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AMARCORD1983

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A cura di Alessandro Bisconti e Francesco Sicilia

I marziani del tennis in viale del Fante, Agassi: "A Palermo sono diventato numero 1"

Italia-Usa, quarti di finale di Coppa Davis: il dream team americano, con Sampras e il Kid di Las Vegas, sbarca a Punta Raisi il 27 marzo 1995, 23 anni fa esatti. Poco prima si era sparsa la voce di una rinuncia da parte dei due big dettata dalla paura della mafia. La grande festa di Agassi per le vie di Palermo

C'è vento, quando gli dei del tennis sbarcano a Punta Raisi. Soffia forte il maestrale, serve anche a spazzare via le polemiche. E' il 27 marzo 1995: Pete Sampras e Andre Agassi, i marziani, arrivano a Palermo per giocare contro la piccola Italia. I più grandi della racchetta, i primi due del ranking mondiale, in viale del Fante contro Gaudenzi e Furlan. Sembra impossibile ma è tutto vero: Coppa Davis, Palermo, quarti di finale. E' un weekend entrato nella storia dello sport di casa nostra quello che va dal 31 marzo al 2 aprile.

Chiariamo subito: più che un quarto di finale questo Italia-Usa 0-5 è un'esibizione. Sfida a senso unico, con gli azzurri presi a pallate. Ma si sapeva. Restano il ricordo del grande evento, irripetibile purtroppo, e le polemiche della vigilia. Con Agassi e Sampras che inizialmente a Palermo non vorrebbero metterci piede perché hanno paura della mafia. E con la stampa italiana, in primis Rino Tommasi e Gianni Clerici, i più autorevoli del settore, che criticano e criticheranno a distanza di tanti anni la federazione per la scelta di far giocare gli Stati Uniti a Palermo. "Ma come, abbiamo la possibilità di registrare un incasso epocale e ci riduciamo a giocare nel piccolo circolo del tennis palermitano?". E' più o meno questo il senso della polemica. Clerici parla di "federazione inetta". Galgani, numero uno della Fit, aveva scartato Milano e il suo impianto capace di ospitare 7.500 spettatori al giorno più di Palermo. Bocciata anche l'idea romana con uno stadio del tennis dentro il Flaminio per portare 15 mila persone al giorno. Si parla di giochetti elettorali, di un mancato guadagno che oscilla tra i due e i tre miliardi lordi. Soldi che sarebbero potuti servire per rifondare la racchetta azzurra.

Ma si gioca a Palermo, dove l'abbonamento medio è di 250 mila lire. L'attesa della vigilia è spasmodica. I biglietti vengono polverizzati. C'è il tutto esaurito. C'è Galeazzi. Ci sono le telecamere, i grandi sponsor. Sampras è il numero uno del mondo. Precede il rivale-amico di appena 227 punti. Ha 24 anni, ha già trionfato due volte a Wimbledon. Andre Agassi annusa il primo posto del ranking, è pronto al sorpasso che arriverà mentre si trova a Palermo (scherzi del computer). E' sempre meno punk, i suoi capelli sono arretrati improvvisamente, ma non il suo gioco. Agassi impressiona il pubblico con il suo devastante diritto da ping-pong, e quel suo attaccare tutti i rimbalzi sui servizi avversari, stando un metro dentro il campo. Il 1995, poi, è il suo anno di grazia: vince l'89% dei match giocati, la percentuale più alta di tutta la sua carriera (Sampras si "ferma" all'81%). 

Passo indietro obbligatorio: nelle settimane precedenti Pete Sampras aveva annunciato che non sarebbe andato a Palermo per non anticipare di troppo la sua stagione sulla terra rossa in Europa. Si era accodato subito Agassi: "E' un problema di programmazione, è difficile sacrificare il nostro obiettivo per la Coppa Davis. Io e Courier avevamo detto che avremmo giocato soltanto se c'era anche Pete, che non è stato d' accordo". Senza il Kid di Las Vegas e Chang restano in preallarme Courier, Martin, Krickstein e Washington. L'Italia pregusta lo sgambetto perché potrebbe trovarsi di fronte la formazione C degli Usa. Si sollevano polemiche sulla Davis, definito un torneo ormai obsoleto che tiene lontani i big.

Ma come se non bastasse - a infuocare il clima - ci pensa la rivista americana Tennis Magazine, che solleva dubbi sulla scelta di Palermo come sede dell'incontro e parla di presunte resistenze dei giocatori a causa della mafia. Si parla degli omicidi che hanno colpito il capoluogo siciliano negli ultimi mesi. Uno su tutti: l'assassinio di un parente di Buscetta. Ma all'improvviso, da Indian Wells, Sampras e Agassi annunciano in coro: "A Palermo ci saremo". Non è una scelta economica. Lo fanno per un desiderio di Tim Gullikson, il coach ammalato di Sampras, e fratello gemello di Tom, il capitano della Davis americana. 

Così la notte tra il 26 e il 27 marzo Pistol Pete e Andreino sbarcano a Punta Raisi. I doppisti statunitensi, Palmer e Reneberg, li precedono di un giorno. Dall'aeroporto Sampras e Agassi, scortati da una carovana di agenti, vengono accompagnati a Villa Igiea. A sorvegliarli ci sono pattuglie composte da coppie di poliziotti e carabinieri. L'albergo è circondato, gli americani occupano 34 camere. Palermo dirotta mille agenti per tutelare la sicurezza dei marziani del tennis. Giovedì c'è il sorteggio all'interno del Castello Utveggio. Piove, i giornalisti Rai scioperano e minacciano di non trasmettere i match il giorno dopo. Poi si trova un compromesso: Italia-Usa andrà in onda solo a Palermo.

