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Giovedì, 28 Marzo 2024
Zisa

Aria di Venezia ai Cantieri alla Zisa, le trame dei cinque film indipendenti

Al cinema De Seta tre giorni di incontri con i registi e proiezioni. Cinque le pellicole selezionate dalle Giornate degli Autori, sezione collaterale della Mostra del Cinema di Venezia. Ingresso gratuito

Dal 23 al 25 ottobre al De Seta di Palermo si respira aria di cinema internazionale con le Giornate degli Autori, nate nel 2004 come rassegna autonoma all'interno della Mostra del Cinema di Venezia, sul modello della prestigiosa Quinzaine des Réalisateurs di Cannes, e promossa dalle associazioni dei registi e degli autori cinematografici italiani Anac e 100autori. A Palermo, in anteprima saranno proiettati cinque film nel segno del cinema di qualità e del rapporto col cinema del reale. L’iniziativa arriva nel capoluogo siciliano grazie alla collaborazione tra il Centro Sperimentale di Cinematografia sede Sicilia, le Giornate degli Autori e la Sicilia Film Commission, nell’ambito del progetto Sensi Contemporanei.

I film, selezionati da Giorgio Gosetti, delegato generale delle Giornate degli Autori, da Costanza Quatriglio, direttrice artistica e coordinatrice didattica della sede Sicilia del Centro Sperimentale di Cinematografia Sicilia, e da Alessandro Rais, Direttore della Sicilia Film Commission, sono caratterizzati dal particolare taglio espressivo delle Giornate degli Autori, che efficacemente dialogano con i percorsi didattici del corso di cinema documentario di Palermo, con un occhio di riguardo per l’innovazione, l’originalità espressiva e l’indipendenza produttiva. Il programma della rassegna è stato presentato da Costanza Quatriglio e Alessandro Rais sabato 19 ottobre nella sede del CreziPlus ai Cantieri Culturali alla Zisa, ospiti della giornata conclusiva dell'Efebo d'Oro.

Si parte il 23 ottobre alle 20:30 con la proiezione di Sufficiente, il cortometraggio di Maddalena Stornaiuolo e Antonio Ruocco, tratto dal libro Fiori d’agave di Rosario Esposito La Rossa, ideatore della Scugnizzeria di Scampia, “piazza di spaccio dei libri” e scuola di teatro. Si prosegue con La Llorona, personale rilettura dell’omonimo mito da parte del regista guatemalteco Jayro Bustamante, vincitore a Venezia del GdA Director's Award della XVI edizione delle Giornate degli Autori. Mentre il 24 ottobre (ore 19) Tomaso Pessina, presenterà il suo documentario: Emilio Vedova. Dalla parte del naufragio, che racconta la figura del grande pittore veneziano di cui quest'anno si celebra il centenario. Sempre il 24 ottobre (ore 21) è la volta di Barn, il film del regista norvegese Dag Johan Haugerud con un dramma familiare e sociale. Il 25 ottobre (ore 18,30) il film polacco, Corpus Christi, storia di una trasformazione spirituale, vincitore del Label Europa Cinemas della XVI edizione delle Giornate degli Autori e del Premio per l’Inclusione “Edipo Re”, che sarà presentato da Giorgio Gosetti, e Silvia Jop, Direttore Artistico di Isola Edipo, insieme a Costanza Quatriglio e Alessandro Rais. Il film di chiusura, Un monde plus grand (25 ottobre, ore 21,30), storia di una personale elaborazione di un lutto, conta sulla presenza della regista francese Fabienne Berthaud che introdurrà il film prima della proiezione.  Ingresso libero sino a esaurimento posti.

Le trame e i registi

Sufficiente di Maddalena Stornaiuolo, Antonio Ruocco
Italia, 2019, 10’ 
con: Alessio Conte, Agostino Chiummariello, Pina Di Gennaro, Maddalena Stornaiuolo

Il cinema campano grande protagonista al Cinema di Venezia con sette pellicole, ci propone un cortometraggio di denuncia sociale, che si ispira a una storia vera e prende spunto dal romanzo “Fiori d’agave” di Rosario Esposito La Rossa. Una pungente riflessione sul sistema scolastico ed educativo in contesti di forte emarginazione. Girato a Scampia, da due registi esordienti, Maddalena Stornaiuolo e Antonio Ruocco, che decidono di concretizzare in un corto l’esperienza della scuola di recitazione per bambini e ragazzi avviata con altri operatori nel popolare quartiere napoletano. La storia è quella di un quindicenne pluriripetente, che si presenta agli esami di licenza media in una scuola della periferia. I professori lo accolgono con scetticismo e pregiudizio. Lui non si perde d’animo e racconta la sua tesina che parte dalla storia, la sua, segnata da un fatto drammatico, per arrivare a parlare del corpo umano e del Cristo Velato. I professori rimarranno ad ascoltarlo. A lui basterà aver strappato la sufficienza.

