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Mercoledì, 24 Aprile 2024
AMARCORD1983

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A cura di Alessandro Bisconti e Francesco Sicilia

I 110 anni dell'Italia: da Schillaci a Vasari ecco la Nazionale dei palermitani

Taibi in porta, Balotelli in attacco con Totò-gol, con Gaetano D'Agostino trequartista. La formazione è un 3-4-1-2 con alcuni giocatori parecchio adattati al ruolo. Un gioco che è anche un omaggio ai palermitani diventati grandi

Oggi 15 maggio 2020, la Nazionale italiana compie 110 anni. La omaggio con un gioco, un gioco nel quale mi invento un’immaginaria Nazionale palermitana. Tutti calciatori nati a Palermo. Non c’entra soltanto quanto quel giocatore sia stato più o meno forte. Non c’entra se abbia davvero indossato la maglia azzurra. C’entra il sentimento, il rimando, cosa significa per me quel nome. Ecco cosa mi viene in mente, pensando a ognuno di loro.

La formazione è un 3-4-1-2 con alcuni giocatori parecchio adattati al ruolo.

Taibi; Galeoto, Napoli, Biondo; Vasari, Marino, Rinaudo, Furino; D’Agostino; Schillaci, Balotelli.

Massimo Taibi

A mia memoria c’è poca scelta in porta. Impossibile probabilmente non scegliere Massimo Taibi, l’uomo che partito da Borgo Nuovo raggiunse il culmine della sua carriera a Old Trafford. Un portiere che probabilmente nel Piacenza diede il meglio di sé. Di lui due ricordi su tutti: il gol all’Udinese con la maglia della Reggina nel 2001, i due rigori parati a Rizzolo e a Maiellaro contro il Palermo nel 1995, quando giocava col Piacenza. Curiosità: ha iniziato come Totò Schillaci con l’Amat, squadra che prende il nome dall’acronimo dell’azienda dei trasporti pubblici di Palermo.

Francesco Galeoto

Se dici “Palermo dei picciotti”, il primo nome che ti faranno è quello di Tanino Vasari. E non a torto. Perché il numero 7 è stato il simbolo di quella formidabile squadra allenata da Ignazio Arcoleo, che per chi come è nato all’inizio degli anni Ottanta, è stata la prima compagine ad accendere il sogno di poter tornare in Serie A. Il Lato B di quello strepitoso disco che purtroppo durò il tempo di un tormentone estivo è Ciccio Galeoto. Qualcuno mi prenderà per pazzo, ma quando Maicon diventò devastante all’Inter, con le dovute proporzioni, rividi alcune cose del terzino destro palermitano. La progressione, la tecnica, la capacità di segnare da lontano. Come quando Galeoto fece esplodere la Favorita contro il Vicenza in coppa Italia nell’ottobre 1995. Sarà che i ricordi non sono affidabili, ma un boato come quello non l’ho più sentito. Neanche la sera della promozione in Serie A con la Triestina.

Rosario Biondo

Con Rosario Biondo ho capito che un palermitano poteva giocare in Serie A. Ero piccolo, avevo cinque anni, era il 1988-1989. Biondo giocava nel Como, quell’anno e fui folgorato. Pensavo che la mia città fosse anni luce lontana dai fasti del campionato più bello del mondo. Da Van Basten e Gullit, da Matthaeus e Brehme, da Maradona e Careca. E invece quella magica tabella con dati anagrafici e statistiche di ogni giocatore sull’album della Panini sulle quali intere generazioni hanno studiato storia del calcio mi suggerì che Palermo, in qualche modo, faceva parte della geografia del pallone italiano. Grazie a Biondo. Curiosità: è di Mondello, la Copacabana di Palermo. Biondo segnò il gol della bandiera (del momentaneo pareggio) in un epico Lecce-Palermo 1-5 del 1994

