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Alessandro Bisconti

Giornalista Palermo

Quinto turno di Coppa Italia, c'è Parmonval-Juventus: partita immaginaria in una notte di fine anno

Abbiamo provato a favoleggiare. E se il nostro calcio avesse deciso di ricalcare il modello inglese? Con un sistema apparentemente folle e rivoluzionario, tanta fortuna e sforzi epici, anche le minuscole realtà del nostro pallone potrebbero regalarsi sfide da sogno

Immaginatevi via Palinuro in un giorno invernale senza pioggia e fango. C'è il pullman della Juventus posteggiato accanto al campo Lo Monaco. Max Allegri si è goduto il sole di dicembre dall'attico di un famoso hotel di Mondello. Dalla sala video dell'albergo ha preparato nei minimi dettagli la partita. Alle 21 c'è la Coppa Italia: il quinto turno della più intrigante manifestazione di calcio italiano mette di fronte la Juventus alla Parmonval, acronimo di Partanna, Mondello e Valdesi.

I palermitani giocano in Eccellenza e si sono guadagnati la sfida alla Vecchia Signora dopo avere collezionato quattro imprese attraverso un sentiero colmo di partite proibitive, disputate sempre a Mondello. Nel primo turno, in un'afosa notte di fine luglio, si sono sbarazzati del Catanzaro ai rigori. Quindi proprio il giorno di Ferragosto il rocambolesco 3-2 all'Ancona. Nel terzo turno, a metà settembre, a cadere è stato il Cesena dopo una rimonta mozzafiato (da 0-1 a 1-2 negli ultimi 5 minuti). Poi a ottobre lo sgambetto al Perugia in una sfida decisa ai supplementari da bomber Carioto con un tiro da fuori all'incrocio. Una vittoria che spalanca alla Parmonval le porte del paradiso. Questa è la partita del secolo. In palio non c'è solo il passaggio agli ottavi di Coppa. C'è la sublimazione di un movimento che rappresenta tre borgate palermitane e porta la seconda realtà calcistica cittadina a regalarsi la notte più bella. 

Merito della Coppa Italia all'inglese, che seguendo il modello d'Oltremanica, coinvolge tutte le squadre dalla A all'Eccellenza e consente alle più piccole di giocarsi tra le mura amiche il passaggio del turno e far tremare le squadre più blasonate. Fino ad attirarle nella propria minuscola tana. Nel campo intitolato a Franco Lo Monaco, pioniere del calcio di borgata, adesso c'è la Juventus. La struttura è piccola. Impossibile accogliere le 40 mila richieste. Stasera - grazie a delle tribune amovibili già sperimentate in Parmonval-Perugia - saranno in 5 mila ad assistere al Grande Evento. Edy Tamajo, numero uno della società biancazzurra, infatti rifiuta il "trasloco" al Barbera. Vuole giocare a Mondello a tutti i costi. La passione da queste parti è straripante. C'è perfino chi si arrampica sugli alberi e chi si accampa dal mattino per vedere da vicino i propri idoli. Allegri annuncia un turn over, massiccio ma non troppo, perché il rischio di fare brutte figure è dietro l'angolo. Giocano Perin, Alex Sandro, Locatelli e Rabiot. Forse anche Chiellini e Dybala, che hanno bisogno di mettere minuti nelle gambe. No, per la Juventus, non sarà una passeggiata.

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Ora fermiamoci qua - perché, beninteso, non esisterà mai un Parmonval-Juventus - e perché forse Bonucci e compagni col campionato fermo magari sono alle Maldive. E recuperiamo quello che scrive sulla sua pagina Facebook il Centro sportivo Lebowski, società dilettantistica di Firenze (che ha convinto perfino Borja Valero a rinviare la pensione) fondata e sostenuta dai tifosi con attenzione al sociale e a un'idea di calcio sostenibile e popolare. Che mette il pubblico al primo posto. Perché, come dice uno slogan recente, in fondo il calcio è di chi lo ama.

Una partita tra una minuscola squadra di periferia e una grande del nostro pallone "sarebbe stata possibile se il sistema-calcio del nostro Paese avesse applicato una formula per la Coppa Italia che alle nostre latitudini appare folle e rivoluzionaria, ma in realtà in molti altri paesi è utilizzata normalmente e piace molto al pubblico - spiegano i geniali ragazzi del Lebowski -. Poi, sarebbe bastata un po’ di fortuna nel sorteggio". Aggiungiamo: tanto coraggio, sforzo epico, il bacio del destino. E si sarebbe scritta una pagina di storia. Come questo immaginario incontro tra Parmonval e Juventus. Invece, come sappiamo, la riforma della Coppa è stata quanto di più reazionario si potesse immaginare: invece di aprire ai dilettanti, si è chiuso anche alla serie C. 

Giocano solo le squadre di A e B, per garantire uno spettacolo di livello. "In effetti - aggiungono sarcasticamente i simpatici fiorentini - il brivido di vedere le riserve del Genoa sfidarsi con le riserve della Salernitana in pieno dicembre davanti a 522 spettatori paganti, deve avere un qualche fascino che solo noi non riusciamo a cogliere, e che sarebbe stato irrimediabilmente rovinato dalla presenza nel tabellone dei sedicesimi di finale di qualche squadra di C o di D. Ma non vogliamo farne una questione tecnica: è chiaro che serve anche ruotare i giocatori e vedere all’opera tutta la rosa, e una Coppa può essere l’occasione giusta per farlo. Anche nella 'nostra' formula giocherebbero molte riserve, almeno nelle squadre maggiori, e va bene così. La questione è politica. O quantomeno, di 'politica dello sviluppo sportivo'. La riforma attuata è una sorta di brutta copia della Superlega. I grandi devono giocare solo tra di loro e spartire tra loro i diritti tv, guai se vanno a calcare un campo di provincia, sia mai che il quinto terzino della rosa debba rischiare di infortunarsi. E così, una competizione che potenzialmente potrebbe riaccendere la passione di interi territori diventa un percorso blindato in cui la più forte gioca in casa, e non importa se lo stadio è deserto, tanto gli ascolti in tv delle semifinali e della finale saranno buoni, e quindi il tornaconto è salvo. E tutti gli altri muti". Eppure, le decine di piazze della provincia italiana di serie C e D, che in una sfida di cartello potrebbero riempire stadi da 30 mila posti, facendo innamorare dei propri colori le giovani generazioni della città, e le centinaia di società dilettantistiche che si sbattono per sopravvivere, potrebbero avere una boccata d’ossigeno decisiva.

Non per forza arrivando a sfidare la Juventus o l'Inter, ma anche accontentandosi di qualcosa meno. Sognando di fare come il Calais, squadra di sconosciuti formata da ragazzi che giocavano a calcio per hobby, mentre nella vita di tutti i giorni svolgevano altri mestieri (operai, impiegati, ingegneri, pescatori), capace di arrivare a giocarsi la finale di Coppa di Francia nel 2000. Da quella favola sono passati 21 anni. Il nostro calcio ha provato a riformare la nostra coppa ma senza mai crederci fino in fondo. Rimane il miraggio. Il sogno che una grande possa andare a finire su un campo di terra battuta in un giorno di fine dicembre posteggiando il pullman ai lati di una strada che nei giorni di pioggia affonda nel fango.

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