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Giovedì, 28 Marzo 2024

Sandra Figliuolo

Giornalista Palermo

Messina Denaro, tra miti e complotti cade l'ultimo alibi dei siciliani

Si è definitivamente chiuso un capitolo. E' finita l'era dei Corleonesi e dei boss stragisti. Ed è caduto anche l'ultimo alibi dei siciliani (e non solo). Ma non è avvenuto lunedì scorso con l'arresto del capomafia di Castelvetrano Matteo Messina Denaro: la cattura dell'ex superlatitante è soltanto il fatto (anche simbolico) che suggella un cambiamento in realtà già in atto - anche se in tanti si rifiutano per comodità di vederlo - da diversi anni.

Il tempo del terrore che molti complottisti e dietrologi (non tutti dell'ultima ora) vorrebbero non finisse mai - e da qui le nuove ipotetiche fasi di una presunta trattativa infinita tra buoni e cattivi, Stato, antistato e Stato deviato - è invece finito. Almeno dalla morte dell'ultimo capo di Cosa nostra, Totò Riina, a novembre del 2017.

E' difficile oggi, dopo tutta la mitologia costruita sulla figura di Messina Denaro con una narrazione distorta e disattenta, più vicina alla telenovela che alla cronaca, far capire ai più che l'ex superlatitante non è mai stato il capo di Cosa nostra e che dunque con la sua cattura non viene decapitata l'organizzazione criminale (o, meglio, quel che ne resta). Nell'ultimo tentativo di ricostituire la Cupola del 2018, ovvero a pochi mesi proprio dalla morte di Riina che ne era stato il capo indiscusso per un quarto di secolo, anche al 41 bis, Matteo Messina Denaro non veniva né nominato né preso in considerazione dai boss. Il comando doveva tornare a Palermo, in città, sottomettendo quella provincia che, da Corleone, con la seconda guerra di mafia, l'aveva invasa.

La mitologia sul capomafia di Castelvetrano continua ancora adesso, anche se lo Stato ha compiutamente dimostrato - per l'ennesima volta - di essere più forte della mafia: i dettagli sui beni di lusso, sull'abbigliamento alla moda, persino sul presunto vigore sessuale (seppur con l'ausilio di qualche pillola, ma comunque coscienziosamente protetto) di un sessantenne per giunta malato di tumore. Perché certe leggende vanno alimentate, servono a certa antimafia di facciata che per poter continuare a sfilare e far carriera ha bisogno necessariamente di un nemico potente da combattere. Pullulano così anche teorie complottiste che finiscono per oscurare i fatti o addirittura per ribaltarne il senso. 

Non è stato ammanettato, Messina Denaro: un dato che dimostra con certezza - dicono gli esperti da tastiera che fino a poche ore prima disquisivano sui problemi di coppia di una pseudocantante e di un calciatore - che il boss "si è consegnato" e che "è stata tutta una farsa". Non si riesce e non si vuole vedere invece in questo gesto il potere dello Stato, che porta via l'ultimo dei Corleonesi senza neppur dover usare la forza (come farebbe un mafioso per esempio); non si vede la debolezza dell'arrestato che neppure prova a fuggire. Molto più banalmente, si ignora che le norme sulla diffusione di immagini di persone in stato di costrizione sono diventate sempre più stringenti, per garantire un principio costituzionale e la dignità di ogni individuo, anche del più efferato dei boss: se Messina Denaro avesse avuto le manette i video della sua cattura non avrebbero potuto essere diffusi. 

Poi ci sono quelli che "è una notizia bellissima, però dopo 30 anni non prendeteci in giro e diteci chi lo ha protetto". Protetto - non solo durante i rapporti sessuali - Messina Denaro lo è stato certamente e infatti si sta indagando "su una parte della borghesia mafiosa", come ha detto il procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia. Ma bisognerebbe ricordare in primo luogo che il "lavoro" di un latitante, la cosa su cui maggiormente concentra le sue energie, è proprio nascondersi e non farsi trovare, e che, in secondo luogo, in questi lunghi anni di indagini di fiancheggiatori del boss ne sono stati comunque arrestati a centinaia, a cominciare dai suoi parenti. Una rete vastissima, sgretolata lentamente. Ed era di questo che si parlava quando si titolava con l'abusato "il cerchio si stringe attorno a Messina Denaro". Finché, colpo dopo colpo, le persone "affidabili" su cui contare si sono ridotte all'osso e la cattura è diventata più semplice. 

