nel bacio del Signore. Quasi il quadro di un santo che poi si conclude con lo struggente appello della moglie : oh sposo mio, oh mio unico bene perduto/ in che lungo e squallido esilio lasci la tua povera Gaetana/ finché io ti riabbia dove non si muore.

Una lapide di una moglie affranta, fin qui sembra tutto normale, se non fosse che nella parte iniziale dell’epigrafe c’è specificato che la causa della morte del Barucco fu “l’indica Lue”, cioè era morto di sifilide. La sifilide è una malattia causata da un batterio, il Treponema Pallidum, a trasmissione sessuale, che in Europa era sconosciuta fino alla fine del 1400. A quanto pare fu un “regalo” degli americani precolombiani agli uomini di Cristoforo Colombo che lo portarono in Europa. La sifilide, che non è affatto scomparsa visto che mediamente ogni anno colpisce ancora circa 6 milioni di persone, si trasmette attraverso qualsiasi tipo di rapporto sessuale. Nel 1800 la sifilide era una malattia fortemente diffusa, anche in Europa e con le campagne napoleoniche la sua diffusione aveva avuto anche una nuova accelerazione, con tutti sti soldati che andavano in giro senza usare i profilattici!!! E proprio in Sicilia doveva essere particolarmente diffusa se siamo stati la seconda regione d’Italia, con una ordinanza del 1823, a prevedere l’iscrizione in un registro, la visita sanitaria obbligatoria e la reclusione ospedaliera delle prostitute infette da sifilide. I bordelli sono stati sempre un vanto della nostra isola, in tutti i sensi, in Sicilia erano numerosissimi. In un saggio statistico del 1890 sulla prostituzione in Italia Sicilia, Lazio e Campania erano le regioni con il maggior numero di prostitute!  Cchiu pilu pi tutti, ma anche più sifilide per tutti! Figuratevi che uno degli scongiuri tipici dei siciliani contro la sifilide, questo lo riporta Giuseppe Pitrè, è “No nni vogghiu baccalaru cu ‘i Janghi”, cioè sifilitico, dove i Janghi sono i denti!!!!

La sifilide si prendeva nei letti, ben lo sapeva Shakespeare che nell’Enrico IV scrive “C'è un'incapacità nell'uomo, innata, a separar l'età dall'avarizia, più che non a tenere separata la carne giovane dalla lussuria; ma l'una è castigata dalla gotta, l'altra dalla sifilide”. All’avaro tocca la gotta, al lussurioso la sifilide, dice il sommo poeta inglese!

Insomma, a volere pensare male, il quasi castissimo sposo, che così come racconta la moglie visse  in santità di costumi, buon marito, buon cittadino, buon cristiano e morì come religiosamente visse nel bacio del Signore morì per qualche rapporto sessuale di troppo. Anche qui la certezza non l’abbiamo, ma i dati in nostro possesso ci fanno ipotizzare questo. Santo si, ma fino ad un certo punto, anche se la sposa sembra avergli perdonato tutto, almeno dopo morto!

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