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AMARCORD1983

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A cura di Alessandro Bisconti e Francesco Sicilia

9 ottobre 1981, il venerdì nero di Palermo: cinque omicidi in un giorno

In una giornata di autunno, un improvviso temporale di piombo si abbatte sulla città. Anche Roma decide di muoversi per cercare di capire cosa sta succedendo

Sono le 23.48 di venerdì 9 ottobre 1981 e l’Ansa batte l’ennesima agenzia che contiene la chiave “Palermo”. L’attacco della notizia è fulminante.

“Scusi, lei per quale omicidio è venuto?”, è la domanda che si sente con maggiore frequenza negli uffici della squadra mobile dove ancora a tarda notte una trentina di persone attendono di essere interrogate per i quattro omicidi avvenuti a Palermo città, mentre altre indagini sono in corso a Campofiorito”.

Quattro morti ammazzati nel capoluogo, uno in provincia.

Passa la notte, insonne per gli investigatori e i cronisti di nera, e alle 10.12 di sabato 10 ottobre, l’Ansa riferisce che “un uomo è stato assassinato con alcuni colpi di pistola alla testa la notte scorsa o questa mattina presto a Palermo”.

Sei “sparati” in poche ore. Troppi anche per una città, maledettamente, abituata ai fatti di sangue, soprattutto in quel periodo. “Stiamo superando i livelli già altissimi degli anni ruggenti”, dichiara il sindaco Nello Martellucci. Ma più che le parole del primo cittadino, sono i numeri a dare meglio l’idea della straordinarietà di una giornata dentro l’ordinarietà di un’emergenza cronica. In quell’anno, fino all’8 ottobre 1981, sono 70 gli omicidi nel capoluogo siciliano, la media è di uno ogni 4 giorni. Anche in una città attraversata dalle pallottole, dunque, quello del 9 ottobre 1981 non è un venerdì qualsiasi, è il venerdì nero di Palermo.

Ma chi sono le vittime di quell’improvviso temporale di piombo che si abbatte su Palermo?

Il primo a morire, di mattina, è Antonino Vitale, un commerciante di agrumi di 35 anni. Viene ucciso nella portineria del palazzo dove abita in via Pianell, nella zona di Brancaccio. In Questura ipotizzano che il delitto sia legato a una vendetta maturata nell’ambito del mercato ortofrutticolo.

Quasi contemporaneamente, più verso il centro storico, in piazza Marina, mentre sta uscendo dagli uffici dell’Intendenza di Finanza, sotto i colpi di pistola cade Calogero Misuraca, 50 anni, nato a Camporeale, ma residente a Cinisi, con precedenti penali anche per mafia. La moglie, sfiorata dai bossoli, racconterà agli investigatori che lei e il marito si trovavano a Palermo per incontrare un geometra col quale trattare la vendita di un terreno.

In serata, in piazza Scaffa, non lontano dal luogo in cui era stato freddato prima Vitale, mentre è alla cassa del bar di sua proprietà, nel mirino dei killer, finisce Agostino Calabria, 47 anni, ex autista dell’Amat, l’azienda municipalizzata dei trasporti.

A 100 metri di distanza, mentre poliziotti e carabinieri stanno conducendo i primi accertamenti sull’uccisione di Calabria, poco dopo viene ammazzato Giovanni Costanza, 55 anni. L’uomo è davanti alla sua bancarella di “pane ca’ meusa”, quando viene raggiunto dalle pistolettate.

Nella stessa sera, in contrada Calvario, tra Campofiorito e Bisacquino, a una settantina chilometri da Palermo, in una discarica, viene trovato il corpo privo di vita di Giuseppe Stabile, 61 anni. L’uomo, scomparso da Campofiorito il martedì precedente, era incensurato allevava bestiame e coltivava un piccolo appezzamento di terreno, sarebbe stato ucciso a colpi d’arma da fuoco e sfigurato con pietre.

L’ultima vittima di quelle ore sanguinose è Salvatore Manno, 27 anni, elettricista, celibe e senza alcun precedente penale. Il giovane, assassinato con un colpo di fucile alla nuca, viene trovato in un viottolo vicino a viale Regione Siciliana, la circonvallazione di Palermo.

Appresa la notizia dell’ennesimo omicidio in pochissimo tempo, anche il governo decide di muoversi per cercare di capire cosa sta succedendo. Il ministro dell’Interno Virginio Rognoni, che successivamente con Pio La Torre predisporrà la storica legge di contrasto ai patrimoni della mafia, dispone l’invio a Palermo del vice capo della polizia Antonio Troisi. “Il compito del prefetto Troisi – si legge in un comunicato del Viminale del 10 ottobre 1981 – è quello di verificare l’azione delle forze dell’ordine contro la criminalità organizzata in relazione a nuove possibili iniziative da intraprendere per una più efficacia opera di prevenzione e repressione”.

Troisi arriva a Palermo lunedì 13 ottobre. Durante la sua permanenza, incontra questori, investigatori e i presidenti dell’Ars e della Regione Siciliana, rispettivamente Salvatore Lauricella e Mario D’Acquisto. Lo stesso D’Acquisto viene ricevuto a Roma dal ministro Rognoni.

Ma nel capoluogo siciliano e in provincia si continua a sparare e a uccidere. Proprio il 13 ottobre, nel giorno in cui Troisi mette piede sull’Isola e il presidente della Regione si trova al Viminale, un uomo di 36 anni, Andrea Ventimiglia, bracciante agricolo, viene assassinato con una fucilata nelle campagne di Terrasini, a una trentina di chilometri da Palermo. Martedì 14 ottobre è il turno di Giovanni Mafara, 29 anni, schedato come mafioso, fratello di Giuseppe e Francesco, implicati in un’inchiesta su un traffico internazionale di stupefacenti condotta dal giudice istruttore Giovanni Falcone. Mafara, titolare di un’azienda di calcestruzzi, viene ucciso nella sua fabbrica di Ciaculli, davanti ai suoi operai.

Venerdì 16 ottobre, il vice capo della polizia Troisi lascia la Sicilia, al termine della sua indagine conoscitiva. È passata una settimana esatta dal venerdì nero di Palermo. Ma la tempesta di piombo continuerà per anni. Successivamente si scoprirà che alcuni di quegli omicidi (altri sono completamente slegati) sono stati commessi nell’ambito della seconda guerra di mafia tra le cosche palermitane degli Inzerillo e dei Bontate e il clan dei Corleonesi di Totò Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella. Tra il 1981 e il 1984 saranno oltre un migliaio i morti. E, finita la guerra, si continuerà per anni a contare vittime. Più che un venerdì nero, un’era nerissima.

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