La Llorona (The weeping whoman) di Jayro Bustamante  
Guatemala/Francia, 2019, 97’ 
con: María Mercedes Coroy, Sabrina De La Hoz, Margarita Kénefic, Julio Diaz, María Telón

Vincitore del GdA Director's Award della XVI edizione delle Giornate degli Autori, il film attinge al folklore dell’America Latina, il regista ci racconta di aver scavato nelle sue paure infantili per arrivare a quelle nuove da adulto, consegnandoci una personalissima rilettura della ‘Llorona’, spettro che si presenta come l’anima in pena di una donna che ha ucciso o perso il figlio, e che è alla vana ricerca di esso. «Una storia di fantasmi – si legge nella motivazione del premio GdA Director’s Award – raccontata attraverso un vivido personaggio femminile che tratta i temi della perdita, della negazione e dell'accettazione. Come recita il verso della canzone La Llorona: ‘Dicen que no tengo duelo, Llorona, porque no me ven llorar. Hay muertos que no hacen ruido, Llorona !Y es mas grande su penar!’ (“Dicono che io non pianga, Llorona, Ci sono morti che non fanno rumore, Llorona, Ma la loro pena è ancora più grande!”, ndr)». Il mito della Piangente appartiene a una tradizione antica e risuona degli echi della tragedia classica. In questo racconto riprende forma ai tempi della guerra civile del Guatemala che ha portato ad atroci violenze e a un vero genocidio. Asserragliato nella sua lussuosa villa, il Generale attende il verdetto del tribunale che deve giudicarlo per i suoi crimini. «La ricerca di giustizia e di vendetta della Piangente – dice Bustamante che ha scritto la sceneggiatura insieme a Lisandro Sanchez – può ricordare il revisionismo romantico dei ‘Bastardi’ di Quentin Tarantino o la follia di Medea». 

Emilio Vedova. Dalla parte del naufragio di Tomaso Pessina (Italia, 2019, 68’) 
Italia, 2019, 68’
con: Toni Servillo

Come si racconta un artista? È lo stesso regista, Tomaso Pessina, a spiegare come la pellicola nasca da questa domanda. La risposta è documentario: “attraverso la fisicità del suo segno pittorico”. A essere raccontata è la figura artistica di Emilio Vedova (1919-2006), pittore e incisore veneziano di fama internazionale di cui quest'anno si celebra il centenario. Un ritratto interiore e pubblico di uno dei maggiori esponenti dell’Informale italiano, le sue opere che spaziano dall’astrattismo geometrico a quello gestuale sono produzioni di un’attività artistica impegnata. A lungo sottovalutato e rilegato a una dimensione nazionale, la sua riscoperta internazionale è recente. Il documentario di Pessina è un atto di doverosa restituzione, una biografia per immagini costruita attraverso documenti inediti, estratti video, registrazioni audio, materiale autografo, i ricordi dei suoi amici e di alcuni artisti. La lettura dei suoi diari e le sue parole ritrovate negli archivi, sono affidati alla voce del magistrale Toni Servillo che ci restituisce la figura complessa, geniale, impegnata e frammentaria di Emilio Vedova, e del suo modo di fare e intendere la pittura.

Barn / Beware of children di Dag Johan Haugerud 
Norvegia/Svezia, 2019, 157’, prima mondiale
con: Henriette Steenstrup, Jan Gunnar Röise, Thorbjörn Harr, Brynjar Bandlien, Andrea Bræin Hovig, Hans Olav Brenner, Anne Marit Jacobsen, Ella Øverbye

