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Sabato, 20 Aprile 2024

Morire a 8 anni fucilata dai soldati del Re d’Italia: una triste storia siciliana

Nel 1861, dopo la proclamazione di una legge che istituiva la leva militare obbligatoria per i nati in Sicilia nel 1840, scoppio una rivolta. La piccola Angela Romano fu uccisa con l'accusa di brigantaggio, ma forse la sua unica colpa fu quella di piangere dopo aver assistito a delle esecuzioni

Nel registro dei defunti della Matrice di Castellammare si legge: "Romano Angela filia Petri et Joanna Pollina consortis. Etatis sua an.9 circ. Hdie hor.15 circ in C.S.M.E Animam Deo redditit absque sacramentis in villa sic dicta della Falconera quia interfecta fuit a militibus regis Italiae". Sintetizzando c’è scritto che alle ore 15 circa, fu uccisa nella contrada di Falconera, dai soldati del Re d’Italia, Angela Romano di quasi 9 anni, che ha reso l’anima a Dio senza avere potuto avere i Sacramenti.

Il 30 Giugno del 1861, pochi mesi dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del Regno, la legge che istituiva la leva militare obbligatoria per i nati in Sicilia nel 1840. E questo fu il primo orrendo regalo del nuovo regno appena nato, la leva sarebbe stata poi obbligatoria per tutti a partire dal 1865. In Sicilia, anche sotto i Borbone, nessuno era stato mai costretto a fare il soldato. Per i siciliani si trattava di una novità tremenda: stare per sette lunghissimi anni lontani da casa e dalla possibilità, per i figli maschi, di aiutare le proprie famiglie con il lavoro nei campi. E per le famiglie, a loro volta, che avevano tanti figli proprio per mandarli nei campi a lavorare, veniva a mancare il sostentamento. In Sicilia tantissimi giovani fuggirono nei boschi o sulle montagne, mentre i soldati piemontesi li cercavano per arruolarli a forza o fucilarli come renitenti alla leva.

A causa di questa legge, ma in generale per il malcontento che era montato all’indomani dell’Unità, tra l’1 e il 2 gennaio 1862 scoppiò a Castellammare una grossa rivolta: alcune centinaia di giovani, forse 400 o 500,  armati di qualsiasi cosa avessero trovato per le strade, entrarono in città diedero l’assalto alla sede del commissario di leva, appunto che si occupava dell’arruolamento, Bartolomeo Asaro e del comandante della Guardia Nazionale Francesco Borruso. Ci fu uno contro violento per due giorni, anche se i rivoltosi erano di gran lunga di più dei pochi militi e carabinieri stanziati a Castellammare. Si contarono morti da entrambe le parti, tra i quali lo stesso Borruso, sua moglie e alcuni soldati. Tra gli assalitori c’erano renitenti alla leva, ma anche delinquenti comuni, insieme ad anarchici e Repubblicani e insoddisfatti sociali. La risposta del Governo piemontese fu immediata e decisa, ma soprattutto feroce: da Palermo e Trapani arrivarono i battaglioni dei Bersaglieri, appoggiati da navi da guerra appositamente approdate in città: le pirocannoniere Ardita, proveniente da Trapani, e il vapore Monzambano, partito da Palermo con i soldati.

La nave Monzambano era stata costruita come piroscafo passeggeri di lusso dagli inglesi per il Regno delle Due Sicilie, ed era stata chiamata Mongibello. Dopo l’unità, cambiato forzatamente padrone, fu convertita in nave militare prendendo il nome di un piccolissimo paesino della provincia di Mantova, Monzambano appunto, nei pressi del quale si era svolta una battaglia, nel 1848, che aveva visto i Savoia vincitori sugli austriaci! A guidare i bersaglieri mandati a Castellammare per rimettere ordine era il generale Pietro Quintini, romano classe 1814, famoso per essere tra i più crudeli e spietati generali piemontesi, e autore di altre stragi nei mesi successivi (tra le quali quella di Scurcola Marsicana). Dopo una breve resistenza, alcuni insorti furono arrestati, altri uccisi, altri ancora furono costretti a fuggire e tornarono a nascondersi nei boschi. Mentre centinaia di popolani, fuggiti per paura degli scontri, trovavano rifugio in campagna.