Ai complottisti, secondo cui il boss "si è consegnato" (nel patto anche l'accordo per non mettergli le manette, sostengono i meglio informati) perché così passa l'idea che la mafia non esiste più e quindi si può allentare la presa, abolire l'ergastolo ostativo e far uscire anche gli stragisti Giuseppe e Filippo Graviano, vorrei chiedere se davvero credono che fra qualche mese o qualche anno si ritroveranno a spingere il loro carello della spesa nello stesso supermercato dei fratelli di Brancaccio o magari pensano veramente di ritrovarseli come vicini di ombrellone a Mondello. 

Gli amanti dei teoremi indimostrabili, che per amor di verità finiscono però per fare a meno dei fatti, dovrebbero forse prendere atto di un altro elemento: la Procura di Palermo ha dato la caccia per anni a Matteo Messina Denaro, ma per un decennio e più si è concentrata anche proprio sulle trattative e i complotti, senza disdegnare i riflettori e le paginate sui giornali, distribuendo scoop mirabolanti a coloro - gli "eletti" - in grado di narrare il Verbo. E Messina Denaro, in salute, se ne stava tranquillo e beato. Libero. Mentre peraltro nascevano aspri scontri proprio negli uffici giudiziari e tra le forze dell'ordine per la sua cattura.

A un certo punto, accanto ai processi "storici" per scoprire i "patti indicibili", hanno iniziato finalmente a riprendere piede i fatti, le indagini "vere", concrete, per arrestare l'ultimo dei Corleonesi. E non può essere un caso che proprio quel pm, Paolo Guido che, pur avendo fatto parte del pool Trattativa (assieme tra gli altri a Nino Di Matteo e Antonio Ingroia), rifiutò alla fine - e senza polemiche, senza attacchi, senza tante chiacchiere - di firmare l' avviso di conclusione del "processo del secolo" sia poi lo stesso che è riuscito, coordinando le forze di polizia, a prenderlo quel fantasma. Ad arrestare Matteo Messina Denaro.

No, Cosa nostra non è stata sconfitta, ma diciamo che certamente quella che piazzava bombe e sfidava lo Stato sì. È morta (o moribonda) al 41 bis. E quello che circola oggi, gli sdentati, con la tuta dal marchio contraffatto e il finto Rolex (di cui abbiamo parlato in un precedente commento in occasione del trentennale della strage di Capaci) hanno ben poco in comune con quelli per cui fu pensato e formulato il 416 bis. Sono ciò che resta dopo la durissima risposta di magistratura e forze dell'ordine degli ultimi tre decenni: "Immondizia organizzata", per usare le parole del boss Giulio Caporrimo. Gente che, per esempio, si rifiuta di spacciare perché percepisce proprio il reddito di cittadinanza, come diceva invece Giuseppe Incontrera, l'ultimo mafioso ucciso a Palermo.

Non servono manette (o comunque non solo quelle) ma lavoro, istruzione, cultura, pulizia, sevizi essenziali, rispetto delle regole, prospettive di sviluppo - non al Nord o all'estero, ma qui, in Sicilia - per estirpare questo tipo di erbaccia. Serve la politica, un'idea di società sul lungo termine, non il codice penale e i pacchi di pasta per comprare voti. 

La mafia per tanto tempo è stato il più comodo degli alibi a queste latitudini, la cattura di Messina Denaro lo spazza via in maniera dirompente. Lasciamo da parte la mitologia, cerchiamo di guardarla in faccia la realtà e di far ciascuno la nostra parte. Perché se il latitante più ricercato d'Italia girava tranquillamente a Campobello di Mazara (non più di 10 mila anime), se regolarmente per le cure andava in una delle cliniche più prestigiose della città, senza che nessuno lo notasse - e non si venga a dire che l'uomo arrestato non somigli agli identikit diffusi nel tempo - non è per un "patto indicibile", ma anche per la nostra indifferenza, per l'omertà quasi congenita che alberga in tanti cittadini. Per strada, nei supermercati, negli ospedali. E contro questo nulla può la magistratura: bisogna solo scegliere da che parte stare e in che mondo si vuole vivere.

Quando si tace, però, quando si gira la faccia dall'altra parte, quando si fa finta di non vedere e non sapere, si abbia almeno la coerenza e la decenza di non scomodare teorie farlocche, denigrando il lavoro di donne e uomini che, facendo il loro dovere tra mille sacrifici - loro sì - hanno reso un po' più libera questa terra.

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