rotate-mobile
Sabato, 20 Aprile 2024

Sandra Figliuolo

Giornalista Palermo

La condanna a morte di Messina Denaro e la resa inevitabile

Quel tumore, per il quale era già stato operato nel 2020, non gli avrebbe lasciato scampo. Una condanna a morte. È sostanzialmente questo che, intorno a maggio del 2021, è stato comunicato dai medici all'ex superlatitante Matteo Messina Denaro, 60 anni ed imprendibile per 30. Fine della corsa.

Ed è probabilmente in quel momento, davanti alla morte, che il boss - diventato una specie di mito attraverso le tonnellate di cose (vere e false) che si sono scritte e dette sul suo conto nei decenni - è tornato inevitabilmente ad essere un uomo come tutti gli altri (o quasi): inutile il suo potere, inutile la sua forza, inutile la sua violenza, inutili i suoi soldi e le sue conoscenze. Nulla davanti alla morte. 

A differenza degli altri uomini, però, che possono scegliere tra una speranza di vita e la morte, lui ha potuto scegliere soltanto tra la morte e la morte. Ovvero se crepare solo come un cane in qualche covo arredato in modo pacchiano, tra sofferenze e dolori atroci (perché questo significa morire di tumore), oppure esalare almeno col sollievo dato dalle cure. Con una certa - umana - viltà, ha scelto la seconda. Mettendo in conto che avrebbe dovuto però esporsi e rischiare di essere preso, rinunciando tuttavia a una libertà che in fin dei conti non ha mai pienamente avuto: vivere da latitanti, per quanto privilegiati, non vuol dire vivere da uomini liberi. 

Una scelta obbligata, ma allo stesso tempo inaspettata - per uno che chissà quante volte avrà pensato di essere dio o il padrone del mondo - da diventare temporaneamente il nascondiglio più sicuro mai trovato: essere così visibile da diventare invisibile. Chi se lo è trovato accanto in questi mesi, infatti, se anche ha avuto un vago dubbio sulla sua vera identità, si sarà detto: impossibile, è impossibile che un latitante che sfugge allo Stato da 30 anni sia seduto qui, proprio accanto a me, in un ospedale o in un ristorante. E come "La lettera rubata" di Edgar Allan Poe, cercata in ogni più improbabile anfratto senza che nessuno si accorgesse che era invece proprio lì, sotto il naso di tutti, in bella vista su una scrivania dove nessuno l'aveva però cercata, Messina Denaro da fantasma è diventato carne e ossa, tangibile, ma comunque inafferrabile. Fino allo scorso 16 gennaio.

Non si è dunque consegnato, la sua non è stata una resa condizionata - per esempio a una trattativa, come tanto piace pensare a chi vive di teoremi e dimentica i fatti e la realtà - ma inevitabile. Perché semplicemente ha perso. Lui che pensava di essere forte, potente, ricco, furbissimo, ha semplicemente perso la partita.

La morte, si sa, è una livella, anche per l'ultimo dei Corleonesi. E c'è solo una cosa che forse distingue alla fine, all'ultimo respiro, gli uomini: la dignità. Non tanto quella con cui muoiono, quanto quella con cui hanno saputo vivere. A Messina Denaro neanche questo privilegio. 

Si parla di

La condanna a morte di Messina Denaro e la resa inevitabile

PalermoToday è in caricamento