I soldati savoiardi battevano la campagna alla ricerca di criminali, di ribelli, di colpevoli della rivolta, o loro fiancheggiatori. Avevano bisogno di persone da punire in maniera esemplare per dimostrare cosa rischiava chi si metteva contro il piccolo, ma ferocissimo Re di Torino. Durante una perlustrazione dei bersaglieri in contrada Falconiera, a pochi chilometri da Scopello, fu trovato un gruppo di cittadini che si era rifugiato in un casolare, tre donne e tre uomini, tra i quali un sacerdote. Dopo un sommario interrogatorio i sei vennero considerati fiancheggiatori dei disertori e fucilati. A quanto pare il prete, tale Benedetto Palermo, era notoriamente filo borbonico, ed era stato già segnalato alle autorità come persona pericolosa. E così, forse per transitività, colpevoli anche coloro che si trovavano con lui! Due tra i fucilati - un uomo e una donna - avevano 70 anni.

Angela Romano (2)-2Mentre, tra le persone uccise quel giorno vi fu anche Angelina Romano, che secondo quanto riporta l’Archivio storico Militare, fu “fucilata con l’accusa di Brigantaggio”! Forse era parente di qualcuno dei condannati, o semplicemente in loro compagnia. O forse aveva semplicemente assistito agli spari ed aveva cominciato a piangere. E per fare tacere il suo pianto venne messa al muro e giustiziata accanto agli altri. Cosa abbia portato a considerare una bambina di 8 anni fiancheggiatrice dei briganti non potremo mai saperlo. Solo il Diavolo lo sa. La cosa strana è che nel libro dei defunti cui ho fatto cenno sopra, il nome di Angelina non viene numerato, risulta inserita tra il numero 12 e il numero 13 della pagina 80, del 3 gennaio. Tra altre due donne uccise quei giorni dai bersaglieri. La trascrizione è certamente successiva, fatta da due preti della Matrice di Castellammare, i padri Galante e Carollo, che però evidentemente collegavano la morte della bambina con quella delle altre due donne. Perché la morte di questa bambina fu trascritta in un secondo momento? O perché della sua morte si seppe dopo o più verosimilmente perché fu dato ordine di non lasciare traccia di questa orribile nefandezza.

Della fucilazione di queste sei persone riporta notizia il Giornale Officiale di Sicilia, che si era messo subito al servizio dei Savoia: “Sei dei colpevoli, presi colle armi alle mani in atto di far fuoco contro le truppe, furono trucidati; tre di costoro non vollero palesare il loro nome, uno fu un triste prete imbrancatosi fra quella sanguinosa ribaldaglia”. Nessun riferimento alla fucilazione di queste persone, sia pure indiretto, si trova invece nei volumi che raccolsero i verbali del dibattimento alla Corte d’Assise di Trapani. Purtroppo i ben cinquantasei volumi del processo, celebratosi in seguito alla conclusione della rivolta, davanti alla Corte d’Assise di Trapani, andarono perduti durante i bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, e solo poche carte relative alle sentenze, si conservano ancora.

Però Angelina è morta, uccisa da soldati di cui non comprendeva neanche la lingua e per una ragione che neanche sapeva che esistesse: il brigantaggio. Martire dell’Unità, così come hanno scritto a Longobardi, in provincia di Cosenza dove le è stata dedicata una strada nel 2013 (a Gaeta già nel 2010) E nel 2013, finalmente anche a Castellammare, sua città natale, è stata dedicata una strada a questo piccolo angelo. Un'ultima curiosità: a Lamezia Terme, proprio quest’anno la via Enrico Cialdini, ha cambiato denominazione in via Angelina Romano, con una forte connotazione simbolica. Il generale modenese Cialdini si macchiò di numerosi stragi (ad esempio Pontelandolfo e Casalduni con un migliaio di civili innocenti massacrati) e fu un criminale di guerra sotto tutti i punti di vista. Al posto di un carnefice, hanno messo una vittima.

Igor Gelarda
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