Nicolò Napoli

Per la verità nello stesso album di Rosario Biondo, c’era anche Nicolò Napoli, anche lui nato a Palermo. Ma giocava nella Juventus e nella classica disposizione alfabetica della Panini il Como veniva prima. Comunque sia Napoli fu un difensore che ai suoi tempi era uno dei tanti. D’altronde in Nazionale c’erano Bergomi, Ferri, Baresi, Maldini, VIerchowod, Ciro Ferrara. Sì lo so che è una frase fatta ma oggi Nicolò Napoli, con la penuria di difensori che c’è in Italia, potrebbe benissimo ambire all’azzurro. Sapeva fare il terzino, ma anche il marcatore. Sapeva difendere, sapeva spingere e sapeva anche segnare. Come fece nel gennaio 1990, contro l’Inter campione d’Italia. Cacchio, se me lo ricordo…

Gaetano Vasari

Di un certo Vasari del Partinicaudace cominciò a parlarmi mio zio all’inizio degli anni Novanta. “Questo è forte”, mi diceva. Così lunedì aprivo la Gazzetta dello Sport e vedevo cosa avevano fatto i neroverdi di Gigi Delneri in Interregionale. Qualche anno dopo lo ritrovai con la maglia numero 7 del Palermo. Sì, era davvero forte. E lo dimostrò subito quella sera di fine agosto del 1995, quando mise in croce il Parma di Nevio Scala. Tre a zero con doppietta di Tanino. Nacque il “Palermo dei picciotti”, guidato da Arcoleo, una delle formazioni più romanzate, giustamente direi, della storia rosanero. Tanino, una delle ultime ali destre in purezza del calcio italiano, è il simbolo di quella squadra.

Giuseppe Marino

Di Giuseppe Marino mi sono innamorato di recente, da quando ha raccontato a noi di Amarcord della sua carriera spezzata da un incidente a bordo di un’auto prestatagli da Jurgen Klinsmann. Fino ad allora Giuseppe Marino era stato solo un personaggio mitologico che col giubbotto dell’Inter con la scritta Misura esulta in panchina durante Inter-Rapid Vienna in Coppa Uefa nel 1990, mentre Nicola Berti e Jurgen Klinsmann fanno fuori gli austriaci. Poi quella chiacchierata in un bar al Foro Italico, a Palermo, e il ricordo amaro di un uomo che quasi tocca il cielo con un dito a 20 anni e che poi all’improvviso si ritrova nelle retrovie del calcio che conta. Una di quelle storie di cose che potevano essere e non sono state che, perdonatemi, a me piacciono da morire.

Leandro Rinaudo

Classe 1983, nelle giovanili del Palermo, e prima della Che Guevara, lo chiamavano tutti Leo. Era alto il doppio degli altri 22 in campo e giocava con la maglia numero 10. Ecco perché nonostante una volta approdato tra i professionisti sia diventato difensore centrale, lo schiero a centrocampo. Leandro Rinaudo è il primo calciatore palermitano ad aver segnato con la maglia rosanero in una coppa europea, il 15 dicembre 2005 fece una doppietta al Brondby. Lo vidi qualche settimana dopo in una scuola media di Palermo. Io ero lì per il Giornale di Sicilia, lui con Giovanni Tedesco incontrava gli studenti. Autografi e foto con gli studenti. Poi Leo mi chiama: “Ma io ti conosco”. Ed io: “Sì, ci siamo incrociati tante volte sui campetti di Palermo”. Lui: “Ah, sì ricordo. Giocavi nella Panormus. Come stai?”. Bene, Leo. Ma stai meglio tu che sei diventato un calciatore e sei rimasto umile come quando giocavamo al Mondo Jeans di via Messina Marine.

