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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Redazione

Il ritorno di Elisa e quell'abbraccio che mi ha fatto riscoprire il bello del mio lavoro

L'aereo proveniente da Cracovia è atterrato, si legge sul monitor dell'aeroporto di Palermo. Qualche minuto dopo le porte che separano l'area bagagli dagli arrivi si aprono. Tra i passeggeri ci sono anche Elena Pastux e le sue figlie, escono accompagnate dal sindaco Orlando. Ad aspettarle ci sono tanti giornalisti. Tra loro ci sono anche io che, nel vederle, tiro un sospiro di sollievo. L'emozione è forte, si respira nell'aria. Il lieto fine è merce rara nel nostro lavoro. I morti, si sa, fanno più notizia. Questa volta però, per fortuna, è la lotta alla sopravvivenza a finire in apertura. La mamma, la sua bambina disabile di 8 anni e la sorella maggiore, di 23 anni sono al sicuro. Sono uscite vive dai bombardamenti che stanno devastando l'Ucraina e mietendo sempre più vittime. Nonostante la figlia minore sia in carrozzina, nonostante abbia una malattia all'intestino che la costringe ad avere un'alimentazione speciale, nonostante le lunghe file al confine e le difficoltà a comunicare con l'ambasciata italiana, Elena è riusciuta a scappare e portare in salvo le due vite che ha messo al mondo. L'amore l'ha spinta a rientrare nel suo Paese, nonostante la guerra fosse già nell'aria, per raggiungere la primogenita e portarla in Sicilia. Una missione quasi impossibile che però ha portato a termine. Non lo ha fatto da sola. In tanti l'hanno aiutata, alcuni erano lì fisicamente con lei, altri qui, in Italia. E' stata lei stessa a ricordarlo ieri. 

"Mille mille grazie a te. Tu Angelo di Elisa. Non so come posso ringraziare", questo il messaggio che ha scritto a me. Parole che non dimenticherò. Come l'abbraccio che mi ha regalato. Inaspettato, sincero. Un gesto che vale più di mille parole, che mi ha fatto sentire parte dell'articolatissima macchina che nei giorni scorsi si è mossa per evitare il peggio. Io ho fatto solo il mio lavoro: ho raccontato il viaggio di queste tre donne. Per una volta però mi sono sentita dentro la notizia. A catapultarmi prima a Kiev, poi al confine con la Polonia e infine oltre la frontiera sono stati i messaggi che Elena ha scelto di mandarmi su Whatsapp. Aveva il mio numero perché mesi fa aveva chiesto aiuto alla redazione di PalermoToday. Nella scuola Perez, che frequenta la piccola Elisa, l'ascensore era (ed è ancora) guasto. Sperava che un articolo avrebbe potuto accelerare la riparazione del guasto. Ci abbiamo provato. Il pezzo l'ho scritto io. Non è servito allo scopo, ma Elena aveva salvato il mio contatto telefonico e ha scelto di usarlo di nuovo. Giovedì scorso, alle 10 del mattino, mi ha scritto il primo messaggio: "Ciao. Io con bambina in Ucraina a Kiev. Nostro aerio cancellato, aeroporto bombardato. Ho chiamato l'ambasciata italiana in Ucraina ma loro mi hanno detto che non possono aiutarmi e di restare a casa. Valigie pronte. Adesso vediamo come possiamo arrivare alla frontiera di Ungheria. Noi dovevamo partire il 3 marzo, ma stanotte è cominciata la guerra".

Abbraccio Carola Elena - Foto di Raffaella Daino-2

Finisco di leggere e comincio subito a chiederle di più, nel frattempo scrivo, è l'unico modo che mi viene in mente per aiutarla. Posso raccontare la sua storia e vedere se qualcosa (stavolta) si muove, altro non so fare. Lei mi spiega perché è lì, quello che sente e vede. Mi dice che nei supermercati comincia a scarseggiare l'acqua, che ai distributori ci sono file chilometriche per fare benzina. E mi confessa di avere paura. Nasce così il primo articolo, a doppia firma. Un collega ha un'altra storia da raccontare da Kiev. Questa volta il protagonista è un italiano che ha deciso di restare in città, nonostante il conflitto in corso. Li mettiamo in contatto. Lui ha una macchina, magari può aiutare Elena e la sua famiglia a scappare. 

Ci risentiamo il giorno dopo. "Macchina trovati. Partiti adesso. Speriamo arriviamo. Perché fanno bombardare Kiev". Io incrocio le dita per loro. Poi domenica arriva un nuovo messaggio, con una nuova richiesta d'aiuto. "Ho quasi finito mangiare per bambina. Mi serve aiuto per passare la frontiera, ci sono tre giorni di fila da fare. Ambasciata italiana mi ha abbondonata in Kiev. Poi aiutarmi?". Ci provo. Scrivo, raccolgo l'appello della mamma e lo giro al sindaco Orlando che si mobilita immediatamente contattando la Farnesina. Elena però è più veloce, e trova, ancora una volta, il modo di aggirare l'ostacolo: lunedì mi fa sapere di avere raggiunto la Polonia da dove prenderà un aereo per rientrare. L'incubo è finito. E quell'abbraccio mi ha fatto riscoprire il bello del mio lavoro.

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