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Venerdì, 29 Marzo 2024

Alessandro Bisconti

Giornalista Palermo

La prima strage mafiosa delle donne: 32 anni fa il massacro delle signore del clan Marino Mannoia

E' il 23 novembre 1989: un commando armato fa fuoco e uccide Leonarda Costantino, 62 anni, Vincenza Marino Mannoia (24) e Lucia Costantino (50) rispettivamente madre, sorella e zia del Chimico di Cosa nostra

La mafia non tocca le donne. Uno degli stereotipi più diffusi si sgretola in un altro 23 novembre. E' il 1989, 32 anni fa esatti. Il codice d'onore diventa ufficialmente un falso mito della criminalità: per la prima volta nella storia delle guerre di mafia, i killer di Cosa nostra fanno strage di donne. Le signore del clan Marino Mannoia finiscono sotto a una valanga fuoco scaricata da sicari senza pietà. L'agguato si materializza pochi minuti prima delle 21,30 a Bagheria, nel centro del paese, in via De Spuches, davanti all'abitazione dei Marino Mannoia. I killer imbracciano fucili a canne mozze e pistole calibro 38. 

La strage si consuma in pochi secondi a circa un chilometro dallo svincolo autostradale per Palermo. Le tre donne - probabilmente attirate lì con un tranello - si trovano dentro una Citroen AX e hanno appena posteggiato. Sono Leonarda Costantino, 62 anni, Vincenza Marino Mannoia (24) e Lucia Costantino (50) rispettivamente madre, sorella e zia del mafioso Francesco Marino Mannoia, chiamato Mozzarella e definito "il chimico" di Cosa nostra perché esperto soprattutto nella trasformazione della morfina base in eroina. 

Il commando - guidato da Giuseppe Lucchese - spara a distanza ravvicinata. Vincenza - che è al volante - ha giusto il tempo di posteggiare, spegnere i fari dell’auto. E' lei la prima a morire. Poi arriva la scarica di lupara che devasta il lunotto termico e uccide sul colpo Lucia Costantino, che si trova sul sedile posteriore della Citroen. E' un massacro. Le donne non hanno scampo. Il sangue scorre a Bagheria ma colpisce il cuore di uno dei quartieri simbolo di Palermo. Due delle tre vittime vivevano a Palermo, a Romagnolo. Sono tutte parenti di Agostino e Francesco Mannoia. Il primo è scomparso da pochi mesi, una lupara bianca per stroncare la carriera di un killer che, a 23 anni, era già considerato un emergente dei clan. L'altro è stato condannato a 16 anni nel maxiprocesso palermitano. Entrambi sono ritenuti dagli investigatori molto vicini alle famiglie vincenti ed in particolare ai corleonesi di Totò Riina. 

"Una vendetta trasversale o qualcosa di più inquietante", si pensa in prima battuta. Sul posto arriva il capo del pool antimafia Giovanni Falcone. Nelle ore successive prende peso l'ipotesi della vendetta perché da pochi giorni filtra un'indiscrezione: Francesco Marino Mannoia ha deciso di collaborare. E' il primo dei corleonesi che parla con la magistratura. Avrebbe svelato ai giudici di aver bidonato Riina, sottraendogli otto chili di eroina. Ma Mozzarella non era un semplice pentito, era un vero e proprio infiltrato tra gli imputati del maxiprocesso. La scelta di collaborare - dopo un pericoloso "soggiorno" all'Ucciardone - matura dopo la scomparsa del fratello Agostino quando il chimico capisce che i corleonesi avrebbero ucciso pure lui. 

L'agguato delle tre donne non ha precedenti nella storia di Cosa nostra. E rivela che la ferocia della mafia non conosce codici d'onore. E che la mafia uccide anche le donne. Il giorno dopo L'Ora urla nel titolo a tutta pagina: "Orrore, belve feroci". Sono passati 32 anni esatti. Dopodomani sarà la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Una ricorrenza istituita dalle Nazioni unite nel 1999. Dieci anni dopo il massacro di Bagheria, che segna il tramonto definitivo di un'antica legge non scritta e violata a causa di un tradimento.

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