Giuseppe Furino

Sempre quando giocavo a calcio da ragazzino, c’era il padre di un mio compagno che, a ruota, mi paragonava a un signor centrocampista. Beh, probabilmente non ci vedeva bene. Per un periodo fui Demetrio Albertini e devo dire che la cosa mi lusingava molto perché amavo la visione di gioco e l’utilità del numero 4 del Milan. Poi cominciò a dirmi: “Giochi come Furino”. Erano gli anni Novanta e il centrocampista della Juventus aveva smesso da un po’. E allora mi informai su chi fosse Furino. Più che gli scudetti e le coppe conquistate con la squadra del Trap, di lui mi colpirono le origini. La madre era di Ustica, l’isola a un paio di ore di aliscafo da Palermo, per la quale ho preso una cotta qualche anno fa. E Furino, quelli della sua età, se lo ricordano bene in quell’enorme scoglio in mezzo al Tirreno. Non posso esimermi dal mettere, dunque, nella “nazionale” palermitana l’unico – probabilmente – calciatore prodotto da Ustica. Tra l’altro mi dicono che Beppe fosse niente male.

Gaetano D’Agostino

D’Agostino, al contrario di Rinaudo, venne strappato presto ai campi polverosi della periferia di Palermo. Gaetano, di Brancaccio, a 16 anni, nel 1998, è un fenomeno e viene preso dalla Roma. In azzurro D’Agostino c’ha giocato per davvero, debuttando il 6 giugno 2009, a 27 anni, dopo una stagione monstre all’Udinese. Qualche mese dopo verrà fuori la storia di una richiesta di un suo provino al Milan, a metà anni Novanta, caldeggiata dal padre Giuseppe attraverso i boss Filippo e Giuseppe Graviano, che si sarebbero rivolti a Marcello Dell’Utri, braccio destro di Silvio Berlusconi, sin dai tempi d’oro Publitalia ’80 e Fininvest. Dell’Utri negherà quella segnalazione. Fatto sta che per D’Agostino ha parlato il campo e ha detto che è stato uno dei centrocampisti palermitani più forti di sempre.

Salvatore Schillaci

Totò è la presenza più scontata di questa Nazionale palermitana. C’è qualcuno che non lo schiererebbe? Di lui abbiamo detto e scritto quasi tutto in questo blog, anche se teniamo ancora qualcosa gelosamente nei cassetti. Schillaci non solo è il calciatore palermitano più famoso della storia, ma è anche originario del mio quartiere dove continua a bazzicare, anche se non lo vedo da un bel po’. Inutile ricordarne le imprese calcistiche, le conosciamo a memoria. Quando nel 2014, in occasione dei suoi 50 anni, gli chiesi perché si ostinasse a vivere ancora a Palermo, anzi a frequentare sempre il suo quartiere popolare mi rispose così: “Sono innamorato di Palermo. Tutti me lo chiedono: perché non sei rimasto al Nord o in Giappone? Io rispondo che sono innamorato di Palermo, della mia città. Ho girato il mondo e non ho mai visto una città così per monumenti, clima e tante altre cose, anche se per mentalità è indietro. Sono tornato per l’affetto familiare, il calore della gente”.

Mario Balotelli

Nei primi giorni di agosto del 1990, Totò torna al Cep dopo il mitico Mondiale. Il suo quartiere lo festeggia, ci sono anche il sindaco Leoluca Orlando, che ha 43 anni, e un altro Totò globale, quel Cascio che, a 10 anni, è già un’icona del cinema per aver recitato nel capolavoro da Oscar “Nuovo cinema paradiso” di Giuseppe Tornatore. Il 12 agosto 1990, invece, a Borgo Nuovo, altro quartiere popolare, che confina proprio col Cep, nasce Mario Balotelli. Supermario resta poco a Palermo, si trasferisce subito nel Bresciano coi genitori ghanesi Thomas e Rose Barwuah, prima di essere adottato dai Balotelli. Insomma, Mario nato sotto il segno di Totò, aveva il destino scritto. In teoria, Supermario lo avrebbe anche superato Schilaci, per gol in Nazionale, palmarès e carriera prestigiosa. Ma provate a chiedere a chiunque sopra i 30 anni di dirvi il nome di un attaccante palermitano della Nazionale. Vi risponderà: “Schillaci”. Merito di Totò, ma anche colpa di Mario.

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