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Martedì, 16 Aprile 2024

Le Fuorigioco, l’incredibile storia della prima squadra femminile di calcio che sfidò l’Italia fascista

Michele Vargiu, drammaturgo e attore, e la regista Laura Garau hanno portato in prima assoluta al Teatro Atlante di Palermo il terzo capitolo di una trilogia teatrale che parla di sport e rivoluzioni

Mentre in Italia, soprattutto in questi giorni, si discute di rivendicazione del corpo femminile, di chi possa e debba parlarne e come parlarne, di come e quanto le parole possano indagare e chi abbia il titolo per farlo, ci sono esempi che si svincolano dal chiacchiericcio delle assise mediatiche parlando con estrema semplicità e incisività di diritti e di donne che tentarono di cambiare davvero la storia e in qualche modo ci riuscirono.

Anche in questo caso su un palco, però più appartato e intimo come quello del Teatro Atlante in via della Vetriera a Palermo che ha ospitato in prima assoluta “Le Fuorigioco”, una favola teatrale che racconta le vicende della prima squadra di calcio femminile nata in Italia nel 1932 a Milano. È la storia di Rosetta, Losanna, Marta, Maria, ma anche di Piero e di Ugo, giovani che attraverso una palla da calcio hanno dato il via a una piccola rivoluzione che attraversò tutta l’Italia fascista. Una lotta per i diritti che non riguardava solo lo sport ma "tutti i ‘no’ che le donne a quel tempo non potevano dire», come recita sul palco Michele Vargiu, che ha curato la drammaturgia dello spettacolo, con la regia di Laura Garau, intestandosi sul palco, con una riuscita interpretazione, le voci di questo racconto corale fatto di donne. Un lungo monologo che dopo un inizio forse un po’ affrettato e veloce riesce a rallentare svoltando in un’attenta e partecipata (con il pubblico) narrazione dei fatti dell’epoca, con le parole delle protagoniste di cui ‘indossa’ la voce, talvolta con inflessione milanese e altre toscana, per una restituzione che non è mai macchiettistica o affettata, con ironia e brevi puntate romantiche.

Uno spettacolo che ha concluso con successo la rassegna ‘Singolare maschile’ del Teatro Atlante, sorprendendo e coinvolgendo il pubblico sino a quel lungo applauso finale in cui il sipario (invisibile) è calato. “Le Fuorigioco” vince, lo fa fuori dal campo di calcio del 1932 segnando le coscienze e conoscenze di chi ha goduto di questa storia e l’ha portata fuori dal piccolo Teatro in via della Vetriera nel presente di una Palermo che ha colto l’invito. È l’ultimo riuscito capitolo della “Trilogia dello Sport” scritta e interpretata da Michele Vargiu su sportiv* con storie straordinarie, pionier* dei diritti: Der Boxer – Ballata per Johann Trollmann (un giovane pugile di nazionalità sinti nella Germania nazista; Perdifiato – L’incredibile vita di Alfonsina Strada (prima donna a partecipare al Giro d'Italia nel 1924) e infine, per l’appunto, Le Fuorigioco.

La storia è abbastanza semplice, nel febbraio del 1933 in via Stoppani 12 a Milano su iniziativa di un gruppo di giovani donne nacque il Gruppo Femminile Calcistico, primo club di calcio femminile in Italia. Luisa, Marta e Rosetta Boccalini, Losanna Strigaro, Ninì Zanetti e Brunilde Amodeo scendevano in campo nel rettangolo segnato dal gesso bianco, con indosso le loro sottane combatterono il pregiudizio della stampa, dell’opinione pubblica e delle altre donne intrappolate nel ruolo di ‘giovinette’, mogli e ‘angeli della casa’, ottenendo un rivoluzionario riconoscimento: il Coni diede un permesso temporaneo per effettuare un “esperimento” di calcio femminile che portò anche a due partite ufficiali con squadre maschili in cui militavano grandi come Giuseppe Meazza. Il regime fascista poi boicottò l’esperimento mettendo fine al Gfc, Gruppo Femminile Calcistico, anche se in Italia quella scintilla fu abbastanza per far nascere altre squadre femminili.

Incredibile e rivoluzionaria storia da far conoscere nelle scuole e portare sui palchi di ogni città perché ancora troppo poco conosciuta, o almeno non quanto dovrebbe. Va ricordato, a tal proposito, chi ne ha già parlato: “Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce”, pubblicato da Solferino, della giornalista Federica Seneghini che ricostruisce la storia delle sorelle Rosetta, Marta e Giovanna Boccalini; e la testimonianza riportata all’interno del documentario "Mussolini ha fatto anche cose buone? Propaganda di ieri e fake news di oggi"; da un'idea di Pietro Suber, scritto da Luca Cambi e Pietro Suber per la regia di Simona Risi, tratto dal libro "Mussolini ha fatto anche cose buone" (Bollati Boringhieri 2019) di Francesco Filippi.

Michela Vargiu, sardo che vive e lavora a Milano dall’età di 21 anni, ha al suo attivo la scrittura di numerose drammaturgie originali con una attività di palco strettamente legata al Teatro di Narrazione in vari progetti di cui è autore e interprete. Ed è a proprio a Milano che viene a contatto con la storia di Rosetta, Losanna, Marta, Maria e delle giovani che in piena epoca fascista rivendicarono il proprio status in un Paese, maschilista e misogino, che ufficializzerà il primo campionato femminile solo nel 1986. Un Paese che ancora oggi fa a fatica, un po’ come il resto del mondo, in cui i traguardi per la parità di genere sono ancora lontani.

Sebbene il Comitato Olimpico Internazionale affermi che «lo sport è una delle piattaforme più potenti per promuovere l'uguaglianza di genere e l'emancipazione delle donne e delle ragazze», non vi è ancora parità salariale, né uguale livello di professionalizzazione dello sport femminile al pari di quello maschile. Poiché è più facile dire che “le donne non fanno guadagnare quanto gli uomini” piuttosto che ammettere una copertura mediatica minima degli eventi di campionato regolari che favorisce fortemente quelli maschili. Piuttosto che ammettere che su quelli femminili gravano ancora stereotipi e resistenze.

È come le cose si raccontano e quanto si raccontano che fa la differenza, come è accaduto sul piccolo palcoscenico del Teatro Atlante a Palermo grazie alla voce di due artisti, uno in scena e l’altra dietro le quinte a curare la regia, di un uomo che pur indossando voci di donne non ne ha svilito la potenza, restituendo la preziosa storia di una piccola rivoluzione (e non in gonnella come qualcuno l’ha definita) ancora in atto. Una rivoluzione a cui partecipa anche il lavoro di realtà culturali come il Teatro Atlante, un piccolo e accogliente spazio in via della Vetriera nel cuore di Palermo, creato da Preziosa Salatino ed Emilio Ajovalasit, che va sostenuto affinché spettacoli come “Le Fuorigioco” possano essere replicati più di una sera e restituiti a una memoria che spesso si fa autogol.

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