Ah sì, perché c'è anche l'Italia, capitanata da Adriano Panatta, in singolare giocano Furlan e Gaudenzi, che si allenano alla Favorita, mentre Pescosolido e Brandi sono i doppisti. Venerdì 31 marzo è il grande giorno. Finalmente l'attesa finisce. Alle 11 c'è Gaudenzi-Agassi. Poi Furlan-Sampras. Gli americani si portano subito sul 2-0 dopo due facili partite. Nel doppio gli azzurri strappano un set. Poi la domenica Sampras batte Gaudenzi e Palmer completa il cappotto a stelle e strisce. Fine della storia. Anzi no. Perché l'ultimo capitolo dell'avventura palermitana lo regala Agassi. E' un capitolo "postumo". Affidato a Open, la sua autobiografia pubblicata nel 2011. Eccola, riguarda proprio Palermo. E la notizia attesa da una vita.

"La mattina dopo prendiamo il Concorde per Parigi e poi un aereo privato per Palermo. Mi sono sì e no sistemato in albergo che squilla il telefono. È Perry. Ho in mano il ranking più aggiornato, dice. 

Spara.
Sei… il numero uno.
Ho buttato Pete giù dalla vetta. Dopo ottantadue settimane al vertice della classifica, adesso deve alzare gli occhi verso di me. Sono il dodicesimo tennista a essere il numero uno nei due decenni da quando hanno iniziato a tenere una classifica computerizzata. Il secondo a telefonare è un giornalista. Gli dico che sono contento del ranking, che è una bella sensazione essere il migliore possibile.
È una bugia. Non è affatto ciò che provo. È ciò che vorrei provare. È ciò che ci si aspetta che provi, quello che mi dico di provare. Ma in realtà non provo niente.

Capitolo 17
Trascorro molte ore a gironzolare per le vie di Palermo, bevendo caffè nero forte e chiedendomi che cos’ho che non va. Ce l’ho fatta – sono il tennista numero uno al mondo, eppure mi sento vuoto. Se essere il numero uno mi fa sentire vuoto, insoddisfatto, che senso ha? Tanto vale che mi ritiri.
Mi immagino ad annunciare che per me è finita. Scelgo le parole che pronuncerò alla conferenza stampa. Mi vengono in mente tante immagini. Brad, Perry, mio padre, tutti delusi, esterrefatti. Mi dico anche che ritirarmi non risolverebbe il mio problema fondamentale, non mi aiuterebbe a capire che cosa voglio fare della mia vita. Sarei uno che si è ritirato a venticinque anni, il che assomiglia molto a uno che ha lasciato la scuola al primo anno di superiori.
No, quello che mi serve è un nuovo obiettivo. Il problema, in tutto questo tempo, è che ho sempre avuto gli obiettivi sbagliati. Non ho mai voluto davvero essere il numero uno, era semplicemente qualcosa che altri volevano per me. Dunque sono numero uno. Dunque un computer mi ama. E allora? Quello che penso di aver sempre voluto, fin da ragazzo, e quello che voglio adesso è molto più difficile, molto più rilevante. Voglio vincere il Roland Garros. Così avrei tutti e quattro gli slam al mio attivo. La serie completa. Sarei uno dei cinque uomini ad aver compiuto una simile impresa nell’era degli Open – e il primo americano.


Non mi è mai importato della classifica computerizzata, né del numero degli slam che ho vinto. Roy Emerson ha vinto il maggior numero di slam (dodici) e nessuno pensa che sia migliore di Rod Laver. Nessuno. I miei colleghi, come pure ogni storico o esperto di tennis che si rispetti, concorda che Laver era il migliore, il re, perché li ha vinti tutti e quattro. Non solo, li ha vinti tutti nello stesso anno – per ben due volte. È vero, a quel tempo le superfici erano solo due, erba e terra, ma ciò nonostante è divino. È inimitabile.
Penso ai grandi del passato, a come inseguivano Laver, a come sognavano di vincere tutti e quattro gli slam. Saltavano certi slam perché non gliene importava niente della quantità. Quello che gli premeva era la versatilità. Temevano che non sarebbero stati considerati davvero grandi se il loro curriculum fosse stato incompleto, se gli fosse sfuggito uno o due dei quattro trofei.
Più penso a vincere tutti e quattro gli slam, più mi sento eccitato. È una scoperta improvvisa e scioccante. Mi rendo conto che è quello che ho sempre voluto. Ho semplicemente represso il desiderio perché non mi sembrava possibile, soprattutto dopo aver raggiunto la finale del Roland Garros per due anni di fila e averla persa. E poi mi sono lasciato distrarre da giornalisti sportivi e tifosi che non capiscono, che contano il numero degli slam vinti da un tennista e usano quel dato fasullo per misurarne il valore. Vincerli tutti e quattro è il vero Graal. Così, nel 1995, a Palermo, decido che andrò alla ricerca di questo Graal, e a tutta velocità...".

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