Il regista, sceneggiatore, bibliotecario e scrittore norvegese, Dag Johan Haugerud, nel suo secondo lungometraggio, il cui sottotitolo significa “attenzione ai bambini”, dà vita a una riflessione ampia sull’educazione dei bambini e i metodi liberali tipici del Nord Europa. La vicenda ripercorre le drammatiche conseguenze di un tragico evento accaduto in un sobborgo della classe media di Oslo, dove un bambino ne uccide un altro. «Cosa accade in una piccola comunità, come questo quartiere borghese di Oslo – scrive il regista -, quando la morte colpisce e coinvolge due ragazzini? Quando la tragedia ci tocca ciascuno di noi scopre la sua vera identità». La tredicenne Lykke, figlia di un uomo politico del Partito Laburista, ferisce uccidendolo il suo compagno di classe Jamie, a sua volta figlio di un esponente del Partito Conservatore. Le contraddittorie versioni dell’accaduto rischiano di peggiorare la posizione della ragazzina. Chi è innocente, chi colpevole, chi complice? Come si fa a risalire alla verità? Haugerud indaga sui ruoli di una società borderline, tra costruzioni socioculturali, drammi familiari, stereotipi sociali, regole ed eccezioni (che rispondono al potere e alle sue declinazioni). Un racconto psicologico e psicodidattico, immerso nell’atmosfera nordeuropea, e nel tipico realismo e razionalismo di Haugerud. Un film da non perdere, un regista da conoscere. Nella sua carriera ha anche pubblicato quattro romanzi, e lavorato come giornalista e drammaturgo per varie compagnie di danza e teatro.

Boże Cialo (Corpus Christi) di Jan Komasa 
Polonia/Francia, 2019, 116’, prima mondiale
con: Bartosz Bielenia, Eliza Rycembel, Aleksandra Konieczna, Tomasz Zietek,
Leszek Lichota, Lukasz Simlat

Da una storia realmente accaduta. Jan Komasa, al terzo lungometraggio, ci offre uno sguardo irriverente sulla religione: «Boże Ciało – spiega il regista – affronta il mistero delle esperienze spirituali, sacre e profane, in parte attingendo da una storia vera, a tratti difficile da credere».  Il film, vincitore del Label Europa Cinemas della XVI edizione delle Giornate degli Autori e del Premio per l’Inclusione “Edipo Re”, racconta le vicende del ventenne Daniel che, durante la reclusione in riformatorio, scopre una vocazione spirituale che si scontra con il suo passato, i suoi compagni di prigione e la sua fedina penale. Uscito dall’istituto trova lavoro come carpentiere in un piccolo centro ma al suo arrivo, per un equivoco, viene preso dal parroco locale per il nuovo prete che dovrà aiutarlo. Il suo segreto si incrocia con i sensi di colpa di una piccola comunità segnata da un’inconfessata tragedia. Al suo terzo film dopo gli studi alla Film School di Lodz e il suo esordio alla Cinéfondation di Cannes, Jan Komasa è ormai una delle voci più originali e affermate del cinema polacco. Nel 2011 ha realizzato il suo primo lungometraggio Sala samobójców (Suicide Room) selezionato nella sezione Panorama della Berlinale. Con il suo film successivo, Miasto 44 (Warsaw 44), campione di incassi in patria, ottiene un grande successo di pubblico, 


Un mond plus grand di Fabienne Berthaud 
Francia, 2019, 100’
con Cécile de France, Narantsetseg Dash, Tserendarizav Dashnyam, Ludivine Sagnier, Arieh Worthalter

Fabienne Berthaud, scrittrice, sceneggiatrice e regista francese, al suo quarto lungometraggio, ci regala una pellicola intima tratta dal libro autobiografico di Corine Sombrun, con un una riflessione sul sacro in contesti culturali lontani dalla tradizione occidentale. È la Mongolia dai paesaggi esotici mozzafiato e inaccessibili, che fanno da scenario alla storia della protagonista, l’antropolga Corine Sombrun (interpretata dalla talentuosa Cécile de France), una scienziata alle prese con un viaggio iniziatico e spirituale che indaga gli ignoti territori della pratica sciamanica e della trance. Corine, è una ingegnere del suono devastata dalla perdita del marito dopo una lunga malattia, le viene offerta la possibilità di lasciare Parigi e di recarsi in Mongolia per qualche settimana per realizzare un documentario sulle atmosfere, sulle preghiere e sulle canzoni di questo popolo. «Immaginavo un mondo organico, monocromatico, spettrale e misterioso – spiega la regista –. E ho cercato l'ispirazione in Artavazd Pelešjan. Un mondo fatto più di sensazioni che di rappresentazioni. Ho lavorato sulla trama, sulle ombre, sulle sfocature, deformando le immagini reali. Anche il suono ha un ruolo essenziale nel film. Le vibrazioni sonore dei tamburi sciamanici, il respiro degli animali, le zampe che calpestano la terra... Vorrei che lo spettatore vivesse un'esperienza fisica, che sentisse anziché vedere». Fabienne Berthaud con il suo primo lungometraggio La Frankie, del 2006, ha ottenuto grande successo di critica e ai festival; Pieds nus sur les limaces, tratto da un suo romanzo, è stato selezionato nel 2010 alla Quinzaine des Réalisateurs e vincitore del Prix Art Cinéma.

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