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Giovedì, 28 Marzo 2024
AMARCORD1983

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A cura di Alessandro Bisconti e Francesco Sicilia

Uccisa in via Sampolo mentre scherzava coi fratellini: Emanuela Sansone, la prima donna vittima di mafia

La storia della ragazza di 17 anni uccisa dai clan probabilmente per ritorsione a Palermo il 27 dicembre 1896. Compare all'inizio del dossier dal titolo "Sdisonorate"

Luisa Fantasia aveva 32 anni quando fu uccisa. In casa con lei c'era la figlia piccola di appena 18 mesi. Suo marito, il brigadiere dei carabinieri Antonio Mascione, era fuori quando nell'appartamento fecero irruzione due sicari, che la uccisero brutalmente. Questo succedeva il 14 giugno 1975, a Milano, dove Luisa era arrivata insieme dalla Puglia insieme al marito, che indagava sotto copertura sull'arrivo di una grossa partita di eroina di una delle prime 'ndrine calabresi presenti nel capoluogo lombardo. Proprio a Milano, 46 anni dopo, è stato inaugurato un giardino che porta il nome nel quartiere dove si era trasferita insieme al marito dalla natia San Severo. Un modo per far sì che il nome e la storia di Luisa Fantasia continuino a vivere, dopo anni di silenzio intorno a questa vicenda. Alla cerimonia di inaugurazione, insieme alle autorità, c'erano anche i due figli del brigadiere Mascione: Cinzia, la bimba che al momento del delitto era in casa con la madre, e Pietro Paolo, nato dalle seconde nozze del padre e oggi agente di polizia e vicepresidente nazionale dell’associazione ‘Ultimi’ del prete anti-camorra don Aniello Manganiello.

Qualche anno fa l'associazione daSud pubblicò un dossier dal titolo "Sdisonorate. Le mafie uccidono le donne". Un elenco vasto e dettaglio, senza la pretesa di essere esaustivo, nato principalmente per "sfatare un'assurda credenza: che i clan in virtù di un presunto codice d'onore non uccidono le donne", quando la storia e la cronaca dimostrano invece il contrario. Le donne sono state uccise dalle mafie "per l'impegno politico, sono rimaste vittime di delitti d'onore, sono state suicidate, sono state oggetto di vendette trasversali, sono morte per un accidente, sono rimaste incastrate dentro una situazione familiare e mafiosa da cui non sono riuscite a uscire". 

Nell'elenco di "Sdisonorate" Lucia Fantasia non c'è. Ci sono però altre donne, altre storie, altre violenze, raccolte in ordine cronologico a partire da Emanuela Sansone, 17 anni appena, uccisa dai clan probabilmente per ritorsione a Palermo il 27 dicembre 1896. Si dice che sia stata proprio lei la prima donna assassinata da Cosa nostra. Come molti personaggi della storia minore, di lei si sa poco

Ma chi era Emanuela Sansone? Era la figlia della bettoliera Giuseppa di Sano. Fu uccisa in un agguato nel loro magazzino di Palermo, adibito a "merceria, pasteria e bettola, oltre che ad abitazione". Due colpi di fucile che ferirono gravemente la madre, colpita al braccio e al fianco, ed uccisero Manuela, colpita alla tempia. I mafiosi sospettavano che la madre li avesse denunciati per fabbricazione di banconote false. L'episodio è analizzato nei rapporti del questore di Palermo Ermanno Sangiorgi. La madre della vittima ha collaborato attivamente con la giustizia: uno dei primi esempi del ruolo positivo delle donne, troppo spesso ignorato e dimenticato. E' nel suo rapporto, tra i più importanti documenti sulla mafia dell’epoca, che Sangiorgi racconta la vicenda di Emanuela Sansone. 

Come si legge sul sito zetaluiss.it "due settimane prima che venisse uccisa, i carabinieri irrompono in un conio di monete false gestito dalle famiglie mafiose in via Sampolo, in quella che era la periferia cittadina divenuta oggi quartiere residenziale. Dopo il sequestro, i mafiosi cominciano a cercare il responsabile della soffiata. Lo trovano in Giovanna Di Sano, bettoliera e merciaia il cui negozio era poco lontano dalla fabbrica mafiosa".

"Per quanto erroneo fosse stato questo sospetto – scrive il questore nel suo rapporto –  aveva molta apparenza di verità, giacchè il torchio per la coniazione delle false monete fu impiantato, forse inconsciamente, dal cognato della detta donna". Per questo motivo, "la mafia arguì che la Di Sacco – così viene riportato il cognome da Sangiorgi – saputa per tal mezzo la cosa, ne avesse fatto confidenziale rivelazione ai Reali Carabinieri, che nella sua bottega si forniscono di vino e commestibili ed il di cui Comandante si diceva amoreggiasse con Emmannuella Sansone, figlia della Di Sacco". Inoltre, a confermare il sospetto, "la Di Sacco aveva rifiutato biglietti e moneta falsa che le famiglie dei falsari avevano tentato di spendere nella sua bottega, esprimendone risentimento". Una riunione del gruppo Falde, il mandamento mafioso cui via S. Polo (all'epoca si chiamava così) faceva capo, ordinò la morte della donna. 

L’omicidio si materializzò quindici giorni dopo. I mafiosi fecero un foro nel muro di cinta del negozio di Giovanna Di Sano e da lì spararono due colpi di fucile, ferendo lei e uccidendo Emanuela. Il Giornale di Sicilia scrisse: "La Emanuela Sansone, a tre quattro passi da sua madre, vicina a un tavolo scherzava allegramente con i suoi fratellini. In questo mentre si udivano due forti detonazioni, quasi simultanee". 

Come testimoniato dagli allegati alle relazioni di Sangiorgi, Giuseppa Di Sano mise a verbale davanti alla polizia: "Quasi che io fossi la colpevole mi son veduta da allora mal vista e sfuggita da tutti, tanto che sono assai pochi coloro che vengono a fare acquisti nel mio negozio, restringendosi il loro numero agli onesti, che non sentono le influenze della mafia; sicché al danno sofferto, in conseguenza del disastro che mi colpì, e per cui dovetti sostenere ingenti spese, ed alla piaga insanabile che mi produsse nel cuore la disgraziata morte della diciottenne mia figliuola, si aggiunge ora il danno economico prodottomi dalle persecuzioni della mafia, che non mi perdona mai una colpa che io mai commisi"

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